Lettera a Camillo De Piaz

Un militante delle Brigate rosse argomenta la consegna della propria arma nelle mani di padre Camillo De Piaz

Carcere di San Vittore, Milano, agosto 1985

Caro Camillo[1],

per quale ragione consegno a te e alle amiche e agli amici dei seminari quest’arma (un fucile d’assalto HK)?

Potrei enumerare molti validi motivi, ma preferisco andare all’essenziale: siete venuti qui, a San Vittore, senza giudicare e senza chiedere nulla in cambio, fuori da ogni logica di potere.

Siete venuti soprattutto per incontrare degli uomini e delle donne, e abbiamo lavorato insieme per superare le barriere tra carcere e società .

In questo clima è stato facile, anzi naturale, parlare anche della storia passata: una storia chiusa, che però non intendiamo rimuovere.

Superare la logica armata non deve condurre a esorcizzare ciò che è stato.

Ma si può rifiutare la logica armata consegnando armi, cuore e cervello a chi detiene il monopolio della produzione e dell’uso delle armi? L’Italia è la quarta esportatrice di materiale bellico al mondo. Fucile più, fucile meno.

Per questo, volutamente, l’arma è stata distrutta.

Come ogni arma, era stata concepita per ferire o per uccidere. Consegnata funzionante, sarebbe rientrata nel circuito della morte: venduta all’asta o ceduta a qualche corpo speciale.

Questo gesto può sembrare ingenuo.

Forse è inutile distruggere un singolo simulacro del passato, in un mondo in cui i poteri si contendono l’archetipo delle armi e la ragion di Stato moltiplica quotidianamente fucili, missili e cannoni.

Ma il problema etico rimane.

Consegnare un’arma funzionante non mi sembra il modo più appropriato di significare la fine di unàesperienza e di una logica; soprattutto non mi sembra in sintonia con il percorso che abbiamo iniziato e che stiamo facendo.

Per comprendere questo gesto, sarebbe sbagliato ricorrere a categorie che non hanno mai spiegato nulla: dissociato o irriducibile, ad esempio. Parole che sono state talmente caricate di significati da non avere più alcun senso.

Parafrasando Giorgio Bocca, non ci sono esseri umani cattivi da far morire in galera ed esseri umani buoni da liberare. Esiste invece una storia da chiudere, non per dimenticarla, ma per riuscire finalmente ad affrontarla al di fuori delle contingenze e degli interessi di parte, giudiziari e di partito. Come, rare ma preziose eccezioni, avete fatto voi.

Con affetto.

Cecco Bellosi

 


[1] Padre Camillo de Piaz, assieme a David Maria Turoldo, Carlo Feltrinelli, Sandro Antoniazzi e altri è stato tra i partecipanti e gli animatori di un ciclo di seminari di studio e approfondimento che si sono tenuti nelle due sezioni speciali del carcere di San Vittore tra il 1985 e 1986. A lui, l’autore di questa lettera, già  militante dell’Autonomia e, poi, delle BR-Walter Alasia, ha fatto recapitare, come gesto simbolico, uno dei fucili mitragliatori HK, utilizzati anche nell’evasione di Rovigo. Questa lettera ne esponeva i motivi.

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