"Quello nelle foto non è il suo corpo". Lo sospettano ora anche i magistrati. Che chiedono la riesumazione della salma. Così il primo dei misteri d'Italia potrebbe presto arrivare a una svolta clamorosa e aprire nuovi scenari. InquietantiL'ipotesi: "È fuggito all'estero e nella tomba è stato messo uno dei suoi sosia"  ">

Giuliano. Il Dna svela il giallo del bandito

I magistrati chiedono la riesumazione: “Lì non c’è il bandito”. Oggi il più antico dei misteri d’Italia è a una svolta. Dagli esiti imprevedibili
“Quello nelle foto non è il suo corpo”. Lo sospettano ora anche i magistrati. Che chiedono la riesumazione della salma. Così il primo dei misteri d’Italia potrebbe presto arrivare a una svolta clamorosa e aprire nuovi scenari. InquietantiL’ipotesi: “È fuggito all’estero e nella tomba è stato messo uno dei suoi sosia” 

I magistrati chiedono la riesumazione: “Lì non c’è il bandito”. Oggi il più antico dei misteri d’Italia è a una svolta. Dagli esiti imprevedibili
“Quello nelle foto non è il suo corpo”. Lo sospettano ora anche i magistrati. Che chiedono la riesumazione della salma. Così il primo dei misteri d’Italia potrebbe presto arrivare a una svolta clamorosa e aprire nuovi scenari. InquietantiL’ipotesi: “È fuggito all’estero e nella tomba è stato messo uno dei suoi sosia” 

Se qualcuno ha fatto carte false per seppellire un altro cadavere lo scopriremo molto presto. Perché in Sicilia, che è terra di misteri, stanno per tirare fuori i suoi resti dalla bara. Ossa, denti e la polvere di un uomo che forse non è quello che ci avevano detto tanto tempo fa. A sessant´anni dalla sua morte si scoperchia la tomba di Salvatore Giuliano. Oggi i medici legali del Policlinico di Palermo riceveranno l´incarico ufficiale per la riesumazione e, fra qualche giorno, in una cappella del piccolo cimitero di Montelepre sarà disvelato l´ultimo segreto del bandito che uccideva i contadini e sognava la Sicilia come una stella – la quarantanovesima – della bandiera americana.
È lui o non è lui? È davvero del siciliano più famoso del dopoguerra quel corpo martoriato dalle pallottole che, all´alba del 5 luglio 1950, era steso in mezzo al suo sangue in un cortile di Castelvetrano? È il leggendario e sanguinario Turiddu quello che hanno infilato in una cassa di legno o uno dei tanti sosia che il capobanda, scaltro e crudele, usava alla bisogna? Per trovare la verità sulla morte vera o presunta del «colonnello» dell´Esercito volontario per l´indipendenza della Sicilia, pupo nelle mani di mafiosi e di agitatori politici, la prossima settimana apriranno la sua bara e preleveranno un campione di Dna per confrontarlo con quello dei suoi discendenti.
Uno, Pino Sciortino, il nipote, abita ancora a Montelepre dove ha un albergo-museo – il Giuliano´s Castle – in onore del celebre zio. Tre o quattro altri parenti, li hanno già rintracciati negli Usa. È un pezzo di storia che riemerge dall´aldilà, un enigma che da qualche mese è diventato ancora materia d´indagine giudiziaria. «Abbiamo preso questa decisione per non lasciare dubbi su quel cadavere, abbiamo ricevuto una denuncia circostanziata, per il momento s´indaga intorno all´ipotesi di morto ignoto ucciso con premeditazione», spiega il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che il 5 maggio scorso ha trovato sulla sua scrivania un rapporto della Questura di Palermo con un esposto firmato dallo storico Giuseppe Casarrubea – figlio di uno dei tanti sindacalisti assassinati dalla banda Giuliano – e dal ricercatore Mario J. Cereghino. Era un invito «a intraprendere un´attività conoscitiva per accertare la vera identità della persona uccisa nel cortile dell´avvocato Di Maria (Castelvetrano) rispondente al nome di Salvatore Giuliano, autore di omicidi commessi in Sicilia nel periodo che va dal 2 settembre 1943 e fino al 5 luglio 1950». La richiesta dei due studiosi è partita dopo dieci anni di ricerche, soprattutto su un paio di filmati e una dozzina di fotografie che ritraevano il bandito con i suoi sgherri. Immagini a confronto, quelle con Giuliano vivo e quelle altre con Giuliano morto, che hanno cominciato a far venire i primi sospetti agli storici e non solo a loro. Le foto più significative – cinque, il bandito fotografato all´obitorio e il bandito fotografato nel cortile di Castelvetrano – sono finite per altre vie nei laboratori del professore Alberto Bellocco, docente di medicina legale all´Università Cattolica di Roma, che dopo averle esaminate ha dato il suo parere: «Ho seri dubbi che le foto possano essere attribuite allo stesso cadavere».
Così è nata l´inchiesta giudiziaria (coincidenza, il fascicolo è stato ufficialmente aperto il 5 luglio del 2010, proprio nel sessantesimo anniversario) sul cadavere del bandito di Montelepre e così i magistrati sono arrivati alla conclusione che bisognava aprire quella tomba. Dopo avere ascoltato Casarrubea e Cereghino, interrogato testimoni e periti e «fonti» che gli inquirenti non vogliono ancora scoprire, il procuratore aggiunto Ingroia – insieme ai sostituti Francesco Del Bene, Marcello Viola, Lia Sava e Paolo Guido, che sono tutti i pm che hanno competenza territoriale per le vicende di mafia fra il Trapanese, dove c´è Castelvetrano, e la parte occidentale della provincia di Palermo, dove c´è Montelepre – ha incaricato il capo della polizia scientifica Piero Angeloni di «comparare» foto ed emettere un verdetto. Impresa difficile, immagini di qualità scadente, un´indagine che richiederà tempi molto lunghi. In attesa del risultato finale i magistrati di Palermo hanno preferito andare subito al cimitero e provare a capire cosa è accaduto più di mezzo secolo fa tra Castelvetrano e Montelepre, valli e colline di una Sicilia che in quegli anni ha vissuto furori indipendentisti e conquiste mafiose, che ha sofferto fame e pianto morti. Il primo commento di Casarrubea alla notizia della riesumazione del cadavere di Giuliano: «La procura si sta muovendo nella direzione giusta, nonostante il tempo trascorso finalmente ne sapremo di più su un giallo che è all´origine della storia della nostra Repubblica. L´esame del Dna ci dirà chi è sepolto in quella tomba».
Chi ci sarà là dentro? Ci saranno gli avanzi dell´uomo che lottava per «una Sicilia ai siciliani» e sparava a Portella della Ginestra, che assaltava caserme e camere del lavoro, o ci sarà «il sosia di Altofonte», quel ragazzo che gli somigliava tanto da sembrare un suo gemello e che già era descritto con dovizia di particolari nelle cronache degli Anni Cinquanta? Una messa in scena, la sua vita e una messa in scena anche la sua morte. Dal mito di un Robin Hood nostrano «che ruba ai ricchi per dare ai poveri» a burattino al servizio dei potenti boss di Monreale, da confidente e alleato dei pezzi grossi dell´Arma e del ministero dell´Interno a vittima dei patti più indicibili fra Stato e mafia e servizi americani, i primi, solo i primi di una lunga trama. Gli incontri con Ciro Verdiani, l´Ispettore generale della pubblica Sicurezza in Sicilia che alla vigilia di un Natale incontra il bandito nel suo regno – fra le colline di Sagana – portandogli in dono un panettone e una bottiglia di Marsala. Le lettere del capitano Antonio Perenze a Gaspare Pisciotta («Caro amico mio…»), il cugino traditore di Giuliano che poi muore avvelenato all´Ucciardone. Gli intrighi con il colonnello Ugo Luca del Cfrb, il Comando Forze Repressione Banditismo. Tratta con tutti e tutti trattano con lui. Ma dopo le elezioni politiche del ‘48, Salvatore Giuliano, è un uomo scomodo per i suoi complici, comincia sentirsi abbandonato dallo Stato e comincia a negoziare, pensa a una fuga, a lasciare la Sicilia per sempre. Manda segnali. Il 19 agosto del 1949 la sua banda uccide sette carabinieri a Bellolampo, è l´avvertimento a polizia e Arma, non si fida più di loro. E minaccia di vuotare il sacco sulla strage di Portella, undici morti e ventisette feriti il primo di maggio del 1947. Il processo di Portella – siamo nel giugno del 1950 – è alle porte e il ministro degli Interni Mario Scelba trema. Neanche quattro settimane dopo trovano il cadavere del bandito (il suo?) nel cortile di Castelvetrano. È una finzione, i carabinieri di Luca raccontano di un conflitto a fuoco dove Salvatore Giuliano cade. Il giornalista de L´EuropeoTommaso Besozzi smaschera le menzognere ricostruzioni della sbirraglia e attacca il suo articolo con parole che resteranno nella memoria di tre generazioni di reporter italiani: «Di sicuro c´è solo che è morto». Dopo sessant´anni, oggi, non abbiamo certezza neanche di quello.
Chi ci sarà lì dentro? Se qualcuno ha fatto carte false per seppellire un altro cadavere, Salvatore Giuliano, nato a Montelepre il 16 novembre del 1922, chissà dove avrà consumato la sua esistenza di «indesiderato».
Qualcuno dice che l´hanno portato sull´isola greca di Samos. Qualcun altro ricorda che l´hanno visto imbarcarsi a Selinunte, quattro giorni prima del 5 luglio 1950, su un peschereccio che faceva rotta per la Tunisia. Dall´Africa sarebbe poi volato verso la sua amatissima America. Ma un ultimo testimone racconta – e probabilmente questa confessione è già agli atti dell´inchiesta giudiziaria – che anche Padre Pio fosse convinto che «un povero figlio di mamma» era morto al posto del bandito. E che lui, Salvatore Giuliano, in una mattina di quella lontana estate fosse arrivato a San Giovanni Rotondo travestito da frate cappuccino.

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