«Più carcere, stesse droghe»

Il fallimento della Fini-Giovanardi nel II Libro bianco delle associazioni. Da cinque anni in vigore, la legge che punisce il consumo e il piccolo spaccio ha riempito le celle ma non di trafficanti. «Va cambiata»

 

Il fallimento della Fini-Giovanardi nel II Libro bianco delle associazioni. Da cinque anni in vigore, la legge che punisce il consumo e il piccolo spaccio ha riempito le celle ma non di trafficanti. «Va cambiata»

 

ROMA – L’amnistia? Sì certo. Come sostengono i Radicali è una prima necessaria soluzione. Ma affinché possa incidere sul sovraffollamento carcerario, giunto ormai al limite della tortura, deve poter essere applicata anche ai reati di detenzione di sostanze stupefacenti illegali ad uso personale e al piccolo spaccio. Quei reati che, per effetto della legge Fini-Giovanardi, dal 2006 sono sanzionati anche con pene che vanno dai 6 ai 20 anni di prigione. E sono proprio i dati sulla popolazione penitenziaria a rendere evidente il fallimento dell’impianto puramente repressivo della legge attualmente in vigore sulle droghe, la 49/2006, come hanno mostrato ieri le associazioni Antigone, Forum Droghe, Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza) e Società della Ragione presentando a Roma il Secondo Libro bianco sulla Fini-Giovanardi, una legge che ogni anno – come avverrà anche oggi con una conferenza stampa a Palazzo Chigi – viene sponsorizzata dal sottosegretario che le ha dato il nome, nella Relazione annuale sulle tossicodipendenze depositata ma mai discussa dal Parlamento.
Per questo le associazioni che lavorano sulle dipendenze e con i detenuti sostengono che le norme vigenti in questi cinque anni hanno avuto come unico effetto quello di riempire le carceri senza far diminuire in nessun modo né il consumo di sostanze né i reati ad esse legati. «La repressione, concentrata sulla cannabis – spiega il rapporto delle associazioni – e l’impatto carcerario della legge sono le principali cause del sovraffollamento». Non solo: «all’aumento della carcerazione e delle sanzioni amministrative corrisponde un abbattimento dei programmi terapeutici». La Fini-Giovanardi, dunque, va modificata, se non cancellata come pure la ex Cirielli, sulla recidiva.
Dai dati del Secondo Libro bianco si evince che negli ultimi cinque anni è raddoppiato il numero di detenuti in carcere per violazione dell’articolo 73 (da 14.640 nel 2006 si passa al 27.294 nel 2010), il cuore punitivo della legge, quello che impone le pene detentive per ogni tipo di comportamento (produce, detiene, vende, offre, cede o riceve, passa, traffica, commercia, trasporta, ecc.) legato alle droghe illegali inserite e parificate in un’unica tabella (dalla cannabis all’eroina e cocaina, tutte uguali). Nell’ultimo anno, era tossicodipendente il 28,4% dei nuovi entrati in carcere (il 27% nel 2006) mentre è arrivato ad uno su tre il numero di coloro che hanno varcato la soglia per reati legati alle droghe. Aumentate pure le denunce, specie per detenzione a fini di spaccio (art. 73), ma a guardarle bene si tratta al 40% di hashish o marijuana, e spesso, troppo spesso, di piccolo spaccio. D’altra parte da quando il «partito della vita» ha scelto di intraprendere la «crociata contro la droga» reprimendo in realtà solo i consumatori, sono aumentate le segnalazioni al Prefetto ma oltre il 70% dei segnalati è per cannabis e, – fa notare il rapporto – mentre sono più che raddoppiate le sanzioni irrogate, sono invece crollate le richieste di programmi terapeutici. Da notare che i detenuti tossicodipendenti, come spiega il Gruppo Abele intervenuto a corredo di una ricerca condotta in Toscana, «sono la parte più socialmente marginale dei consumatori». In sostanza, mentre in Europa e nel mondo si affermava la strategia dei quattro pilastri (prevenzione, terapia, riduzione del danno e repressione), l’Italia del centrodestra decideva di puntare solo sul pilastro repressivo. 
Appena dopo le modifiche al Dpr 309/’90 introdotte da Giovanardi e da Fini (che di tutto si è pentito tranne che di questa legge), a metà 2006 arriva l’indulto. Eppure, perfino dopo il provvedimento di clemenza, a causa della legge – si legge nel Libro bianco – le misure alternative per i tossicodipendenti sono crollate ma soprattutto, mentre prima del 2006 venivano concesse dalla condizione di libertà, dopo la legge il rapporto si è invertito e la maggioranza dei ristretti passano alle misure alternative solo dopo aver scontato una parte della pena in carcere. Infine, le tanto sbandierate operazioni antidroga sono, sì, cresciute costantemente (nel 2009 il massimo storico dell’ultimo decennio, con 23.187 operazioni) ma «senza che siano aumentati i sequestri di sostanze illecite». 
Sarebbe interessante studiare l’impatto economico di queste norme ma purtroppo, spiega il Forum droghe nel documento, «i dati forniti dai vari dicasteri e riassunti nella Relazione annuale al Parlamento non permettono questo calcolo». Solo nel 2007, con l’allora ministro Paolo Ferrero, la Relazione annuale «aveva per la prima volta tentato di quantificare l’applicazione della legge in termini economici: si stimava che i tre pilastri sociosanitari assorbissero 1,75 milioni di euro mentre la sola repressione avrebbe assorbito il doppio delle risorse: 2,8 milioni di euro. I dati, sostanzialmente confermati nella Relazione successiva, sono poi spariti dalle seguenti Relazioni governative». Inoltre, conclude il Forum droghe dopo una decina di pagine di analisi approfondita difficile da riassumere, «i dati sulla prevalenza del consumo di droga della Relazione per l’anno 2009 non sono paragonabili a quelli dell’anno precedente, rendendo così impossibile individuare il trend». Al contrario di quanto sosterrà oggi lo stesso Giovanardi. 
E allora, quale soluzione? «È urgente una modifica della legge – concludono le associazioni nel Libro bianco – iniziando da norme che definiscano come reato autonomo l’ipotesi di lieve entità» della detenzione o dello spaccio (art.73), in modo da ridurre la pena per i consumatori e i piccoli spacciatori i cui reati possano peraltro rientrare in un atto di amnistia. E vanno rese «di nuovo praticabili le alternative terapeutiche, sia per le condanne carcerarie che per le sanzioni amministrative». Una soluzione che piace anche agli Ecodem che ieri hanno immediatamente sostenuto la proposta.

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