Cessate il fuoco bilaterale e altre proposte dal basso

L’Avana / PROSEGUONO I COLLOQUI SUI 5 PUNTI IN AGENDA. Santos: «Per ora non se ne parla»

L’Avana / PROSEGUONO I COLLOQUI SUI 5 PUNTI IN AGENDA. Santos: «Per ora non se ne parla»

Si è conclusa sabato all’Avana un’altra tornata di negoziati tra il governo colombiano di Manuel Santos e la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie (Farc). Le discussioni relative al secondo punto dei cinque in agenda avrebbero dovuto osservare una pausa di sospensione già il 7 agosto, ma le parti hanno ritenuto opportuno concedersi qualche giornata in più. E si riprenderà fra una settimana. Sul tavolo delle trattative, iniziate lo scorso novembre, la possibilità di un passaggio alla lotta politica per i componenti della guerriglia.
In un paese in cui gli spazi di agibilità democratica risultano bloccati fin dai tempi dell’omicidio del leader populista democratico Jorge Eliécer Gaitán (assassinato il 9 aprile del 1948), la guerriglia ha già pagato caro un primo tentativo di intraprendere la via elettorale: i militanti e deputati della Union patriotica, fondata nell’85, vennero allora sterminati dall’azione concentrica di paramilitari e forze dello stato. Adesso le Farc chiedono con forza un cessate il fuoco bilaterale e l’inclusione in agenda di altri temi di discussione come quello di un’Assemblea costituente, subito respinta da Manuel Santos. In questi giorni, hanno anche formulato altre otto proposte, fra le quali la creazione di una Camera territoriale che sostituisca l’attuale Camera dei rappresentanti: per garantire una maggior partecipazione politica dei territori e dei partiti o movimenti che potrebbero formarsi a seguito delle trattative di pace. Un progetto che mira a rafforzare i territori indigeni e afrodiscendenti, e a promuovere lo sviluppo dei contadini poveri garantendo le Zone di riserva.
Punti suggeriti “dal basso”, dopo un lungo ciclo di discussioni portato avanti nei territori indigeni, nelle comunità rurali e nelle città da organizzazioni popolari, movimenti, sindacati e reti sociali che hanno appoggiato il processo di pace. Al primo punto, la riforma agraria (che diede origine al conflitto armato, nel ’64), con la bonifica del contesto politico.
Una rivendicazione avanzata anche nel conflitto del Catatumbo, nel Nord di Santander. Dopo quasi due mesi di proteste e tensione, i contadini hanno costretto il governo a istituire una commissione di dialogo. Ora chiedono garanzie in base a 16 punti, sei di questi sono stati proposti dal governo per trasformare la zona in «un laboratorio di pace». I campesinos esigono il ritiro dell’esercito dal territorio e la fine della repressione che dall’inizio del conflitto ha ucciso manifestanti e ne ha feriti una cinquantina. Nell’immediato, il Catatumbo chiede l’applicazione della legge sulle Zone di riserva contadine, un quadro legale creato nel 1994 e che consente un certo livello di autonomia in alcuni territori per tutelare i piccoli proprietari. Un tema considerato prioritario nelle trattative.
Venerdì scorso, all’Avana, la guerriglia ha proposto «misure straordinarie» per le regioni più povere mediante l’istituzione di un fondo di compensazione per ridurre le disuguaglianze: «Bisogna prendere misure immediate per affrontare i problemi della fame e della miseria dei dipartimenti di Choco (nel Nord-est), Cauca (sud-ovest), Cordoba (nel nord), Guajira (nord-est) e Magdalena (nord)», le zone più povere del paese, ha dichiarato Rodrigo Granda, uno dei delegati Farc. La destinazione e l’uso delle risorse – ha aggiunto – «dev’essere decisa con la partecipazione diretta delle comunità interessate».
Manuel Santos procede su un doppio binario: mano libera alla repressione interna, ma anche interesse a portare a casa un risultato storico entro novembre, quando deciderà se candidarsi alle elezioni presidenziali. Ha ribadito che non esiste la possibilità di un cessate il fuoco finché non si arriva al punto finale delle trattative. Ha affermato che, «per la pace» non esclude la possibilità di un incontro diretto con i dirigenti della guerriglia, ma che se li vede in Colombia, non esiterà a dar ordine che vengano «giustiziati». D’altronde, a novembre 2011, nella delicata fase d’inizio delle trattative (germinate in Norvegia) non ha esitato a dar ordine di bombardare un campo delle Farc nel Cauca, uccidendo il loro massimo dirigente, Alfonso Cano. La controparte non ha però spezzato il filo.
In questi giorni, Santos ha ammesso di aver stabilito contatti anche con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), la seconda guerriglia del paese (circa 1.500 effettivi), per avviare trattative di pace. Ha anche comunicato la smobilitazione di una trentina di guerriglieri dalla Valle del Cauca. Al pari della chiesa cattolica, ha messo però come condizione il disarmo e la liberazione di tutti i sequestrati. L’Eln ha fatto sapere che non accetterà di deporre le armi per partecipare alla trattativa. E resta in mano alle Farc il militare Usa Kevin Scott Sutay, veterano delle missioni in Afghanistan, rapito il 20 giugno. Per liberarlo, la guerriglia chiede la mediazione dell’ex deputata colombiana Piedad Cordoba, candidata alle prossime presidenziali. Santos vorrebbe solo la Croce Rossa. Però ha ringraziato altri paesi dell’America latina per il ruolo positivo svolto nei negoziati e ha accusato il suo predecessore, Alvaro Uribe, di volerlo screditare con Venezuela e Ecuador, «per rendere la zona di nuovo un inferno».

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