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L'inchiesta. Il ruolo di poliziotti e carabineri dopo l'arresto
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Come è morto Giuseppe Uva? Sei uomini in divisa sott’accusa

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L’inchiesta. Il ruolo di poliziotti e carabineri dopo l’arresto

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L’inchiesta. Il ruolo di poliziotti e carabineri dopo l’arresto

Sedici pagine per ria­prire il caso Uva. La seconda richie­sta di archi­via­zione pre­sen­tata dalla pro­cura di Varese per i due cara­bi­nieri e sei poli­ziotti coin­volti nel caso Uva (Paolo Righetto, Ste­fano Del Bosco, Gioac­chino Rubino, Luigi Empi­rio, Pier­fran­ce­sco Colucci, Fran­ce­sco Foca­relli Barone, Bruno Beli­sa­rio e Vito Capuano) è stata respinta: le tesi dei pm sono uscite distrutte, i reati ipo­tiz­zati sono pesan­tis­simi: omi­ci­dio pre­te­rin­ten­zio­nale, arre­sto ille­gale, abban­dono di inca­pace, per­cosse e lesioni per­so­nali nei con­fronti di Giu­seppe Uva, arre­stato il 14 giu­gno 2008 e morto il mat­tino dopo in ospe­dale. Non solo, gli uomini in divisa adesso sono anche inda­gati per quello che avreb­bero fatto ad Alberto Big­gio­gero, l’altro uomo arre­stato quella notte, che da un’altra stanza sen­tiva il suo amico urlare e lamen­tarsi: vio­lenza pri­vata e per­cosse. L’ordinanza scritta dal gip Giu­seppe Bat­ta­rino è anche un duris­simo atto d’accusa nei con­fronti delle inda­gini con­dotte dai pm Ago­stino Abate e Sara Arduino. Una vit­to­ria su tutti i fronti per le parti civili, che vedono, dopo sei anni, rico­no­sciute tutte le loro ragioni.

Ecco come il gip rico­strui­sce quello che è acca­duto: «Il cit­ta­dino Giu­seppe Uva è stato pri­vato della libertà, ille­ci­ta­mente, dopo aver com­messo, intorno alle 3 del 14 giu­gno 2008» il reato di disturbo della quiete pub­blica. Poi «sus­si­stendo la mani­fe­sta sua volontà di riot­te­nere la libertà per­so­nale e di movi­mento, è stato trat­te­nuto per circa due ore, di cui oltre un’ora e trenta in un pre­si­dio di poli­zia, senza neces­sità ope­ra­tive, in man­canza di pre­sup­po­sti di legge». Que­sto da parte dei cara­bi­nieri Righetto e Del Bosco. I poli­ziotti, dal canto loro, «pur avendo il dovere giu­ri­dico di inter­rom­pere la con­dotta di arre­sto ille­gale, hanno deli­be­ra­ta­mente omesso di farlo, pur a fronte di evi­denti neces­sità di tutela della inte­grità fisica di Giu­seppe Uva». Inol­tre, tutti gli agenti «hanno col­la­bo­rato a un’ulteriore ini­zia­tiva di ritardo nei soc­corsi», quando – «fra le 3:53 e le 4:00» — hanno tolto dalle mani di Alberto Big­gio­gero, arre­stato con Uva, il cel­lu­lare con il quale stava chia­mando il padre, il 118 e un avvo­cato. Gli uomini in divisa «hanno poi rite­nuto di dover ‘annul­lare’ la chia­mata di soc­corso al 118, ritar­dando ulte­rior­mente la pre­sta­zione qua­li­fi­cata di soc­corso», da que­sto «si può dedurre che il rico­vero ospe­da­liero sia stato per­ce­pito dagli inda­gati come fatto che avrebbe sot­tratto Giu­seppe Uva alla pos­si­bi­lità di gestire una situa­zione sani­ta­ria che si stava aggra­vando, ma che rite­ne­vano di poter ancora affron­tare senza con­se­guenze. Di qui la scelta di evi­tare che Giu­seppe Uva fosse tra­spor­tato all’ospedale, dove medici esterni avreb­bero potuto con­sta­tarne le con­di­zioni e rac­co­glierne le dichia­ra­zioni». Gli agenti hanno infatti chie­sto l’intervento di un medico diret­ta­mente den­tro la caserma di via Saffi. La visita è avve­nuta alle 4:15, esat­ta­mente un’ora dopo Uva sarebbe arri­vato in ospe­dale, ormai in fin di vita.

Dagli atti emer­gono anche diverse con­si­de­ra­zioni sull’interrogatorio soste­nuto da Alberto Big­gio­gero il 26 novem­bre scorso. Dall’altra parte c’erano i pm Abate e Arduini. Il testi­mone è stato mal­trat­tato, le domande gli sono state poste «con osti­lità e fram­men­ta­rietà, così da ren­der­gli obiet­ti­va­mente dif­fi­col­tosa la com­pren­sione». E ancora: «Quando Big­gio­gero cerca di fare affer­ma­zioni su quanto a sua cono­scenza viene smen­tito apo­dit­ti­ca­mente, spesso senza indi­ca­zione di con­te­sta­zioni spe­ci­fi­che, aumen­tando il suo diso­rien­ta­mento, evi­dente in un cit­ta­dino posto di fronte all’autorità, e ancor più in una per­sona sem­plice, priva di titoli di stu­dio, che si esprime in maniera chiara ma ele­men­tare». C’è spa­zio anche per le mani­po­la­zioni durante l’interrogatorio: Big­gio­gero «viene pro­gres­si­va­mente con­vinto a ridurre a pochi minuti la sua per­ma­nenza in caserma, con domande sem­pre scan­dite da affer­ma­zioni di men­da­cio e inat­ten­di­bi­lità». Da con­si­de­rare, tra le altre cose, che Abate è finito al cen­tro del mirino della pro­cura gene­rale della Cas­sa­zione per essere «venuto meno agli obbli­ghi gene­rali di impar­zia­lità, di cor­ret­tezza e di dili­genza» durante le inda­gini su que­sta vicenda.

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