La riforma funziona ma va applicata meglio

(La Repubblica, VENERDÌ, 17 MARZO 2006 Pagina X – Milano)

Sbagliato chiedere un inasprimento dopo i dolorosi casi di semiliberi che sono tornati a delinquere

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Le ultime settimane hanno visto ripetuti episodi di cronaca nera, talvolta con esiti drammatici. Come in quel tentativo di rapina, avvenuto in provincia di Milano, dove sono rimasti feriti un carabiniere e un bandito, mentre un secondo è morto. Sono subito cresciute le polemiche, in quanto uno dei due rapinatori era in semilibertà, tanto che il ministro della Giustizia e un alto ufficiale dei carabinieri hanno auspicato la revisione del sistema delle pene alternative.

L´indignazione e preoccupazione per questi fatti è immediata e naturale. Ma, a ben guardare, si tratta di considerazioni fondate solo in apparenza.

Ad esempio, bisognerebbe conoscere una semplice cifra: nel 2005 le misure alternative sono state ben 49.943, le revoche per commissione di nuovi reati sono state lo 0,24%, 122 casi in totale. È ben vero che sono 122 casi di troppo, pur se spesso si tratta di piccoli reati. In ogni caso, una percentuale bassissima che certifica il funzionamento di un sistema che favorisce il recupero e, assieme, anche la sicurezza dei cittadini.

Da alcune ricerche, risulta infatti che se è molto alta la percentuale di recidiva (sino al 75%) da parte di chi sconta per intero la condanna in prigione, essa scende vistosamente nei casi in cui il detenuto abbia scontato una parte della condanna in misura alternativa al carcere e sia stato affidato ai servizi sociali: in questo caso la commissione di nuovi reati cala al 12% (al 27% nel caso di detenuti tossicodipendenti).

La riforma penitenziaria insomma funziona e meglio funzionerebbe se fosse maggiormente e uniformemente applicata. I casi negativi inevitabilmente esistono ma sono sporadici, per quanto dolorosi.

Chiedere di inasprire la legge in ragione di quel semilibero rapinatore equivarrebbe a mettere sotto accusa le guardie giurate a causa dei due vigilantes rapinatori che, in quegli stessi giorni, hanno tentato una sanguinosa rapina a Foligno, quand´invece generalizzare è sempre sbagliato e, in questo caso, anche controproducente.

Mentre i media insistevano su quelle cronache, un minuscolo trafiletto riportava la notizia di un uomo che a Palermo è uscito di prigione dopo ben 15 anni, poiché scagionato dalle accuse.

Quando si discute di carcere, forse occorrerebbe pensare che esso è una realtà che può toccare anche il mondo della “normalità” e non solo quello degli esclusi. E questo dovrebbe magari spingere a guardare agli errori di chi in carcere è finito senza indulgenza ma anche senza accanimento.

 SERGIO SEGIO

 

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