La fabbrica del cambiamento. Sindacato, liste e movimenti insieme per un nuovo inizio. Fiom, Cgil, L’Altra Europa, NoTav, volontariato, precari. Insieme per una battaglia comune
Lunedì a Torino, nella grande sala della “Fabbrica delle E” del gruppo Abele, si svolgerà l’assemblea Atene – Torino. La sinistra riparte dalle lotte sociali. La convocazione arriva da persone delle variegate realtà, sociali e politiche, che condividono l’esigenza di una risposta adeguata alle sfide di questo delicatissimo, drammatico ma anche entusiasmante, momento. Un incontro con lavoratori delle fabbriche in crisi, giovani precari, militanti della Fiom e della Cgil, de L’Altra Europa e delle forze politiche che la sostennero europee, del Movimento No TaV e del volontariato contro le povertà.
Sarà una prima occasione, pubblica e di massa, per verificare la possibilità che abbia inizio una vera fase costituente di quello che Airaudo e Marcon, sul manifesto di martedì scorso, hanno definito come «un nuovo modello di aggregazione politica e sociale». E che noi dell’Altra Europa con Tsipras abbiamo chiamato la «casa comune della sinistra e dei democratici». Insomma, di quella «forza che unifichi protesta sociale e azione politica con un’agenda di cambiamento» richiamata ieri, su questo giornale, da Gallegati, Pianta, Notarianni e Stramaccioni.
Quanto quell’esigenza – potremmo anche dire quella possibilità – sia sentita, e quanto sia cresciuta negli ultimi mesi e nelle ultime settimane, è dimostrato dal grado di affollamento del dibattito pubblico, da parte di voci spesso diverse (apparentemente anche molto diverse) e tuttavia convergenti su quel problema: sull’insufficienza di ciò che è. Sulla necessità di ciò che deve venire. E sulla comune certezza che questo dovrà essere grande, tanto grande da apparire credibile nel reggere la portata della sfida. E “inedito”: tanto innovativo nel linguaggio, nelle pratiche, nelle modalità organizzative, nelle stesse persone che ne interpretano il messaggio, da vincere la consolidata diffidenza e la disillusione di una parte sempre più ampia di società e di elettorato.
Penso alle recenti prese di posizione di Maurizio Landini, di Stefano Rodotà, dello stesso Sergio Cofferati. Penso al dibattito, anche aspro, dell’assemblea bolognese de L’Altra Europa o al messaggio uscito dalla tre giorni di Human Factor. Un caleidoscopio di posizioni che possono apparire eterogenee, ma che in realtà dimostrano l’alto grado di urgenza e di maturità della questione, lungo vettori diversi: la coscienza da parte del mondo del lavoro della caduta “storica” di quello che era stato, per un lunghissimo ciclo, il suo riferimento politico.
La verifica, da parte della parte più consapevole e sensibile dell’ “intellettualità” democratica, del livello di degrado delle nostre istituzioni rappresentative, fino a configurare, sotto la spinta dell’accelerazione autoritaria renziana, un’emergenza democratica tanto profonda da veder compromessa la stessa forma partito, tradizionale strumento di partecipazione.
L’autocoscienza, da parte di ciò che resta della estrema sinistra politica, della propria insufficienza, e della necessità di un “nuovo inizio”.
In questo quadro sarebbe tragico se ci si dividesse sull’antitesi (fittizia) tra coalizione sociale e coalizione politica. O, peggio, tra costruzione dall’alto e costruzione dal basso, senza riflettere sull’esperienza del passato che dimostra, con un’evidenza luciferina, come ogni tentativo di rendere autonomi i due aspetti si sia rivelato disastroso, con i “movimenti” inchiodati a terra dalla propria mancanza di sponda nelle sedi decisionali, e le organizzazioni politiche troppo spesso isterilite in pratiche burocratiche e drammaticamente minoritarie. O comunque esposte all’assimilazione populista con tutto ciò che sta in alto e che sa di estraneità e privilegio.
Per contrasto, le vicende che stanno “riaprendo il tempo” in Grecia come in Spagna — Syriza e Podemos pur nelle loro differenze -, dimostrano come la chiave del successo sia, oggi, la capacità di innestare, sull’orizzontalità del conflitto sociale, l’asse verticale della rappresentanza, mettendo in connessione basso e alto. Trasferendo anche dentro il cuore delle sedi decisionali – quelle vere, quelle che operano nello spazio politico contemporaneo, la “fortezza-Europa” — la forza dirompente della rivolta e della resistenza sociale.
Quelle stesse vicende, d’altra parte, tendono a favorire – per chi ne vuole capire il messaggio — i processi di possibile ricomposizione politica, affermando, con la perentorietà dei fatti storici, che il tempo è ora. E mostrando come il superamento della frammentazione e delle fratture è la precondizione di un processo costituente credibile e vincente, non il suo esito finale.
Per questo un processo che lavori “per campagne”, come suggerito negli interventi precedenti, e non per negoziazioni o proclami, e che sulla capacità di ripresa di parola da parte dei soggetti reali fondi la riattivazione dell’iniziativa politica su scala ampia, trans-nazionale, perché transnazionale è il comando, può permetterci di uscire dalla gabbia incapacitante della comunicazione virtuale.
E di tentare la grande scommessa di ridare rappresentanza e visibilità all’area sconfinata che le oligarchie del potere lasciano sotto le loro rovine.
Di questo si parlerà a Torino. Con l’obiettivo di non fare solo un bell’evento, ma di dare origine a una serie di interventi sul territorio, radicati nelle pieghe sell’emergenza sociale, impegnativi per tutti.
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