11 marzo 1977. La città piange e fa pena

Alle 10 del mattino di quell’11 marzo del 1977, il movimento cattolico integralista Comunione e Liberazione aveva indetto un’assemblea all’Università di Bologna. Un gruppo composto da studenti di medicina e militanti dei gruppi della “sinistra rivoluzionaria” cerca di entrare nell’aula ma viene respinto con violenza dal servizio d’ordine di CL. La protesta si estende e il rettore chiede l’intervento delle forze dell’ordine. La tensione sale. Un carabiniere spara ben 12 colpi di winchester. Volano molotov. Francesco Lo Russo, studente di medicina e militante di Lotta Continua viene ucciso in via Mascarella dai carabinieri con un colpo sparato alla schiena. Il proiettile non verrà mai ritrovato: impossibile la perizia balistica. La reazione del movimento è imponente. Nasce il movimento del ’77, uno spartiacque storico per molti e diversi aspetti. Il ministro degli Interni, Francesco Cossiga, manda mezzi blindati e cingolati nelle strade centro di Bologna. La città è profondamente ferita, non tornerà mai più quella di prima. Roberto Roversi, uno dei grandi poeti del Novecento italiano, senz’altro il più rigoroso per quel che riguarda l’autonomia e l’indipendenza delle sue scelte politiche e culturali, racconta in modo impareggiabile l’angoscia dei giorni in cui “ogni parola è stata consumata”

di Roberto Roversi

1. La creta, la selenite e l’arenaria.

Di qui nasce il colore di Bologna.

Nei tramonti brucia torri e aria.

 

22. A che punto è la città?

La città è lì in piedi che ascolta.

Io non dico il privato è politico.

Dico anche il privato è politico.

 

24. A che punto è la città?

La città si nasconde le mani.

I democristiani non governano l’Italia

ma la gestiscono.

In trent’anni l’hanno succhiata leccata masticata

peggio dei Visigoti

e di Attila che correva a cavallo.

Al confronto Attila è una farfalla dai novanta colori.

Questi hanno facce di pesci-tonno, pesci-guerra, pesci-fuoco.

 

27. A che punto è la città?

La città legge la sua pergamena.

Un giorno gli schiavi sono vestiti di bianco.

Quel giorno l’impero di Roma è condannato.

Quando gli uomini si contano

un momento di storia è cominciato.

 

31. A che punto è la città?

La città tace perché non è più primavera.

La verità è il massacro.

Il massacro è la realtà.

Mille creature tagliano l’acqua con il coltello affilato

per guardare il sangue del mare.

 

33. Oggi è già domani.

Sono in molti a parlare dell’uomo che cammina col

suo passo di polvere e con la pazienza di un frate

per raccogliere cipolle e inoltre per salire sull’albero

delle ciliege

Da lì si guarda il mondo.

Ma il mondo è rovesciato.

 

carrarmato-in-via-zamboni-13-mar-77

 

34. Dentro a questo mondo-mercato

è urgente decidere

di vivere non di morire.

Prendere e non lasciare.

Non servire.

Ogni parola è stata consumata.

 

73. La tua sorte è legata alla mia.

Le azioni non giustificano se stesse.

Ogni azione

una per una

per passare nella cruna dell’ago

ha bisogno di motivazione.

Ogni atto è morale o non è.

Non lascia margine a un gioco.

Cento volte si deve cercare la pietra

giusta per accendere il fuoco.

 

75. A che punto è la città?

La città in un angolo singhiozza.

Improvvisamente da via Saragozza

le autoblindo entrano a Bologna.

C’è un ragazzo sul marmo, giustiziato.

 

76. A che punto è la città?

La città si ferisce

camminando

sopra i cristalli di cento vetrine.

 

77. A che punto è la città?

La città piange e fa pena.

 

Poi elicotteri in aria

perché le vetrine son rotte

 

Le vecchiette allibite

perché le vetrine son rotte

 

Commendatori adirati

perché le vetrine son rotte

 

I tramvieri incazzati

perché le vetrine son rotte

 

Tutte le strade deserte

perché le vetrine son rotte

 

Carabinieri schierati

perché le vetrine son rotte

 

Sessantamila studenti

perché le vetrine son rotte

 

Massacrati di botte

perché le vetrine son rotte.

 

bologna-13-marzo-1977-08

 

79. A che punto è la città?

La città si scuote come un cane.

Il ragazzo ucciso è seppellito

con il rito formale.

Segue la pace ufficiale

con i poliziotti ai cantoni.

In galera centottanta capelloni.

Grida la gente: lazzaroni

studiate

invece di far barricate

per mandare in malora una città.

Non si trascina alla gogna

la città di Bologna.

Chi è studente va con la ragazza

non in piazza a farsi ammazzare.

 

90. A che punto è la città?

La città è confusa, ha un momento

di tremenda agitazione.

Il suo dolore butta morchia e fuoco.

La città va avanti a muso duro

e alza le parole come un muro.

 

97. A che punto è la città?

La città ansima e ascolta

il suono di un chiodo che ferisce

strisciando sul vetro di marzo

e così dice:

 

98. Era un ragazzo venuto dal niente.

ucciso per strada.

colpito alla fronte.

 

era un ragazzo venuto da niente.

gridava la gente.

scappava sul ponte.

 

era un ragazzo, le ore del cuore

le passava sui libri

a mangiare il furore.

 

una mano di sangue strisciando sul muro

picchiò con la rabbia

un colpo sicuro.

 

la gente piangeva, era freddo cemento

l’asfalto disteso

e lui moriva nel vento.

 

bandiera stracciata. un mese è passato.

La terra è fiorita

sul suo corpo straziato.

 

107. A che punto è la citta?

La città apre le porte e cammina per strada.

 

108. Cosa dice la città?

Dice che nell’inverno del ’76/’77 non ci fu neve.

Dice che in marzo è ancora inverno.

Dice che adesso è aprile.

Dice che ogni giorno aspettiamo qualcosa.

Dice: Eco? Umberto? sarà il nuovo rettore?

 

110. A che punto è la città?

La città riacquista i suoi colori.

Ma noi per eterni languori all’italiana vediamo

ripetersi la scena che accompagnò all’inizio degli

anni Sessanta la gimkana del centrosinistra, quando

un partito fu dato in pasto ai leoni che lo spolparono.

Il gestore del pranzo di gala, furbetto

e sciapo quasi a chiedere scusa, fu l’on. Moro.

Oggi col suo occhio sbiascicato

eccolo riapparire

con il mandato e la giustificazione

di masticare la nuova polpetta

in un solo boccone.

Ma senza fretta senza fretta senza fretta.

Francesco Lo Russo funeral - Funerali di Francesco Lo Russo

 

113. Cosa grida la città?

La città dice che l’età dei guerrieri è finita.

Dice che ieri è cominciato il tempo

degli uomini-rana, degli uomini-gabbia,

degli uomini-lamento.

 

114. Ma che non si può finire

col non dire più niente.

Se si tace, il silenzio è la morte.

E nella notte resta solo voce di vento.

 

125. Dice che

la violenza è stupida e imperfetta.

La violenza è un luogo comune.

La violenza è vecchia e senza fantasia.

La violenza è inutile e malada.

Dice che

la libertà è difficile

e non è lì che aspetta.

La libertà fa soffrire.

La libertà spesso fa morire.

La libertà ha tre segni semplici e terribili:

vuole la mano

vuole il cuore

vuole la pazienza.

Conoscere non vuol dire distruggere

e poi amare la cosa distrutta.

Amare ciò che si è distrutto

non vuol dire lottare perché

una nuova verità sia avviata.

Un ultimo dubbio è la più

urgente delle necessità

ed è conoscenza vera.

Chi è sul carro o su un carro

deve buttarsi a terra e correre correre lontano

quando il traguardo è a portata di mano

e il carro è vincitore.

 

Non offrirti così non sarai comperato.

Questo non è un tempo orribile.

È un tempo nuovo.

Non è un tempo impossibile.

È un tempo che non perdona ma in cui ogni sera

si aspetta una notizia vera

da Maratona.

114853695-fbc9cd8a-ca38-4352-914a-d03e2aa6ece0Una nota su Roversi, l’omicidio di Lo Russo e le scor-date tratta dallaBottega del Barbieri

(*) Questa poesia di Roberto Roversi, poeta anticonformista e coraggioso, fu pubblicata prima sulla rivista «Inchiesta» e poi, in una più lunga versione, ne «Il cerchio di gesso», infine raccolta con altri testi in un volume intitolato “pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db) “>Il libro Paradiso“. Non è dimenticato Francesco Lo Russo, ucciso – con un colpo sparato alla schiena – dalle forze “dell’ordine”: ogni anno a Bologna molte/i lo ricordano. Però una preoccupante amnesia cala su quegli anni, sulla repressione e sulla Bologna che, come scrive qui Roversi, si preoccupa più delle vetrine rotte che di un ragazzo ucciso. Vi fu allora il silenzio di molti intellettuali: il Pci anzi chiamò le “teste pensanti” della sinistra a fare «le sentinelle» contro gli estremisti, cioè a difendere l’ordine costituito… Si stringeva un abbraccio mortale con la Dc che ebbe tanti nomi (compromesso storico, unità nazionale, governi d’emergenza) e un solo risultato: combattere idee e pratiche di sinistra. Al contrario di tanti Roversi non fu zitto né un giullare di regime. Si schierò dalla parte della rivolta. E il suo «cerchio di gesso» non rimanda solo a un’opera (quasi omonima) di Bertold Brecht ma soprattutto si riferisce a quei cerchi intorno alle pallottole, fatti con i gessetti – si possono ancora vedere in via Mascarella a Bologna, sotto una lastra di vetro che compagne/i da anni difendono dalle aggressioni di chi vorrebbe rimuoverla – dove uccisero Francesco.

Le scor-date. Per due anni, cioè dall’11 gennaio 2013 all’11 gennaio 2015 – la piccola redazione del blog di Barbieri e altri ha offerto (salvo un paio di volte per contrattempi quasi catastrofici) una «scor-data» che in alcune occasioni raddoppiava o triplicava: appariva dopo la mezzanotte, postata con 24 ore di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; ma qualche volta i temi erano più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi.

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