Fou­cault e l’attivismo senza redenzione

Saggi. «Foucault. Genealogie del presente», un volume collettivo per manifestolibri

«Ci tro­va­vamo con i tra­ve­stiti e i pro­blemi affron­tati in pri­gione dagli omo­ses­suali, con le donne in pri­gione, la cui sto­ria non è la stessa di quella degli uomini in pri­gione – ricorda Daniel Defert, com­pa­gno di Michel Fou­cault, mem­bro del Groupe d’information sur les pri­sons (GIP) – Non ricom­po­ne­vamo tutte que­ste poste in gioco all’interno delle grandi lotte pro­le­ta­rie, ma inci­ta­vamo nuove lotte nella società sull’identità, il genere, la ses­sua­lità. Era­vamo in tutt’altro regi­stro di lotte». Pochi rac­conti, come que­sto pub­bli­cato nel volume a cura di Paolo B. Ver­na­glione Michel Fou­cault. Genea­lo­gie del pre­sente, mani­fe­sto­li­bri, pp.175, euro 18) resti­tui­scono il clima di un’epoca durante la quale Fou­cault teneva i suoi corsi al Col­lège de France.
L’intervista con­cessa da Defert a Ora­zio Irrera e Daniele Loren­zini è qual­cosa di più di una memo­ria­li­stica nostal­gica del Ses­san­totto. La teo­ria è poli­tica: que­sto è il primo assunto di Defert. Poi: la poli­tica serve a creare com­por­ta­menti mili­tanti. Dall’incrocio tra teo­ria e prassi, nasce una nuova con­fi­gu­ra­zione delle lotte sociali e quindi la crea­zione di nuova poli­tica. È ancora tutto da stu­diare il con­tri­buto di Fou­cault a que­sta visione. Lo si può fare, sug­ge­ri­sce Defert, alla luce delle fol­go­ranti lezioni con­te­nute nel corso del 1984 sul Corag­gio della verità (Fel­tri­nelli). Que­ste pagine sono la più lucida rifor­mu­la­zione dell’attivismo poli­tico sulla base di un’analisi genea­lo­gica delle forme di mili­tanza dal XIX secolo a oggi.

La mili­tanza comu­ni­sta pre­scrive la dis­so­lu­zione dell’Io, poi la con­ver­sione, infine l’ascetismo e l’autoflagellazione. Fou­cault, che aveva abban­do­nato il par­tito comu­ni­sta fran­cese e aveva cri­ti­cato il marxismo-leninismo della «nuova sini­stra», scarta radi­cal­mente. Per creare un nuovo modello di atti­vi­smo – quello del Gip, ad esem­pio – lavora sulla filo­so­fia del cini­smo, dove ritrova due pra­ti­che contrapposte.

La prima è quella auto-punitiva che l’etica comu­ni­sta ha tratto dalla cul­tura cri­stiana, e ancor prima da un’idea stoica del sag­gio inte­res­sato alla for­ti­fi­ca­zione di sé, sul timore degli eventi, l’analisi di coscienza per tra­sfor­mare l’anima in una cit­ta­della for­ti­fi­cata. In attesa della reden­zione finale (il sag­gio di Laura Cre­mo­nesi). La seconda è quella che, ancora oggi, costi­tui­sce un modello di atti­vi­smo poli­tico più inte­res­sante: è il ten­ta­tivo di cam­biare il nostro rap­porto con noi stessi per inven­tare nuove rela­zioni con gli altri e nuovi modi di vita (i saggi di Daniele Loren­zini e Mar­tina Tazzioli).

L’idea più forte che emerge da que­sto volume ete­ro­ge­neo è la «poli­tica del noi». For­mula sug­ge­stiva, usata da Fou­cault in due con­fe­renze nel 1980 al Dart­mouth Col­lege inti­to­late Sull’origine dell’ermeneutica del sé (Cro­no­pio), la «poli­tica dei noi» indica un campo di bat­ta­glia imma­nente alla vita e alla sto­ria: ciò che siamo oggi, per­ché siamo pro­prio così e cosa potremmo essere. È anche un metodo. Per Fou­cault la poli­tica è fare una sto­ria, costruire una dia­gnosi, for­mu­lare una cri­tica dell’attualità. In terzo luogo: è il frutto di un’analisi genea­lo­gica dei saperi anti­chi. Serve per inter­ve­nire nel pre­sente e cam­biarlo radicalmente.

Si parte dal sé. Ma che cos’è que­sto «sé»? È il risul­tato delle poli­ti­che che assog­get­tano o libe­rano i sog­getti. Per que­sto non esi­ste un «sog­getto» ori­gi­na­rio, un par­tito imme­mo­riale, una natura da difen­dere e una purezza da riaf­fer­mare. Al con­tra­rio c’è una resi­stenza e la crea­zione di un altro sé con gli altri.
Ora, que­sti «altri» e, soprat­tutto, l’essere «con» loro non è cer­ta­mente una fac­cenda paci­fica. Su que­sto cri­nale si gio­cano opzioni poli­ti­che oppo­ste: il fasci­smo, il popu­li­smo, il comu­ni­smo, il nazio­na­li­smo, ad esem­pio. L’approccio di Fou­cault eli­mina la ten­ta­zione di restau­rare, o com­porre, un noi comu­ni­ta­rio o tota­li­ta­rio. E si apre alla spe­ri­men­ta­zione per dare una forma pre­cisa al cam­bia­mento. Qui emerge l’importanza della sua rilet­tura della filo­so­fia cinica: biso­gna poli­ti­ciz­zare la vita nello spa­zio pub­blico, met­ten­dola sotto gli occhi di tutti.

Que­sta è l’arma poli­tica dell’attivista, come del cinico. Entrambi «poli­ti­ciz­zano» luo­ghi e spazi ine­diti, come ha fatto il Gip con le pri­gioni. La poli­tica non si fa solo nelle aule par­la­men­tari, o in rete. Emerge in un con­flitto dove que­sto «noi» si com­pone, e ricom­pone, in un con­flitto. Poli­tica, come gioco e come rischio, men­tre il «noi» non è il segno di una chiu­sura solip­stica. È la forma che assume una poli­ti­ciz­za­zione pos­si­bile del presente.

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