«Io, prigioniero politico per 23 anni, ho visto svendere la Pale­stina »

Palestina. Dal 1967 ad oggi 850mila palestinesi sono passati per un carcere israeliano. Parla un ex detenuto: «Il movimento dei prigionieri è colonna della resistenza, perché forma e educa»

In 48 anni di occu­pa­zione di Cisgior­da­nia, Gaza, Geru­sa­lemme Est e Golan, Israele ha chiuso die­tro le sbarre delle sue pri­gioni 850mila pale­sti­nesi. Un numero esor­bi­tante di pri­gio­nieri poli­tici dal 1967 ad oggi, che non tiene conto degli arre­sti com­piuti dal 1948, anno di crea­zione dello Stato di Israele e della Nakba (cata­strofe) palestinese.

Nel 1974 l’Olp dichiarò il 17 aprile Gior­nata dei Pri­gio­nieri Pale­sti­nesi. Lunedì, in vista della com­me­mo­ra­zione di oggi, il Comi­tato dei Dete­nuti Pale­sti­nesi ha pre­sen­tato i numeri della repres­sione: degli 850mila pri­gio­nieri dal ’67 all’aprile 2015, 15mila sono donne e decine di migliaia bam­bini. Il numero di mino­renni è spa­ven­to­sa­mente aumen­tato negli ultimi 4 anni: 3.755 bam­bini arre­stati, 1.266 solo nel 2014.

Mar­tedì l’ennesima scure si è abbat­tuta sui pri­gio­nieri poli­tici: la Corte Suprema ha riget­tato la peti­zione pre­sen­tata da diverse orga­niz­za­zioni per i diritti umani che chie­deva la can­cel­la­zione della legge appro­vata nel 2011 e che vieta ai dete­nuti pale­sti­nesi di stu­diare per lau­rearsi all’università. Il diritto all’educazione, spiega la corte, non è con­si­de­ra­bile un diritto fon­da­men­tale per chi è incarcerato.

Una delle tante vio­la­zioni del diritto inter­na­zio­nale: «Gli arre­sti e le pro­ce­dure usate da Israele vio­lano il diritto uma­ni­ta­rio – ha spie­gato il Comi­tato dei Dete­nuti – I dete­nuti sono tor­tu­rati, fisi­ca­mente e psi­co­lo­gi­ca­mente. Il 100% degli arre­stati ha subito almeno una volta tor­ture». Dal 1967 206 pri­gio­nieri hanno perso la vita in car­cere, 71 per le tor­ture subite, 54 per man­canza di cure medi­che, 81 uccisi dai soldati.

E oggi? Men­tre scri­viamo die­tro le sbarre sono rin­chiusi 6.500 dete­nuti poli­tici. Di que­sti 480 con­dan­nati all’ergastolo; 30 in car­cere da prima gli Accordi di Oslo, nel 1994; 500 in deten­zione ammi­ni­stra­tiva (restri­zione cau­te­lare che non pre­vede accuse uffi­ciali e quindi un pro­cesso); 24 donne; 14 par­la­men­tari e un mini­stro; 200 bam­bini. E tante guide del movi­mento di resi­stenza, su tutti Mar­wan Bar­ghouti, da molti con­si­de­rato il più influente lea­der palestinese.

Tra que­gli 850mila pri­gio­nieri c’è anche Kha­led al-Azraq, rila­sciato il 30 otto­bre 2013, dopo 23 anni di pri­gio­nia. Israele ha det­tato le con­di­zioni della libe­ra­zione: per 10 anni non potrà uscire dalla Cisgior­da­nia, Geru­sa­lemme è ban­dita per sem­pre. Ven­ti­tré anni die­tro le sbarre sono tanti. Esci e il mondo è cam­biato: sei entrato prima di Oslo, esci dopo un’altra Inti­fada e tre guerre con­tro Gaza, con il campo pro­fu­ghi in cui vivi – Aida – cir­con­dato dal muro.

«Dopo tanti anni, uscendo, i cam­bia­menti della società si vedono con grande chia­rezza – spiega al mani­fe­sto – Vedi il fal­li­mento della società pale­sti­nese: la lotta non si è svi­lup­pata. Dal 1936 usiamo gli stessi mezzi senza pro­spet­tive di lungo ter­mine. La man­canza di una lea­der­ship fa sì che le lotte restino sepa­rate, tra Ter­ri­tori, Geru­sa­lemme, Pale­stina ’48 [l’attuale Stato di Israele, ndr], i rifu­giati della diaspora».

Eppure den­tro le car­ceri si com­batte come fuori, spesso ispi­rando la società esterna. «La pri­gio­nia non è mai un’esperienza per­so­nale, ma di popolo. Le sto­rie dei pri­gio­nieri sono simili. Come la mia: ho par­te­ci­pato alla prima mani­fe­sta­zione a 10 anni. Cominci con i graf­fiti sui muri, pro­se­gui con il lan­cio di pie­tre e arrivi alla resi­stenza armata».

Fino alla pri­gione. Dove la vita poli­tica non cessa, anzi, si radica. Negli anni il movi­mento dei pri­gio­nieri pale­sti­nesi è diven­tato il cen­tro del pen­siero poli­tico, ha for­mato nuovi lea­der e edu­cato la base. «Den­tro la pri­gione la vita è estre­ma­mente orga­niz­zata – con­ti­nua Kha­led – Ci sono isti­tu­zioni col­let­tive e ogni sei mesi si va alle ele­zioni. Ogni giorno si ten­gono lezioni di poli­tica, sto­ria, let­te­ra­tura. In pas­sato, i pri­gio­nieri che ave­vano fre­quen­tato la scuola inse­gna­vano ai con­ta­dini a leg­gere e scrivere».

«E poi ci si man­tiene in stretto con­tatto con le altre car­ceri: le comu­ni­ca­zioni sono fre­quenti, attra­verso avvo­cati, fami­liari o dete­nuti che ven­gono tra­sfe­riti. Così si orga­niz­zano le azioni col­let­tive, come gli scio­peri della fame. Sono ini­ziati negli anni ’70 quando ci fu presa di coscienza dei metodi della repres­sione israe­liana: impri­gio­nare gli atti­vi­sti e i lea­der, nella visione israe­liana, è il modo per spez­zare il movi­mento di libe­ra­zione, di inde­bo­lirlo. Ma non ci sono mai riusciti».

Gli scio­peri della fame più noti risal­gono al 1974 e al 1976, con l’obiettivo di costrin­gere Israele a rico­no­scere i dete­nuti come pri­gio­nieri poli­tici. Quello del ’76 durò 45 giorni, alcuni dete­nuti mori­rono per denu­tri­zione. Ne segui­rono altri, nel 1984, nel ’92, nel 2004.

«L’alto grado di orga­niz­za­zione interna, sia nella vita quo­ti­diana che durante gli scio­peri, è stato alla base dello scop­pio della prima Inti­fada – spiega Kha­led – Fino alla doc­cia fredda: gli accordi di Oslo. Ci pri­va­rono della nostra causa, la libe­ra­zione della Pale­stina sto­rica, pro­vo­cando un col­lasso del movi­mento dei pri­gio­nieri, che restò in una sorta di limbo fino al 2004. È inac­cet­ta­bile pro­se­guire nel cosid­detto pro­cesso di pace quando die­tro le sbarre restano migliaia di pri­gio­nieri politici».

Ma Kha­led è otti­mi­sta: il car­cere rimane il luogo della for­ma­zione poli­tica, dell’educazione degli atti­vi­sti, della loro tra­sfor­ma­zione in futuri lea­der. Ancora oggi le pri­gioni – in assenza di una vera lea­der­ship poli­tica – sono la guida della resistenza.

You may also like

1 comments

  1. Pingback: «Io, prigioniero politico per 23 anni, ho visto svendere la Pale­stina » | NUOVA RESISTENZA antifa'

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password