Assolto agente a Cle­ve­land. Proteste, scontri e 71 arrestati

Nel 2012 il poliziotto scaricò 49 colpi su un afroamericano. l’agente Brelo è il cin­quan­ta­cin­que­simo poli­ziotto rin­viato a giu­di­zio per omi­ci­dio in dieci anni — una minu­scola fra­zione delle «migliaia di ucci­sioni» avve­nute nello stesso periodo

Nella notte tra sabato e dome­nica, cen­ti­naia di mani­fe­stanti si sono river­sati per le strade del cen­tro di Cle­ve­land, per urlare la pro­pria indi­gna­zione dopo l’assoluzione di un poli­ziotto accu­sato di omicidio.

Agenti in tenuta anti­som­mossa e a cavallo hanno pre­si­diato la zona ed effet­tuato almeno 71 arre­sti. L’ultima città a venire risuc­chiata nella spi­rale di vio­lenza ed ingiu­stzia è un’altra metro­poli della rust belt – un altro colosso dein­du­stria­liz­zato e segre­gato, carat­te­riz­zato come St. Louis, Phi­la­del­phia, Bal­ti­more, da una sto­ria di rap­porti vele­nosi fra poli­zia e la mino­ranza afroamericana.

Cle­ve­land è la città dove a novem­bre la poli­zia ha ammaz­zato Tamir Rice, il bam­bino 12enne fal­ciato per­ché stava gio­cando con una pistola ad aria in un parco gio­chi. Pochi giorni prima — dopo una col­lut­ta­zione con la poli­zia sem­pre nella città dell’Ohio — era morta una gio­vane schi­zo­fre­nica, Tani­sha Ander­son. In quei casi non c’è stata ancora alcuna deci­sione disci­pli­nare nei con­fronti dei poli­ziotti, ma sabato la città ha rice­vuto noti­zia di un ver­detto atteso dal 2012: quello per l’agente Michael Brelo accu­sato di omi­ci­dio colposo.

I fatti risal­gono al novem­bre del 2012, quando la poli­zia ha ten­tato di fer­mare una mac­china dopo aver udito colpi d’arma da fuoco, poi rive­la­tisi pro­ve­nienti dal tubo di scap­pa­mento. Ne era nato un inse­gui­mento che ha coin­volto 60 volanti. I video sgra­nati delle tele­ca­mere di sicu­rezza ave­vano rive­lato una scena che sem­brava uscita dai Blues Bro­thers ma senza niente di buffo.

Nella Che­vro­let inse­guita c’erano Timo­thy Rus­sell e Malissa Wiliams, afroa­me­ri­cani in pos­sesso di stu­pe­fa­centi e in appa­rente stato con­fu­sio­nale (o sem­pli­ce­mente in preda al panico giu­sti­fi­cato di ogni nero che venga fer­mato not­te­tempo dalla polizia).

La rin­corsa a velo­cità fino 150 chi­lo­me­tri all’ora si era con­clusa nel par­cheg­gio di una scuola dove l’auto era stata cir­con­data dalle volanti. È qui che 13 agenti fecero fuoco spa­rando 139 colpi; 49 pro­iet­tili pro­ve­ni­vano dall’arma dell’agente Brelo che in piedi sul cofano dell’auto delle vit­time rica­ricò per ben tre volte l’arma d’ordinanza per assi­cu­rarsi di aver «neu­tra­liz­zato i sospetti».

I fatti del caso, estremi anche per una poli­zia che spe­cie nei quar­tieri neri con­si­dera l’ordine pub­blico come ope­ra­zione para­mi­li­tare, suscitò un moto di indi­gna­zione e Brelo venne rin­viato a giu­di­zio. Il ver­detto di Cle­ve­land è stato cali­brato appo­si­ta­mente per il sabato mat­tina di un wee­kend lungo, spe­rando di appro­fit­tare del ponte del Memo­rial day per mini­miz­zare le pro­ba­bi­lità di disordini.

Ancora una volta infatti la deci­sione è stata a favore dei poli­ziotti e pale­se­mente con­tra­ria al comune senso di giu­sti­zia. Nel respin­gere la tesi di omi­ci­dio il giu­dice si è dilun­gato — come era avve­nuto a Fer­gu­son — in una minu­ziosa lezione sui peri­coli affron­tati dalla poli­zia, per cui le raf­fi­che a ripe­ti­zione spa­rate da Brelo su quel cofano devono inten­dersi come legit­tima difesa.

Una enne­sima ingiu­ria con­tro le fami­glie delle vit­time che nell’arringa della difesa ave­vano già dovuto ascol­tare che Brelo, reduce della guerra in Iraq, era un sol­dato adde­strato ad «eli­mi­nare il nemico» e in quanto tale avrebbe solo seguito il regolamento.

Emble­ma­tica sin­tesi della cul­tura del gril­letto che domina ancora molta poli­zia ame­ri­cana e della con­si­de­ra­zione in cui i poli­ziotti ten­gono le comu­nità che dovreb­bero pro­teg­gere. Come mostra un’indagine del Washing­ton Post, l’agente Brelo è il cin­quan­ta­cin­que­simo poli­ziotto rin­viato a giu­di­zio per omi­ci­dio in dieci anni — una minu­scola fra­zione delle «migliaia di ucci­sioni» avve­nute nello stesso periodo (non esi­stono dati pre­cisi merito poi­ché la poli­zia non è tenuta a comunicarli).

La gran­dis­sima mag­gio­ranza degli agenti coin­volti non viene mai rin­viata giu­di­zio. Dei 33 pro­cessi ter­mi­nati indi­vi­duati dal Post dal 2005 ad oggi, 22, com­preso quello di Cle­ve­land, si sono con­clusi con asso­lu­zioni piene.

L’anno scorso un inchie­sta fede­rale aveva rile­vato nella poli­zia di Cle­ve­land una ripe­tuta ten­denza all’uso «di forza super­flua». Il pro­cu­ra­tore gene­rale di Washing­ton sta ora valu­tando un ulte­riore inchie­sta su even­tuali vio­la­zioni dei diritti civili delle vittime.

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