Philippe Gar­rel e il rapporto con la Memoria

Cannes 68. Un dibattito con il pubblico e la sorpresa di un corto ritrovato e girato nel ’68

La pro­ie­zione del film di  è stata seguita, come da pro­gramma, da un breve (ma intenso) dibat­tito con il pub­blico. L’inatteso è venuto dalla pro­ie­zione, ecce­zio­nal­mente aumen­tata di sei minuti dalla pia­ce­vole sor­presa di un film ritro­vato. Nel lon­tano 1968, ad un Gar­rel ven­tu­nenne, venne l’idea di girare una serie di corti di contro-informazione. Ne rea­lizzò solo uno, Acte 1, che si cre­deva per­duto. Ritro­vato recen­te­mente, è stato inse­rito nel pro­gramma, per la gioia di tutti i gar­rel­liani presenti.

Acte 1 riprende la forma este­riore (sei minuti, bianco e nero, 35 mm) dei cine­gio­nali Pathé ma ne ribalta il con­te­nuto (gol­li­sta). La gran parte delle imma­gini sono quelle, clas­si­che, degli scon­tri tra poli­zia e gli stu­denti intorno al Quar­tiere latino, che Gar­rel ha rico­struito ne Les Amants régu­liers; altre mostrano un grande cor­teo intorno alla Place de la Répu­bli­que (la rivo­lu­zione è pas­sata anche per la rive droite!). Una voce off recita qual­che fatto: «il tri­bu­nale Rus­sel ha dichia­rato che il gas lacri­mo­geno è un arma poten­zial­mente mor­tale» e molti slo­gan sul modello: «la rivo­lu­zione è…» Que­sti ultimi sem­brano uscire dal Libretto rosso, durante il dibat­tito Gar­rel ha invece pre­ci­sato che «sono tutti tratti da Sade».

In quanto docu­mento del cinema mili­tante  costi­tui­sce una curiosa intro­du­zione alla sto­ria d’amore e di tra­di­menti de L’ombre des fil­les. L’accostamento sem­bra fatto appo­sta per sot­to­li­neare una distanza tra l’uno e l’altro che il dibat­tito ha invece accor­ciato, sin dalla prima domanda: per­ché il bianco e nero? Dal ’ 68 ad oggi, è una domanda che Gar­rel si è sen­tito rivol­gere spesso, senza mai variare la rispo­sta: «Per­ché è meno caro». Nel ’68 era vero. Ma nel frat­tempo è acca­duto che la pel­li­cola b&n diven­tasse più cara di quella a colori e che il digi­tale ren­desse entrambe anti­e­co­no­mi­che. Il tempo ha tra­sfor­mato la verità in palese con­tro­senso. Tanto palese che il pub­blico ride, taluni pen­sando che Gar­rel scherzi, talal­tri che la bat­tuta esprima non tanto uno stato di cose attuale ma un attac­ca­mento (di Gar­rel) al pas­sato (è così anche per molti momenti del film, la sala ride, un po’ con il film un po’ con­tro il film). Ma non è detto che Gar­rel scherzi.

Qual­che domanda dopo, ritor­nando sul tema ha pre­ci­sato che la scelta del b&n con­sente effet­ti­va­mente di rispar­miare «sul trucco, sulle luci, sulle sce­no­gra­fie… e quindi sull’equipe e sui tempi di pro­du­zione di tagliare il bud­get della metà». Gar­rel si è dilun­gato sulla crisi eco­no­mica euro­pea, sul suo impatto sul cinema, sul ruolo di que­sto, che «in quanto pro­dotto, distrae il pub­blico dalla crisi eco­no­mica men­tre, in quanto indu­stria, pra­tica le misure d’austerità».

Dov’è la coe­renza tra un discorso così poli­tico e un film, L’Ombre des fem­mes, che, almeno in appa­renza, non ne con­tiene alcuno? A que­sta domanda, che nes­suno ha avuto la sfron­ta­tezza di porre diret­ta­mente, Gar­rel ha rispo­sto a suo modo par­lando del per­so­nag­gio del vec­chio eroe della Resi­stenza il quale (atten­zione si rive­lano ele­menti essen­ziali della trama) si rivela infine essere un mito­mane. Tutte le imprese che il par­ti­giano rac­conta davanti alla cine­presa di Pierre (Sta­ni­slas Merhar) sono finte. O meglio, «Que­sti rac­conti sono sto­rie vere, appar­ten­gono alla memo­ria della mia fami­glia e mi sono stati tra­smessi da mio padre (l’attore Mau­rice Gar­rel)» ma li ho uti­liz­zati per creare il per­so­nag­gio di uno che fa finta di aver par­te­ci­pato alla resistenza».

Già nel titolo, L’Ombre des fem­mes fa eco al film per eccel­lenza sulla resi­stenza, L’Armée des ombres, ma que­sta eco è inau­di­bile tanto sem­bra acci­den­tale. Oppure, come nel caso del rap­porto tra veri ricordi e falso par­ti­giano, se rie­sce a cogliere in un primo momento solo il chia­smo, l’inversione. Que­sto per­ché la Resi­stenza è «un mito intoc­ca­bile, un fatto indi­scu­ti­bile.» Ma pro­prio a que­sto a Gar­rel rea­gi­sce, come ha spie­gato, «non certo per negare l’importanza della Resi­stenza», ma piut­to­sto per istau­rare un altro rap­porto con la memo­ria. Non un rap­porto ogget­tivo ma un rap­porto sentimentale.

Il senso pro­fondo del film è che «la verità sen­ti­men­tale ha la meglio sulla verità sto­rica». Il sen­ti­mento non è apo­li­tico, grande lezione del ’68, che in que­sto deve certo più al mar­chese de Sade che al pre­si­dente Mao. Il sen­ti­mento non afferma cose poli­ti­che, ma le mostra. L’ombre des fem­mes in effetti non tiene un discorso, pre­fe­rendo far vedere (sin dalla prima inqua­dra­tura) delle con­di­zioni ogget­tive di vita dif­fi­cile che, pro­prio per­ché non sepa­rate dai sen­ti­menti, hanno l’eloquenza dell’effettività.

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