La battaglia e la festa, una giornata ad  Atene

Grecia. diario di Luciana Castellina. Nelle stesse ore in cui Tsipras gioca a Bruxelles la partita forse decisiva del negoziato, la riapertura della tv pubblica, la furia dei cosiddetti anarchici, le fatiche del «compagno negoziatore»

Una gior­nata ad Atene, una data casuale e però non un giorno qua­lun­que: pro­prio in que­ste ore Tsi­pras sta gio­cando a Bru­xel­les la par­tita forse deci­siva del nego­ziato. I gior­nali non-greci che leggo sull’aereo che mi ha por­tato nella capi­tale greca offrono sull’argomento titoli di prima e gri­dano allarme. Ad Atene, seb­bene di loro si tratti, i greci sem­brano più tran­quilli: per fata­li­smo? per abi­tu­dine? per­ché l’ora X di Gre­xit è stata suo­nata troppe volte e poi sem­pre rin­viata, sic­ché vale la sto­ria del bugiardo “al lupo al lupo”?

Dif­fi­cile dirlo. In par­la­mento, sem­pre in que­ste stesse ore, c’è Varou­fa­kis, solo, che spiega cosa suc­cede. Ma non ci dice niente di nuovo. Sono qui per una con­fe­renza — dia­logo con Tas­sos Koro­na­kis, il gio­vane segre­ta­rio di Syriza, una delle quat­tro di un ciclo pro­mosso dalla Fon­da­zione Pulan­zas, dal titolo ori­gi­nale: «La sini­stra e l’Europa».

E però men­tre noi discet­tiamo nel bel­lis­simo salone del dipar­ti­mento archi­tet­tura del Poli­tec­nico (e io sono assai con­tenta per­ché riscon­tro piena con­so­nanza con Tas­sos su pregi difetti e spe­ranze della nostra varie­gata costel­la­zione poli­tica) irrompe un branco di cosid­detti anar­chici arrab­bia­tis­simi. Sono solo una cin­quan­tina ma molto aggressivi.

C’è una col­lut­ta­zione sulla porta, poi alcuni e alcune rie­scono ad entrare e strap­pano a me e a Tas­sos i micro­foni: non per par­lare loro — che credo saremmo stati d’accordo nel con­ce­der­gli la parola — ma per distrug­gerli. E per­ciò noi cer­chiamo di difen­dere tena­ce­mente i pre­ziosi appa­rec­chi. Mi gri­dano in fac­cia che sono fasci­sta per­ché parlo con un fasci­sta, il segre­ta­rio di Syriza. Fasci­sta per­ché vuole il “new deal”. Che natu­ral­mente non è quello di Roo­se­velt che forse non sanno nem­meno cosa sia, ma un nuovo com­pro­messo con l’Unione Euro­pea. «Com­pro­messo», qual­siasi com­pro­messo o media­zione, è fasci­smo: punto e basta. E però con­tem­po­ra­nea­mente qual­cuno grida anche che Syriza sta facendo cac­ciare la Gre­cia dall’Europa.

Non c’è da pre­oc­cu­parsi, tran­quil­liz­zano i com­pa­gni, non è una pro­te­sta poli­tica, solo un gruppo di balordi con un di troppo di droga in corpo. Così in effetti pare anche a me, è visi­bile. Il disa­gio sociale pro­duce anche questo.

E così io e Tas­sos rico­min­ciamo a par­lare decla­mando qual­che sag­gezza su Lenin e i suoi com­pro­messi. Il pub­blico in realtà da me vor­rebbe che gli dicessi per­ché in Ita­lia la sini­stra non si uni­sce. Ma io non con­cedo rispo­ste sull’argomento: sarei sicu­ra­mente di parte e comun­que non convincente.

Cer­ta­mente poli­tico, invece, è quanto, sem­pre in con­tem­po­ra­nea, sta svol­gen­dosi nelle strade adia­centi al Poli­tec­nico, dove un furi­bondo Kke , il Pc un tempo detto dell’esterno (l’esterno essendo Mosca), sfila verso piazza Syn­tagma. È una folla con­si­de­re­vole, che chiede a gran voce aumento dei salari per tutti e subito e anche imme­diata con­ces­sione di tutto quanto si può chiedere.

Ma non è tutto quello che suc­cede ad Atene que­sta sera 11 giu­gno, per for­tuna: c’è anche la grande festa popo­lare, con con­certo di musica greca e tanta folla assie­pata e con­tenta, per salu­tare la ria­per­tura oggi, a due anni esatti dall’incredibile deci­sione di chiu­sura del governo Sama­ras, della Radio tele­vi­sione pub­blica: la Ert. Un grande evento, sul quale, almeno su que­sto, non si è dovuto trat­tare con Bru­xel­les ma che, tut­ta­via, desta, anche que­sto, qual­che pole­mica. C’è chi avrebbe voluto fosse dato più spa­zio all’esperienza del gruppo di gior­na­li­sti che, gra­zie al lavoro volon­ta­rio, ha garan­tito in que­sti due anni almeno l’informazione radio. Men­tre la destra grida natu­ral­mente con­tro la dit­ta­tura tele­vi­siva governativa.

Ter­mi­nata la densa gior­nata andiamo a cena in una piazza bella, popo­lare e affol­lata. Non per­ché la crisi non morda dav­vero, ma per­ché gli ate­niesi come i romani le sere d’estate non rinun­ciano ad uscire. La piazza è inti­to­lata a un vec­chio com­pa­gno ormai scom­parso, Avdi, nem­meno sin­daco ma solo con­si­gliere comu­nale, molto popo­lare a metà degli anni ’90. Era stato eletto dalla sini­stra all’epoca unita in Sinap­si­smos, pro­ve­niente dal gruppo che, a suo tempo, si era stac­cato dal Par­tito comu­ni­sta dell’interno per creare l’Akoa, la for­ma­zione «verde comu­ni­sta» cui aveva dato vita Janis Banas, grande amico nostro (del Pdup e del mani­fe­sto).

A tavola ci sono i ragazzi della Fon­da­zione, il loro capo Aris Golemi, c’è Tas­sos (che impru­den­te­mente gira senza guar­dia del corpo alcuna), Tonia Tso­va­tis, che ripub­blica sul set­ti­ma­nale del par­tito, Elef­te­ro­ti­pia, un sacco di arti­coli che escono sul mani­fe­sto. E più tardi arriva «un com­pa­gno nego­zia­tore». È gio­va­nis­simo, non ha ovvia­mente la cra­vatta e però ha anche una cami­cia a scac­chi. Mi rac­conta molte cose inte­res­santi. Dice che la trat­ta­tiva va così per le lun­ghe anche per­ché, seb­bene sem­pre minac­ciata, nes­suno sa come si affronta l’uscita di un paese dalla Ue ; e dun­que come com­por­tarsi quando dav­vero esce. Vale a dire cosa diventa la Banca Cen­trale, per esem­pio, che certo non recu­pera sovra­nità vera ma non ha più nem­meno la tutela dell’unione; cosa si fa dei rego­la­menti mini­ste­riali, in cui la Gre­cia è intri­cata per via della sua ade­sione dal 1981? E poi mi rac­conta quanto nes­suno avesse pre­vi­sto fino a che punto il libe­ri­smo fosse ormai “embed­ded” nelle pro­ce­dure dell’Ue, auto­nome dalla stessa sog­get­ti­vità dei sin­goli pre­si­denti i quali, ancor­ché potenti, si tro­vano tut­ta­via a dover agire entro uno spa­zio di mano­vra già deli­mi­tato dai mec­ca­ni­smi che loro stessi hanno inventato.

L’indomani, prima di ripar­tire, fac­cio ancora a tempo a pran­zare con un mini­stro, per­ché è un vec­chio amico. Ari­sti­dis Bal­tas, docente di filo­so­fia all’Università di Atene, deve occu­parsi dell’istruzione, della cul­tura, dello sport e delle reli­gioni. Ha sco­perto che pro­prio que­ste ultime gli danno i grat­ta­capi mag­giori: solo di chiese orto­dosse ce ne sono quat­tro, le più grosse, una dipen­dente dal patriar­cato di Istan­bul, l’altra di Mosca; poi ci sono quelle musul­mane, sun­nite e sciite e all’interno di cia­scuna delle affi­lia­zioni a que­sto o a quel paese medio­rien­tale. Infine ebrei e cat­to­lici. Rac­conta di quello che sta impa­rando nel guar­dare le cose dalla sua nuova, e inu­suale per gente come noi, col­lo­ca­zione di mini­stro, della com­ples­sità e rigi­dità della mac­china sta­tale, delle sue con­trad­di­zioni. (Invi­tato a una con­fe­renza su Deleuze e Guat­tari, anzi­ché limi­tarsi al saluto for­male dei mini­stri in que­ste occa­sioni, ha par­lato a lungo su «Il mini­stro e Guat­tari». Spero pro­prio di otte­nere la regi­sta­zione per pub­bli­carla sul mani­fe­sto!).

La cosa più impor­tante è comun­que che sta facendo, dal governo, la stessa bat­ta­glia che da noi si fa per le strade, quella che con­du­cono inse­gnanti e stu­denti con­tro la riforma Renzi-Giannini. E cioè con­tro quelli che inse­guono il fetic­cio moder­ni­sta della sele­zione meri­to­cra­tica, dell’eccellenza per pochi, pro­pria al modello anglo­sas­sone; con­tro una scuola gestita da un mana­ger come se fosse un’impresa.

La mat­tina dopo i gior­nali greci davano — della gior­nata pre­ce­dente — la seguente inter­pre­ta­zione: TaNea (esta­blish­ment cen­tri­sta, tran­qui­liz­zante): «Spe­ranza per una solu­zione. Un test per Tsi­pras». Poi, sem­pre in prima: «Cosa Fukuyama scrive sulla Gre­cia». Ma anche una buona noti­zia: «I ser­vizi segreti greci tor­nano sotto il con­trollo del Mini­stero per l’0rdine Pub­blico e la pro­te­zione dei cit­ta­dini». Efme­rida (cen­tro­si­ni­stra auto­ge­stito da una coop di gior­na­li­sti): aper­tura sul fisco, «Il Par­la­mento can­cel­lerà le misure ingiu­ste. Il voto lunedì». Etnos (indi­pen­dente): «Una mina sul nego­ziato da parte del Fmi». Kata­me­rini, (destra): «Le isti­tu­zioni chie­dono ad Atene un orien­ta­mento più rea­li­stico». «Tusk: abbiamo biso­gno di deci­sioni, non di nego­ziati». Grande foto di Varou­fa­kis in Par­la­mento, solo sui ban­chi del governo. Dida­sca­lia: «Soli­tu­dine». Ritzo­spa­zis (quo­ti­diano del Kke): immensa foto dello stri­scione che è stato sro­to­lato dalle fine­stre del mini­stero dell’economia occu­pato durante la mani­fe­sta­zione con la scritta «Prendi nelle tue mani la trat­ta­tiva, blocca il nuovo memo­ran­dum». Afgy (quo­ti­diano di Syriza): grande foto della folla alla festa per la ria­per­tura della Ert. Titolo: «Torna la demo­cra­zia dell’informazione, la tv del popolo».

Se per sapere come i greci rea­gi­scono a quanto suc­cede cre­dete ai son­daggi que­sti sono gli ulti­mis­simi. Cosa provi di fronte all’eventualità di una Gre­xit? Rispo­ste del 13 mag­gio e del 6 giu­gno: paura 50,5/51,5, spe­ranza 13/16, non ci sarà mai 8,5/4,5. Inten­zioni di voto al 6 giu­gno: Syriza 34,5, Nuova Demo­cra­zia 16,5, Alba Dorata 5,5, Potami 5,5, Kke 5, Pasok 3,5, Anea 3. Se doves­sero sug­ge­rire ai par­titi cosa fare il 55% con­si­glie­rebbe alla destra di lasciar per­dere Nuova Demo­cra­zia e rifarsi un altro par­tito. Al cen­tro sini­stra invece: il 39% di fare una nuova coa­li­zione di cen­tro sini­stra, il 30% di scio­gliere tutti i par­titi e fare due sole coa­li­zioni, a sini­stra con Syriza, a destra con Nuova Democrazia.

Ale­xis Tsi­pras resta comun­que più popo­lare che mai. Nono­stante la sua così dif­fi­cile posi­zione il 6 di giu­gno era fra il 68 e il 70%.

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