Un continente sull’orlo del baratro

La crisi vista da Berlino in una prospettiva critica nei confronti delle politiche di austerity dell’Unione europea nel nuovo libro dello storico Karl Heinz Roth

Tempi presenti. La crisi vista da Berlino in una prospettiva critica nei confronti delle politiche di austerity dell’Unione europea nel nuovo libro dello storico Karl Heinz Roth. Un’analisi dei tentativi finora riusciti della Germania di imporre ai paesi europei, a partire dalla Grecia, misure draconiane neoliberiste a difesa del modello tedesco

«Per due volte nella sua sto­ria più recente la Gre­cia si è tro­vata sull’orlo dell’abisso: durante la Seconda guerra mon­diale e nell’immediato Dopo­guerra, così come dopo la crisi eco­no­mica mon­diale del 2008/9 e fino a oggi, negli anni della depres­sione in corso.» Così apre Karl Heinz Roth il suo Grie­chen­land am Abgrund. Die deu­tsche Repa­ra­tions­schuld (per i tipi Vsa Ver­lag, Amburgo), agile opu­scolo dato alle stampe nel marzo scorso, a due mesi dalla vit­to­ria elet­to­rale di Syriza.

Un testo da leg­gere pro­prio in que­ste ore, alla vigi­lia del deci­sivo refe­ren­dum sulle pro­po­ste pre­sen­tate dalle cosid­dette «Isti­tu­zioni euro­pee» ovvero la Troika, insieme al pre­ce­dente volu­metto, redatto nel mag­gio 2013 dallo sto­rico tede­sco insieme a Zis­sis Papa­di­mi­triou, socio­logo e poli­to­logo all’Università Ari­sto­tele di Salo­nicco, e tra­dotto lo scorso anno in Ita­lia da Deri­veAp­prodi col titolo Mani­fe­sto per un’Europa egua­li­ta­ria. Come evi­tare la cata­strofe.

Quella cupa tendenza

Allora si trat­tava di ana­liz­zare i tratti omo­ge­nei delle poli­ti­che domi­nanti la scena con­ti­nen­tale, indi­vi­duando i costanti effetti sociali dell’austerity imple­men­tata nei pre­ce­denti quat­tro anni: ritorno della disoc­cu­pa­zione di massa, gene­ra­liz­za­zione del lavoro pre­ca­rio, sman­tel­la­mento delle resi­due garan­zie sociali e col­lasso dei diritti demo­cra­tici segna­la­vano per Roth e Papa­di­mi­triou «la cupa ten­denza» dell’Europa contemporanea.

Oggi l’attenzione torna sulla Gre­cia, assunta come caso para­dig­ma­tico delle con­se­guenze di quelle poli­ti­che e, al tempo stesso, spe­ci­fica variante di cui vanno com­prese fino in fondo le genea­lo­gie, fino al punto di indi­vi­duare pre­cise ricor­renze sto­ri­che. In que­sto senso, quello che può essere con­si­de­rato uno dei più signi­fi­ca­tivi espo­nenti dell’ «ope­rai­smo» di lin­gua tede­sca arti­cola in due momenti la sua let­tura dell’attuale passaggio.

Innan­zi­tutto deli­neando, a par­tire dalla pun­tuale descri­zione del con­te­sto socio-economico elle­nico, una pro­po­sta fina­liz­zata a soste­nere su scala euro­pea quella che defi­ni­sce, in rife­ri­mento alla nuova sta­gione inau­gu­rata dall’insediamento del governo gui­dato da Ale­xis Tsi­pras, «una ripar­tenza della Gre­cia».
I dik­tat della Troika e i tagli sociali che sono stati impo­sti – argo­menta Roth – hanno por­tato il paese alla «rovina»: è stato bru­ciato circa il quin­dici per cento del «capitale-sostanza» e il ren­di­mento eco­no­mico com­ples­sivo dra­sti­ca­mente ridotto per oltre il trenta per cento. I dati sono cata­stro­fici sia che si guardi agli inve­sti­menti pro­dut­tivi, sia ai livelli della domanda interna. Lo sto­rico ricorda come sia stato pro­prio The Eco­no­mist ad affer­mare che «l’economia greca corre sul vuoto.» Con quali rica­dute sociali è noto: gli indici di disoc­cu­pa­zione supe­rano ormai il 26 per cento, 340.000 per­sone hanno ali­men­tato una nuova ondata di emi­gra­zione, il red­dito reale è crol­lato di un altro 26 per cento, men­tre il 40 per cento della popo­la­zione soprav­vive al di sotto della soglia uffi­ciale di povertà.

L’espansionismo tede­sco

Nella capar­bia, e insen­sata anche dal punto di vista macro-economico, insi­stenza del per­se­guire poli­ti­che di auste­rity Roth chiama da subito in causa il ruolo gio­cato dalla Ger­ma­nia a par­tire dagli anni Cin­quanta. «Un’opzione stra­te­gica fon­da­men­tale» fin da quando gli Stati Uniti deci­sero di fare prima della Repub­blica Fede­rale, poi della nazione riu­ni­fi­cata, la potenza ege­mone in Europa: quella del «neo-mercantilismo» ovvero del siste­ma­tico con­te­ni­mento dei salari (e del red­dito sociale indi­retto) com­bi­nato con una stra­te­gia di dum­ping per l’export della pro­du­zione mani­fat­tu­riera. In altre parole «per per­met­tere un pro­cesso eco­no­mico espan­sivo, è stata costruita un poli­tica interna estre­ma­mente restrit­tiva».
Tale opzione viene raf­for­zata, dalla fine degli anni Set­tanta in poi, dalla crea­zione del sistema mone­ta­rio euro­peo, fino alla nascita della valuta unica. Per que­sto le élite tede­sche non pos­sono per­met­tersi di accet­tare la «virata verso mode­rati modelli di poli­tica eco­no­mica neo-keynesiani», che è certo al cuore delle pro­po­ste pro­gram­ma­ti­che di Syriza, ma costi­tui­sce anche il tratto carat­te­riz­zante alcune scelte negli Stati Uniti: «le com­bat­tono con feroce acca­ni­mento per sal­vare il modello tedesco.»

La pro­po­sta di Roth per sal­vare non solo la Gre­cia, ma per sot­trarre l’intera Europa a una situa­zione molto peri­co­losa, guarda però ancora più indie­tro. «Vi è una sorta di com­plesso d’inferiorità da parte delle élite ger­ma­ni­che nei con­fronti dei greci», sia per l’esito dell’invasione nazi­sta del 1941, sia per i nego­ziati sui risar­ci­menti di guerra con­clusi nel 1953.

Nel primo caso pen­sa­vano di annet­tersi facil­mente la Jugo­sla­via e la Gre­cia stessa, e invece incon­tra­rono un forte e radi­cato movi­mento di resi­stenza. Nel secondo il governo elle­nico fu allora tra i pochi a pre­ten­dere che fos­sero rico­no­sciute con­si­stenti ripa­ra­zioni per le tra­gi­che ingiu­sti­zie subite. E – sot­to­li­nea Roth – non si trattò «sol­tanto di un paio di vil­laggi dati alle fiamme» quanto di una pesan­tis­sima «ipo­teca posta dall’occupazione» sull’economia, sulla società e sulla vita stessa dei greci. Ad Atene e din­torni furono testate quelle pra­ti­che di deva­sta­zione e sac­cheg­gio, desti­nate poi ad essere scien­ti­fi­ca­mente appli­cate nell’attacco all’Unione Sovie­tica: la Gre­cia fu costretta a farsi carico dei costi dell’occupazione, ma anche a finan­ziare con un pre­stito for­zoso i costi com­ples­sivi delle infra­strut­ture per la pro­se­cu­zione della guerra in Nord Africa e in tutto il Medi­ter­ra­neo orien­tale. «Il risul­tato fu che, nell’inverno 1941/42, oltre cen­to­mila per­sone mori­rono di fame nelle grandi città dell’Ellade». Que­sto portò, si noti il paral­le­li­smo sto­rico, alla com­bi­na­zione di «un’economia alter­na­tiva di sus­si­stenza, esodo urbano verso le cam­pa­gne e dif­fu­sione della resi­stenza armata nelle aree rurali». I nazi­sti furono sor­presi dalla rea­zione popo­lare e rea­gi­rono con una «poli­tica del mas­sa­cro acce­cata dall’ira». Solide stime par­lano di 100mila case distrutte e 56mila tra bam­bini, donne, uomini bestial­mente assassinati.

Ma non c’è stata alcuna pro­por­zione tra la «dimen­sione mostruosa dell’occupazione e del sac­cheg­gio nazi­sta» – segnala qui lo sto­rico – e l’entità dei risar­ci­menti di guerra poi rico­no­sciuti. Diversi giu­ri­sti, di ogni pro­ve­nienza, si sono già espressi ricor­dando come la par­tita delle ripa­ra­zioni non possa essere con­si­de­rata affatto con­clusa, nono­stante le ipo­cri­sie di tutti i Governi Fede­rali fin qui suc­ce­du­tisi. Karl Heinz Roth ha il merito di affron­tare il tema fuori da ogni logica nazio­na­li­sta e can­cel­lando ogni facile reto­rica revan­chi­sta: come in tutto il suo per­corso di stu­dioso e mili­tante, è il nesso strin­gente e inag­gi­ra­bile tra memo­ria e schie­ra­mento di classe a bal­zare in primo piano.

La Bun­de­sbank ha riserve auree suf­fi­cienti, per non par­lare di altre risorse che potreb­bero essere messe in campo, per finan­ziare con un «atto gene­rale di risar­ci­mento» un piano straor­di­na­rio in cui, come punto di par­tenza deci­sivo, dovrebbe col­lo­carsi la deci­sione del Governo tede­sco di appro­vare una imme­diata «mora­to­ria e taglio del debito» greco.

Il tra­collo europeo

È que­sto l’ossigeno per la crisi eco­no­mica e sociale della Gre­cia, neces­sa­rio anche a con­sen­tire una «nuova fon­da­zione euro­pea.»
Per­ché – come già soste­nuto da Papa­di­mi­triou e Roth in Die Kata­stro­phe verhin­dern, e reso a tutti evi­dente dalla miope e cri­mi­nale gestione, da parte delle oli­gar­chie euro­pee, dell’ultima fase dei nego­ziati e dell’indizione del refe­ren­dum – di fronte a que­sto «l’Eurozona e l’intera Unione Euro­pea rischiano il tra­collo, sul fronte eco­no­mico con l’esplosione di povertà su vasta scala e sul fronte poli­tico con l’emergere di destre estreme e nuove spinte nazio­na­li­sti­che.» Se figura cen­trale dell’odierno assetto euro­peo è pro­prio la Ger­ma­nia, che con­tra­sta aper­ta­mente ogni ini­zia­tiva volta a rie­qui­li­brare i rap­porti sociali, nes­sun ritorno alle sovra­nità nazio­nali, poli­ti­che o eco­no­mi­che, è ormai pra­ti­ca­bile. La rispo­sta sta in altri pre­sup­po­sti: nello svi­luppo di un nuovo e più vasto moviemnto sociale, che «non solo sostenga e pro­tegga l’esperimento di governo greco, ma impari anche ad affron­tare la que­stione etico-politica di una radi­cale ridi­stri­bu­zione». Che sap­pia – aggiun­giamo – con­trap­porre alla domi­nante pro­du­zione poli­tica della paura, la capa­cità di «por­tare la paura nel campo nemico» (come si poteva leg­gere su uno degli stri­scioni di Bloc­kupy a Fran­co­forte lo scorso 18 marzo), quello delle oli­gar­chie e del capi­ta­li­smo finan­zia­rio. Solo così sarà forse pos­si­bile pro­muo­vere pro­cessi di cam­bia­mento in tutti gli ambiti della vita, den­tro un nuovo pro­getto di Europa demo­cra­tica e fede­rale. Solo così sarà forse pos­si­bile «evi­tare la catastrofe».

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