La sto­ria come misura del mondo

Ritratti. La morte dell’economista Aurelio Macchioro, all’età di cento anni. Un marxista peculiare che guardava sempre alle mutazioni della società

Aure­lio Mac­chioro è scom­parso il primo ago­sto ad età molto tarda. Aveva com­piuto 100 anni da poco. Il giorno del suo com­pleanno (24 marzo) stava rileg­gendo uno dei grandi clas­sici che con­ti­nua­mente fre­quen­tava: La mon­ta­gna incan­tata (l’edizione in suo pos­sesso non era ancora quella de La mon­ta­gna magica). Fino a pochi anni prima, scri­veva ancora saggi e studi di straor­di­na­ria luci­dità ana­li­tica.
I rap­porti economico-sociali di una realtà data – soste­neva – sono leg­gi­bili solo attra­verso cate­go­rie che ten­gano conto dei pro­cessi che hanno deter­mi­nato e con­ti­nuano a deter­mi­nare il sistema di rela­zioni carat­te­riz­zante quella realtà. Si tratta di «cate­go­rie sto­ri­che», nel con­tempo, però, tali cate­go­rie «fanno parte della teo­ria stessa». Traggo que­sta cita­zione dall’Introduzione di Aure­lio Mac­chioro al I volume de Il Capi­tale, l’edizione Utet del 1974, scritta cioè in tempi di pre­va­lenza di marxismo-chiacchiera, di «mar­xo­la­li­smo», di «mania­ca­lità mar­xo­la­lica», per espri­mersi con la ter­mi­no­lo­gia del nostro autore. Ebbene quelle due righe pos­sono con­si­de­rarsi dav­vero esem­plari del modo mac­chio­riano di essere mar­xi­sta e stu­dioso di teo­ria economica.La rifles­sione di Mac­chioro sulle «cose eco­no­mi­che» ha pro­ce­duto in senso inverso rispetto al modo in cui hanno ope­rato gli stu­diosi di pen­siero e sto­ria eco­no­mica della mia gene­ra­zione (quella cioè che ha fatto le sue prime prove negli anni Set­tanta). Que­sti ultimi, dagli ini­ziali inte­ressi sto­rici, sono pas­sati alla ana­li­tica teorico-quantitativa, alla teo­ria neo­clas­sica retro­spet­tiva. Per cui molto spesso, la loro mate­ma­tiz­za­zione quan­ti­ta­tiva, priva di pro­blema sto­rico è priva anche di domande di senso sto­rico, cioè di pos­si­bi­lità di spie­ga­zione.
Mac­chioro, invece, ini­ziò il suo per­corso di stu­dioso pro­prio come eco­no­mi­sta teo­rico, per poi uti­liz­zare que­ste com­pe­tenze, come «pro­pe­deu­tica» – così ha affer­mato – all’analisi delle cose eco­no­mi­che, un’indagine che con­ti­nuava ad aver biso­gno della teo­ria. Dun­que – sot­to­li­neava ancora – «uno sto­rico del teo­ri­smo non deve porsi al guin­za­glio del teo­ri­smo; è il teo­ri­smo che deve porsi al guin­za­glio dell’anamnesi sto­rio­gra­fica». Rom­pere con la teo­ria «per amor della teo­ria» (Gat­tei – Qua­ranta, 2002).

«L’economico in sé non esi­ste – avrà a dire – vi sono ragio­na­menti retti da dei se dei quali gli eco­no­mi­sti riem­piono i libri teo­rici; e ci sono d’altra parte degli orien­ta­menti, descri­zioni e con­si­gli pra­tici di cui i mede­simi eco­no­mi­sti riem­piono i loro libri di eco­no­mia appli­cata. Infine, vi è la realtà la quale non è né eco­no­mica né anti­e­co­no­mica: è sem­pli­ce­mente dato sto­rico». Una realtà il cui cri­te­rio prin­ci­pale di inter­pre­ta­zione cri­tica con­ti­nua a pas­sare per la «scienza eco­no­mica». Quale «scienza eco­no­mica»? Di qui la pecu­lia­rità del suo mar­xi­smo. In un testo ancora ine­dito, una conversazione-intervista del 2003 (che uscirà nella pri­ma­vera 2016, insieme ad altre conversazioni-interviste con mae­stri della sto­rio­gra­fia ita­liana del secondo dopo­guerra), Mac­chioro si poneva il pro­blema di ripren­dere le fila della cate­go­rie ana­li­ti­che per inter­pre­tare un mondo tanto mutato rispetto ai «trenta gloriosi».

Un mondo che per l’Italia signi­fica l’ampliamento del «qua­dro del ter­zo­mon­di­smo, una sco­la­riz­za­zione desco­la­riz­zante, le oli­go­po­liz­za­zioni, la mor­ti­fi­ca­zione della forza lavoro… È da que­sto che noi dob­biamo deci­frare que­sto inci­pit di XXI secolo e dob­biamo farlo mediante gli stru­menti che la cri­tica dell’economia poli­tica ci offre. Hic Rho­dus, hic salta». Ecco, uti­liz­zare una cri­te­rio­lo­gia desunta da «cri­tica dell’economia poli­tica» signi­fi­cava pri­vi­le­giare Il Capi­tale come il luogo per eccel­lenza di un Marx vivo.

«Vivo», nel senso che è neces­sa­rio acco­star­visi tra­mite con­te­stua­liz­za­zioni sto­ri­che ed acri­bia filo­lo­lo­gica sep­pure siamo con­vinti che sia pos­si­bile indi­vi­duare ne Il Capi­tale una trama teo­rico pra­tica atta ad segna­lare le com­po­nenti fon­da­men­tali di movi­mento del mondo in cui ancora oggi viviamo. Vivo ma non «vivente» cioè un Marx «varia­mente domi­ci­liato nelle capi­tali dell’aggiornamento mili­tante».
Forse sarebbe neces­sa­rio riflet­tere sul fatto che, nono­stante una let­te­ra­tura non secon­da­ria ci deli­nei un mar­xi­smo ita­liano senza Capi­tale, il punto più alto del mar­xi­smo teo­rico in Ita­lia, quello di Anto­nio Labriola, abbia avuto la sua cen­tra­lità ana­li­tica pro­prio in quel testo.
E che la stessa cosa si possa dire per il secondo dopo­guerra a pro­po­sito di Aure­lio Mac­chioro, uno dei teorici-storici dell’economia più aperti e pro­ble­ma­tici del pro­prio (e nostro) tempo.

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