Mi piace pensare che quel gesto eroico di quella ragazza, che seppi essere stata una giovane prostituta, aveva contribuito a vendicare in piccola parte le donne di Ravensbrück
Sergio, mio padre, l’8 settembre del 43 è militare vicino a casa, diserta e con un gruppo di amici compie una delle prime azioni partigiane in Italia: il 14 settembre disarmano una caserma delle guardie vallive. Ancora non si ha idea di che fare, gli altri danno origine al Gruppo libero che sarà il nucleo attorno a cui nascerà la 28° Garibaldi di Ravenna. Ma mio padre vuole fare la guerra “vera”. Scende al Sud per incontrare gli inglesi, pensando che nasca un esercito italiano per combattere insieme a loro. Arriverà dagli inglesi, che si mettono a ridere e gli dicono che potrebbe collaborare con l’OSS (Office of Strategic Services, il servizio segreto). Ma lui vuole combattere.
Torna al Nord dopo aver accompagnato dei commando inglesi a far saltare un ponte, poi riprende il suo viaggio. A quel punto viene catturato dai tedeschi, che non sanno bene che fare; ancora non hanno le idee chiare, per cui lo tengono in paese tra le montagne col divieto di parlare con chiunque, in attesa di ordini. I tedeschi controllano ogni uscita. Una sera, mentre beve alla fontana del paese, una bella ragazza gli chiede: cosa ci fai qui. Lui risponde: succede. L’indomani torna alla stessa ora, arriva anche lei, inizia un dialogo, una frase a sera; mentre uno beve e l’altro aspetta. Lei una sera gli chiede: ma vorresti andartene. E lui: certo, ma come?
Dal giorno dopo iniziano a organizzare la fuga, Sergio si nasconderà in un baule e lei sfollerà dal paese portandosi il baule in un camion tedesco. Il giorno convenuto lui arriva a casa di lei non visto; tutto sembra procedere bene, lo chiudono dentro il baule. Poco dopo sente sollevarsi il baule e trasportare via; a un certo punto si sente appoggiare a terra, passa un tempo infinito.
Difficile immaginare cosa si provi chiusi in un baule, non puoi muoverti non puoi fare il minimo rumore non puoi andare in bagno, tutto è sofferenza. Paura.
Mio padre ascolta il frastuono di camion, urla di tedeschi: che succede? Nulla, solo rumori. Sente sollevare e muovere il baule, ma viene di nuovo appoggiato e aperto: è di nuovo nella casa, ma almeno puo muoversi e andare in bagno. La ragazza dice che è partito solo un camion. Riproveranno un altro giorno. Sergio risponde: sì, ma non dentro un baule piuttosto mi faccio fucilare. Nei giorni successivi arriva notizia che i tedeschi al passo avevano sequestrato i bagagli, per cui è comunque impossibile ritentare, e lui ne è contento.
Di sera in sera, organizzano un altro piano: lui si travestirà da donna e insieme saliranno su un camion di tedeschi per sfollare. Sergio, giovanissimo, ha pochissimi peli, però nel paese non riescono a trovare una lametta da barba. Partiranno comunque così. Una donna di un metro e ottanta con qualche radissimo pelo; lo aiuta il fazzoletto in testa, che allora al Sud portano tutte.
Salgono sul camion, sono in viaggio a un certo punto i tedeschi dicono: la signorina alta può sedere in cabina; interviene rapida la ragazza, che dice: vengo io, no vogliamo la signorina alta, insistono. Lui non parla mai. Lei dice: mia sorella è malata, vengo io; riesce a fatica a convincerli. Arrivano alla fine del viaggio, è ormai buio. I tedeschi prendono in braccio la ragazza per aiutarla a scendere e mio padre commette un errore clamoroso: salta giù dal camion (per la paura che, guardandolo da vicino, si accorgano che è un uomo). All’epoca nessuna donna avrebbe fatto un salto del genere. I tedeschi capiscono, e urlano: è un uomo. La ragazza si mette in mezzo, piangendo e dicendo: è malato. I soldati urlano, macché malato è un disertore! Mio padre afferra la giovane per un braccio e inizia a correre, corrono per le strade buie di questo paese sconosciuto; alle spalle le urla dei tedeschi, il rimbombo degli stivali!
Mi racconterà poi: non potete immaginare quanto sia forte il rumore degli stivali nella notte. In quel momento pensa alla ragazza che probabilmente morirà per averlo aiutato. La disperazione è assoluta ma corrono, corrono, imboccano una stradina, vedono filtrare la luce da una porta socchiusa, entrano e chiudono lentamente la porta alle loro spalle. Quelli della famiglia a tavola dicono: avete fame? Accomodatevi, stavamo per metterci a tavola. Si siedono, mentre da fuori arrivavano le urla dei tedeschi, poi il rumore degli stivali che si allontanano.
Mangiarono felici, come si può essere felici solo quando la morte ci ha sfiorato. Gli ospiti offrirono loro da dormire e da lavarsi, senza chiedere mai nulla.
Al mattino si separarono: Sergio prese un treno per Roma, lei andò dove doveva. Arrivato a Roma, capì che tutto era cambiato. Da lì in avanti sarebbe stata molto più dura, i tedeschi sapevano che fare!
Nell’aprile ’45 mio padre è con la 6° Compagnia della 28° Garibaldi. Si svegliano e davanti hanno centinaia di tedeschi che avanzano in file indiane, il Comandante dei canadesi, con loro, dice: noi ci arrendiamo. Rino, il comandante della compagnia estrae la pistola e dice: fate come volete, ma io sparo nella schiena al primo che si avvicina alla porta, noi non ci arrendiamo!
Appoggiarono le mitragliatrici alle finestre, i quattro mitraglieri della compagnia fermarono 1200 tedeschi; gli altri, tra cui mio padre, ricaricavano i nastri fino a quando non arrivarono i carri armati inglesi, davanti alle loro finestre contarono 800 tedeschi.
Per Sergio, questo fu un altro incubo ricorrente. I soldati tedeschi che venivano avanti contro il fuoco delle mitragliatrici, facendosi ammazzare inutilmente, tanto era evidente che non avevano nessuna speranza e uno dopo l’altro cadevano sui corpi dei loro camerati!
Mi piace pensare che quel gesto eroico di quella ragazza, che seppi essere stata una giovane prostituta, aveva contribuito a vendicare in piccola parte le donne di Ravensbrück!
Mio padre diceva: io non sono mai stato con una prostituta, ma le ho sempre rispettate e fatelo anche voi, perché a una di loro devo la vita. Non giudicatele mai perché possono essere grandi persone. Ci voleva molto più coraggio a fare quello che fece lei, rischiare la vita per uno sconosciuto e affrontare la paura di essere scoperti e uccisi, sempre vicini ai nemici armati, la paura dello stupido errore o del destino infausto! Più facile combattere e rischiare la vita con le armi in pugno per degli ideali che condividi con i tuoi compagni.
Mi sono chiesto: chissà se quella notte, finalmente al sicuro, fecero l’amore. Peccato non averglielo chiesto.
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