Rossanda: temo un cortocircuito tra fondamentalismo, razzismo e disagio sociale

L’intervista a Rossana Rossanda: «A uccidere non sono i dannati della terra» La linea che non c’è «Non ho una linea. Di certo l’Occidente non ha fatto altro che alimentare furore »

«Una linea non ce l’ho», ammette Rossana Rossanda quando, dopo aver risposto con numerose domande alle domande dell’intervista, le si chiede se questa volta dalla sua analisi delle circostanze non deriva un’indicazione, una proposta di strada da seguire. Dalla Parigi nella quale abita da tempo, parla avendo alle spalle una notte trascorsa fino alle due del mattino ad ascoltare notizie sugli assalti di venerdì. A 91 anni, la comunista eretica alla quale i capelli bianchi vennero a 32 nei giorni dell’invasione sovietica di Budapest, anche se la radiazione dal Pci con il gruppo del Manifesto risale a più tardi, resta critica verso i governi occidentali eppure non offre proposte di strategie. «Capisco che non è semplice per la polizia prevenire o bloccare offensive così», riconosce. E teme che, nel complesso, possa andare peggio di adesso.
Stava dicendo che vede un rischio di cortocircuito tra integralismo islamico e razzismo? Di fronte a questa domanda nel corso della conversazione, Rossana Rossanda osserva: «Sì, di un cortocircuito tra fondamentalismo, razzismo e disagio sociale. Non abbiamo ancora capito bene e del tutto da dove vengano quelli che hanno sparato. Esiste comunque a Parigi e altrove un disagio sociale forte. E per ragazzi scombussolati, avviliti, forse è più facile sentire le predicazioni di un imam, elementari, ma chiare, piuttosto che quelle della destra atea».
Lei ha vissuto passaggi anche brutali della storia. Da «ragazza del secolo scorso», per usare la definizione data di sé nella sua autobiografia, quali le evocano le stragi di venerdì?
«Non i tedeschi o la guerra. Con lo Stato Islamico siamo davanti a un fenomeno del tutto nuovo. Non era il modo di operare dei tedeschi in guerra. Qui c’è un gruppo, non si sa quanto consistente, di persone decise a morire. Non le spaventi. Hanno messo la morte nel conto. Quelli che fanno esplodere le cinture sono tagliati in due».
Uno dei suoi articoli più celebri per il Manifesto fu un commento nel quale, pur condannandoli, definì i terroristi rossi degli anni 70 parti dell’«album di famiglia» del comunismo italiano. I terroristi che hanno agito a Parigi non appartengono ad alcuna famiglia culturale europea: come influisce sui modi di contrastarli?
«È una domanda. Vorrei capire: chi sono? Vengono dalla Siria o sono francesi?».
Se si capirà che venivano principalmente dalla Siria sarebbe stata un’operazione più marcatamente militare?
«Sì. Una risposta ai bombardamenti voluti da François Hollande in Siria».
Se i terroristi erano in prevalenza francesi?
«Problema ancora più grosso: allora venivano dalle periferie, si confondono con il disagio sociale».
Neppure per lei sarà però una disperazione assecondabile: le sembrano «i dannati della terra», oppressi in cerca di giusto riscatto?
«No, non sono i dannati della terra. A giudicare dai casi passati non sono neppure i più poveri. Ci sono tracce di disperazione vendicativa: perché un ragazzo si faccia ammazzare serve una decisione. Non posso pensare che siano tutti musulmani integralisti che si fanno uccidere perché sarebbero accolti da bellissime vergini. È un fenomeno che nel ‘900 non c’era, e c’è la necessità di capire come e perché avviene».
Rossanda, dunque non ha una linea? Al di là della condanna, naturalmente.
«Una linea non ce l’ho. Se non osservare che l’Occidente finora non ha fatto altro che alimentare questo furore, questa disperazione. La Libia oggi è incontrollabile e per una scelta di Nicolas Sarkozy. Abitanti di alcuni Paesi sono stati profondamente offesi, non si poteva fare operazione più cretina di quella fatta da Bush in Iraq» .
Lo pensa da anni. Ma adesso?
«Come Etienne Balibar (filosofo francese, ndr ) credo che quanti varcano le frontiere non sono decapitatori, li si appoggi per dare una scossa a un’Europa basata sull’austerità».

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