Banditi per ideologia

Banditi a Milano

«I ragazzi della barriera» di Claudio Bolognini, per le edizioni Agenzia X: un romanzo che ripercorre, anche attraverso fonti documentarie, la storia dei cinque rapinatori immortalati nel film di Carlo Lizzani

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Fiction e letteratura sempre più spesso si nutrono dalla ricca cronaca italiana per riadattare le vicende che hanno macchiato di sangue il Paese. Già nel ’68, appena un anno dopo l’arresto della banda Cavallero, uscì il film di Carlo Lizzani Banditi a Milano. Sceneggiato nel contesto degli anni del boom economico, con Volonté nei panni di un megalomane Pietro Cavallero detto il Piero, racconta alcune delle rapine fra Milano e la provincia di Torino, specialmente quella più tragica, all’agenzia n.11 del Banco di Napoli in largo Zandonai. Era il 25 settembre 1967, quattro morti e venti feriti nella sparatoria tra forze dell’ordine e banditi, durante una corsa per le strade di Milano a centotrenta all’ora. Oggi, il romanzo I ragazzi della barriera (Agenzia X, pp. 219, euro 14) di Claudio Bolognini, ripropone l’intera vicenda, indagando le motivazioni che spinsero la banda a passare all’azione. Dove erano cresciuti, il loro background e i cinque anni di vita criminale. Bolognini si fa aiutare da un espediente narrativo, un io di fantasia amico di Cavallero che, per primo, intuisce chi fossero i banditi di cui tutti i giornali riportavano le gesta e a cui affida le riflessioni per non aver fermato quella che, ad un certo punto, si trasformò in scellerata violenza.

Cinque ragazzi: Pietro Cavallero figlio di Natale, artigiano che aveva fatto della propria bottega una specie di soccorso rosso, il pugliese Sante Notarnicola, il partigiano Adriano Rovoletto, il calciatore Donato Lopez detto Tuccio, entrato nella banda alla morte di Danilo Crepaldi per incidente aereo, cresciuti nel quartiere proletario Barriera di Milano, periferia nord di Torino. I primi anni, i tuffi e la pesca nello Stura, gli appuntamenti nella sezione Banfo del Pci, Piero che distribuiva l’Unità porta a porta, i racconti dei partigiani, gli scioperi, la manifestazione di piazza Statuto del luglio 1962. Piero, pur con un buon eloquio e un discreto seguito, viene considerato una testa calda ed espulso dal partito. Ma cosa poteva fare un singolo comunista per trovarsi pronto al momento della rivoluzione? Piero lavora sul tram n. 15, quello che passa per il centro e, guardando caffè e negozi, comincia a domandarsi cosa il partito avesse fatto per lui. Durante il processo dirà di aver visto il partito subire «un’involuzione che lo portava ad imborghesirsi, a integrarsi nel sistema». Allora la prima rapina all’ufficio paghe della Fiat-Ferriere, e poi le banche, perché sono «il simbolo più sfacciato del capitale. È il cardine del sistema. Attaccando una banca, si compie di per sé un atto rivoluzionario, perché non si colpisce il singolo capitalista ma l’istituzione».
Alla lettura della sentenza, gli imputati intonarono Figli dell’officina. L’importanza della banda nell’immaginario collettivo di quegli anni venne rafforzato in seguito dal comunicato del 24 aprile 1978 delle Brigate Rosse che, per salvare la vita ad Aldo Moro, misero in testa ai prigionieri politici da liberare, Sante Notarnicola.

Non si arricchirono mai, fino all’ultimo le loro vite restarono quelle di sempre, legate alla Barriera e ai campi incolti della periferia torinese. Il romanzo allora diventa strumento per comprendere le personalità dei protagonisti, affascinati dallo Stalin che rapinava banche per finanziare la rivoluzione bolscevica e determinati nel conseguire l’utopia comunista. Se nel suo testamento politico Togliatti auspicava una via pacifica verso il socialismo, nello squilibrio con il compromesso sta l’essenza de I ragazzi della barriera. Avvalendosi della ricerca documentaria, il libro riesce a far emergere quando l’atto politico rivoluzionario diventa azione criminale, la frattura tra i fedeli alla via italiana al socialismo e i rivoluzionari, in altre parole: l’allontanarsi dell’ideale e la fine del sogno. Un approccio critico/narrativo sulle dinamiche intime che hanno segnato scelte personali ma anche gran parte delle macrotrasformazioni politiche di quegli anni. Nell’ultima drammatica fuga, Piero dice a Sante: «Non c’è più niente, cosa vuoi sia rimasto, tra le spese e le armi, i soldi finiscono in fretta». Diciannove rapine, tre nel giro di pochi minuti.

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