Primo maggio, spintoni e Costituzione

Torino. Cronaca da un banchetto dove, sotto la pioggia, si raccoglievano le firme per i referendum. Ovvero quello che possono insegnare la contestazione allo spezzone del Pd nel corteo e la reazione delle forze dell’ordine

«Le Costituzioni e i sistemi politici dei paesi della periferia meridionale mostrano, in genere, le seguenti caratteristiche: governi deboli; stati centrali deboli rispetto alle regioni; tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori, diritto di protestare se cambiamenti sgraditi arrivano a turbare lo status quo. Ma qualcosa sta cambiando: il test chiave avverrà l’anno prossimo in Italia, dove il nuovo governo ha chiaramente l’opportunità di impegnarsi in importanti riforme politiche» (da un documento della banca americana J.P.Morgan del giugno 2013). Questo passaggio mi è tornato in mente durante il corteo del primo maggio a Torino. I media parlano di disordini provocati dagli antagonisti. Essendone stato testimone posso dire che non è andata così. Vado con ordine.

Il primo maggio è, da sempre, un’occasione di mobilitazione sui temi del lavoro e della democrazia. In questo 2016 era, dunque, l’occasione anche per raccogliere le firme a sostegno dei referendum contro l’Italicum e le modifiche costituzionali, norme che vorrebbero attribuire a una minoranza politica la maggioranza parlamentare, trasformando la democrazia da «governo dei più» in «governo dei meno» e marginalizzando ogni forma di opposizione. Così, come comitati per il no a quelle «riforme» abbiamo installato i nostri banchetti alla partenza del corteo. Per ripararci dalla pioggia ci siamo sistemati sotto i portici. C’erano, a fianco e insieme, i banchetti a sostegno dei referendum sociali. Non era un gran primo maggio. Faceva freddo, nonostante la stagione. Ma soprattutto la partecipazione era inferiore al solito e si toccavano con mano rabbia e delusione. Poco alla volta, però, le firme si sono moltiplicate.

Ben più che nelle settimane precedenti, con una evidente crescita di consapevolezza della posta in gioco e della connessione tra il versante sociale e quello istituzionale. Quando il corteo si è avviato ci siamo spostati, per la raccolta, a metà percorso, in piazza Castello, e anche lì si sono formati ai banchetti piccoli capannelli per sottoscrivere le richieste di referendum. Intanto il corteo procedeva. Improvvisamente, dopo il passaggio della delegazione del Partito democratico (numericamente ridotta e circondata da un nervoso servizio d’ordine e da un imponente schieramento di forze dell’ordine, in divisa e in borghese), la strada è stata bloccata da un muro di polizia, carabinieri e guardia di finanza con scudi e manganelli. Evidente l’intenzione di impedire il contatto tra la delegazione del Pd e la parte successiva del corteo, più imponente di quella già transitata e comprendente non solo i cosiddetti antagonisti e i «pericolosissimi» No Tav, ma anche, tra gli altri, il gruppo della lista di sinistra per le prossime elezioni comunali guidata dall’ex segretario torinese della Fiom, Giorgio Airaudo. Dai manifestanti, a cui non era consentito proseguire, si è alzato il coro «vergogna-vergogna» e «corteo-corteo», accompagnato da una pressione contro gli scudi delle forze di polizia, che hanno risposto con due cariche.

Per mezz’ora la zona è stata bloccata. Piccolo particolare nella più grande vicenda: il nostro banchetto, che si trovava proprio nel punto d’urto, è stato isolato dal cordone degli agenti e decine di persone non hanno potuto avvicinarsi per firmare in difesa della Costituzione repubblicana (quasi si trattasse di un’attività eversiva).

Intanto, due o trecento metri più avanti, in piazza San Carlo, un breve discorso di un esponente sindacale ha chiuso la manifestazione «ufficiale» e i rappresentanti istituzionali e la delegazione del Pd hanno abbandonato rapidamente la piazza. A questo punto il muro di polizia si è aperto e l’ultimo spezzone del corteo ha potuto proseguire e arrivare in una piazza San Carlo che si è riempita più di prima di persone e di bandiere. Questi i fatti e i disordini provocati dagli antagonisti…

Mentre lavoratori, giovani, pensionati riprendevano a firmare in favore della Costituzione venivano spontanee due riflessioni. Anzitutto. È giusto che le forze dell’ordine cerchino di evitare scontri e assicurino a tutti la possibilità di partecipare al corteo (anche a chi si ricorda dei diritti dei lavoratori solo il primo maggio e la vigilia delle elezioni). Ma non a costo di impedire la partecipazione allo stesso corteo di migliaia di altri cittadini (per lo più pacifici e interessati solo a far sentire la propria voce) e di ostacolare, di fatto, l’esercizio di ulteriori diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Conciliare queste due esigenze non è in realtà impossibile. Basta una protezione mirata delle delegazioni più esposte a contestazioni e un accordo con le stesse per una collocazione idonea a consentirla (collocazione che non deve essere necessariamente alla testa o nel centro del corteo).

Il fatto che questo elementare accorgimento sia stato ignorato e si sia preferita la contrapposizione frontale e indistinta introduce la seconda, più preoccupante, riflessione: non è che il «salto di qualità» richiesto all’Italia dal sistema finanziario sovranazionale per limitare «la tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori e il diritto di protestare» sia ormai, dopo molte sperimentazioni, diventato regola? Meglio rifletterci e trarne conseguenze coerenti mentre si preparano i referendum su Italicum e «riforma» costituzionale.

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