Kerry all’Avana incontra i mediatori delle Farc

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Colombia. Intervista a Yohana Lopez Almeida della Commissione Interecclesiale Justicia y Paz

Ieri, John Kerry ha incontrato a Cuba i mediatori che cercano una soluzione politica al conflitto armato in Colombia. Gli Usa hanno già dato il loro appoggio a Santos e Obama ha detto che vuole finanziare il «post-conflitto». E per domani si attende un’importante dichiarazione: non la firma di un accordo, ma forse il cessate il fuoco bilaterale da parte di Santos, dopo quello che la guerriglia rispetta da mesi. Ne abbiamo discusso con Yohana Lopez Almeida, rappresentante della Commissione Interecclesiale Justicia y Paz Colombia, venuta in Italia con l’associazione Yaku. Yohana ha «accompagnato le comunità vittime del conflitto armato, costruendo con loro proposte alternative che hanno assunto valore fondamentale nelle trattative dell’Avana».

Anche lei si è trovata dalla parte delle vittime, è stata sequestrata dalle Farc. Com’è accaduto?
Sono stati 9 giorni d’intensa camminata. Allora, nel 2005, c’era una forte offensiva dei paramilitari in una zona umanitaria dove non avrebbero potuto entrare. Invece lo hanno fatto con la forza e le Farc hanno creduto che noi fossimo funzionari governativi e glielo avessimo permesso. Così ci hanno detto di andarcene e per nove giorni abbiamo camminato con loro, chiedendo che verificassero quel che dicevamo. Lo hanno fatto e ci hanno lasciato andare. Per le comunità è molto chiaro che non si può mettere sullo stesso piano chi reprime e chi resiste. Ci sono solo due attori nel conflitto che devono dialogare, lo stato e le guerriglie. Per questo abbiamo considerato uno scherzo di cattivo gusto che Uribe si sia seduto a negoziare con i paramilitari: il burattinaio con i burattini. E’ lo stato che deve smontare il paramilitarismo, una struttura rimasta intatta come indicano i continui assassinii di leader comunitari.

Come vede il ruolo degli Usa?
La pace che vogliono le comunità è molto diversa da quella che vuole Santos e che vogliono gli Usa. Il ruolo che hanno avuto Chavez e Maduro nell’aprire la porta a questo sogno impensabile di una soluzione politica è molto diverso da quello che svolgono oggi gli Stati uniti e altri attori a loro affini. Una Colombia senza le Farc nei territori è molto più facile da depredare delle risorse naturali. La morte di Berta Caceres in Honduras mostra quel che accade se non si arriva a un cambiamento strutturale.

E quali speranze ci sono?
Finora l’accordo dà molta speranza a partire dal primo punto concordato, che riguarda un cambiamento strutturale nei problemi delle comunità contadine: per ridare dignità al contadino, per ridistribuire la terra in modo equo. La concentrazione della terra in poche mani è a livelli esacerbati, così come il suo uso incontrollato per l’agroindustria o lo sfruttamento petrolifero anziché per la sovranità alimentare delle comunità. Fin’ora, nonostante la legge 175, non c’è stata restituzione dei territori usurpati. Ora si apre la possibilità di fare un’indagine reale della terra produttiva con la partecipazione dei contadini e delle comunità indigene e afrodiscendenti. Il problema della terra è stata una delle cause che ha prodotto la lotta armata. Un altro punto importante riguarda la prospettiva di genere, che avrà il suo peso sia nel percorso di pace che nel tema della giustizia e della riparazione integrale. Nel gruppo delle vittime, siamo andate a un dialogo diretto all’Avana, le donne sono state le più colpite, sia direttamente con la tortura, la violenza e gli stupri, sia per aver perso un loro caro, ucciso o scomparso. Donne che hanno portato al paese una proposta di riparazione integrale, che non si pone in termine di denaro, perché il dolore non si recupera, ma in termini di verità.

Quando la guerriglia ha provato a rientrare nella vita civile, con l’Union Patriotica, è stata massacrata insieme a molti leader delle comunità. Quali garanzie ci sono, oggi?
Questa è la principale preoccupazione della società civile colombiana organizzata e dei movimenti sociali: evitare massacri ma anche la persecuzione giudiziaria di chi protesta e si batte per un altro progetto di paese. Per questo facciamo appello alla vigilanza popolare e a quella internazionale indipendente. La storia ha dimostrato che lo Stato non offre garanzie: il massacro dell’Union Patriotica, i falsi positivi, le intercettazioni telefoniche illegali compiute da Uribe contro l’opposizione e usate per minacciare e uccidere ci dicono che dobbiamo stare molto attenti. I tavoli dell’Avana hanno compiuto passi importanti per mettere in questione le ragioni strutturali delle storture in Colombia, ma poi questa discussione dev’essere ripresa da tutti i colombiani, attraverso un’assemblea costituente: per poter cambiare il modello di sviluppo, il modello economico che ha prodotto una disuguaglianza abissale e tante morti.

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