Agenti francesi più violenti. E impuniti

polizia

Abusi d’Oltralpe. Dossier di Acat France denuncia l’uso crescente della forza da parte delle forze dell’ordine. Sotto accusa la totale mancanza di trasparenza: così ottenere giustizia diventa un’impresa

«Sappiamo quante morti causano ogni anno le punture di vespa, ma non sappiamo quante sono le vittime della violenza delle forze dell’ordine». Con questo slogan Acat Francia (Associazione Cristiana per l’Abolizione della Tortura), ha presentato il dossier sulle violenze operate da polizia e gendarmeria dal titolo «L’ordine e la forza». In 18 mesi di lavoro, l’Ong ha recensito 89 episodi nel periodo che va dal 2005 al 2015. Tra questi, sono ben 26 i casi di decesso, mentre i soggetti coinvolti hanno riportato handicap permanenti o ferite gravi rispettivamente in 29 e 22 circostanze.

Il rapporto, lungo più di cento pagine, analizza le fattispecie di rischio nell’utilizzo della forza da parte degli agenti francesi. Si passa dalle tecniche d’immobilizzazione ai proiettili di gomma. Secondo l’associazione, ad esempio, esiste una certa disinvoltura nell’uso del taser per facilitare l’ammanettamento. Gli agenti, riferisce l’indagine, farebbero ricorso allo strumento a scariche elettriche, ponendolo a contatto con la pelle. Procedura, quest’ultima, particolarmente rischiosa per l’integrità fisica del fermato. Stesso discorso per le cosiddette flashball, il cui utilizzo nel mantenimento dell’ordine pubblico si sarebbe quasi banalizzato. Acat denuncia, inoltre, il pericolo di soffocamento dovuto alle pratiche di immobilizzazione ventrale, largamente applicate in fase di arresto. Il riferimento, esplicito nell’inchiesta, è al tristemente noto I Can’t Breathe urlato da un uomo soffocato a morte da alcuni poliziotti negli Stati Uniti.

L’indagine, però, non si ferma all’analisi specifica degli 89 casi in esame, ma cerca di andare a fondo e ricostruire quale sia, più in generale, il contesto nel quale questi episodi si riproducono. Il profilo tipo della vittima dell’uso della violenza da parte di poliziotti o gendarmi è quello di un uomo, giovane, membro di una minoranza etnica o attivista politico. È il caso del 21enne ecologista Remi Fraisse, morto nel 2014, dopo essere stato colpito da una granata, durante una manifestazione contro il progetto di costruzione della diga di Sivens. In seguito all’emozione suscitata da quella tragedia, fu lo stesso ministro dell’interno, Bernard Cazeneuve, a vietare l’utilizzo di quest’arma di offesa. In altri frangenti, le vittime non sono inquadrabili nel profilo appena citato.

Nel 2011, racconta il rapporto, un bambino di 9 anni, perse un occhio a causa di un proiettile di gomma sparato da un gendarme. Di fatto, per l’associazione, nella gestione della “piazza” si sta perdendo l’approccio che mira al mantenimento della distanza tra forze dell’ordine e manifestanti, proprio a causa dell’utilizzo delle “armi non letali”.

Acat rileva come la vera difficoltà sia nel perseguire gli autori degli abusi. Il concetto d’impunità pervade tutto il dossier, nel quale si evidenzia come per le vittime, ottenere giustizia rappresenti un vero e proprio «percorso a ostacoli», tra difficoltà nel fare denuncia, inchieste condotte in modo deficitario e «dichiarazioni menzognere».

In più del 90% dei casi osservati, gli agenti non sono stati condannati. Il tutto mentre il fenomeno è condizionato da una strutturale mancanza di trasparenza.

«Le autorità non danno alcuna informazione sull’utilizzo della forza da parte degli agenti», ha riferito Aline Daillère, autrice del rapporto, a Le Monde. Ma è lo scenario attuale, quello di una Francia in una sorta di stato d’eccezione perenne, a preoccupare Acat. «Temiamo che il progetto di riforma – prosegue Daillère – sull’allargamento della possibilità di uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine, attualmente in discussione al Senato, possa condurre a delle derive».

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