Brigata nera a Piazzale Loreto

Martiri di piazzale Loreto. Ora si conoscono i nomi di chi dette l’ordine e di chi sparò. Una verità insabbiata per cinquant’anni. Solo a partire dal 1994 con la scoperta dell’«Armadio della Vergogna» si è potuto ricomporre il puzzle delle responsabilità

La Storia. Il 10 agosto 1944 quindici prigionieri furono prelevati dal carcere di San Vittore e fucilati in Piazzale Loreto, una strage nazifascista per cui Mussolini, la Petacci e altri gerarchi furono poi appesi dai partigiani in quella stessa piazza. Ora si conoscono i nomi di chi dette l’ordine e di chi sparò. Una verità insabbiata per cinquant’anni. Solo a partire dal 1994 con la scoperta dell’«Armadio della Vergogna» si è potuto ricomporre il puzzle delle responsabilità

La fucilazione, all’alba del 10 agosto del 1944, di quindici patrioti antifascisti a ridosso di una staccionata in Piazzale Loreto a Milano e lasciati a terra sotto il sole, vilipesi e oltraggiati dai fascisti fino a sera, impedendo ai parenti di avvicinarsi, suscitò un così forte sdegno nella popolazione che fu alla base della decisione successiva della Resistenza di esporre nello stesso piazzale i corpi di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e degli altri gerarchi della Repubblica sociale italiana fucilati a Giulino di Mezzegra il 28 aprile 1945. Ripercorriamo brevemente l’antefatto e le fasi dell’eccidio.

Alle 8,15 dell’8 agosto 1944 due bombe collocate da persone rimaste sconosciute fecero saltare un autocarro tedesco in sosta dalle tre del mattino in viale Abruzzi all’altezza del numero 77, causando il ferimento dell’autista, il caporalmaggiore Kuhn Heinz, e la morte di alcuni passanti italiani. L’attentato non fu mai rivendicato, né fu mai citato nei resoconti dell’attività dei Gap (Gruppi di azione patriottica).

A seguito di questo attentato il colonnello Von Goldbeck, capo del comando militare tedesco a Milano, e il capitano Theodor Saevecke della Sd (Gestapo), progettarono una rappresaglia.
Verso le cinque di mattina del 10 agosto 1944 quindici prigionieri furono prelevati dal carcere di San Vittore e fucilati in Piazzale Loreto. I tedeschi, una volta di più decisero in modo unilaterale, disprezzando l’alleato fascista, ridotto a mero esecutore dei loro ordini.

Molto ormai si conosce riguardo le responsabilità di chi ordinò la rappresaglia. Quasi nulla invece in relazione a chi compose il plotone di esecuzione e materialmente fucilò.

La Ettore Muti e la brigata nera

Il controspionaggio partigiano indicò da subito nei fascisti della Legione Ettore Muti i responsabili materiali dell’eccidio. La responsabilità della Muti fu confermata da due sentenze della Corte d’Assise Speciale di Milano, una del 20 luglio 1946 e l’altra del 23 maggio 1947.

Il 20 luglio 1946 comparve davanti ai giudici milanesi Pietro Petit, ex milite della Muti, imputato di collaborazionismo, di aver partecipato a rastrellamenti di partigiani, nonché di aver fatto parte del plotone di esecuzione di Piazzale Loreto. Fu la moglie, Giuseppina Zoppis, a denunciare il Petit. Inizialmente per maltrattamenti. Poi confessò che ricevette dal marito la confidenza della sua partecipazione alla fucilazione. Egli naturalmente negò, ma nel corso del dibattimento riferì cose che poteva aver appreso solo dai suoi commilitoni. Disse che quella mattina in Piazzale Loreto erano presenti un «tale Griffanti» e due sergenti, Dalla Valle e Ragno, e che quest’ultimo in particolare si vantava di aver preso parte all’eccidio. Il Petit fu assolto per insufficienza di prove.

La seconda sentenza del 23 maggio 1947 fu emessa contro Vittorio Rancati, Giacinto Luisi, Luigi Campi, Diego Benedetti, Silvio Borghi, Giovanni Villasanta e Franco Cattaneo, accusati di aver ucciso il patriota Eraldo Soncini che tentò di sottrarsi con la fuga alla fucilazione di Piazzale Loreto. Tutti gli imputati appartenevano alla Brigata Nera Aldo Resega Gruppo Oberdan che aveva sede in Via Cadamosto 4 a Milano, eccezion fatta per il Benedetti Diego che era invece capitano della Guardia Nazionale Repubblicana. Dal testo della sentenza si apprese che, dopo che i quindici martiri furono fatti scendere velocemente dal camion che li aveva trasportati dal carcere di San Vittore, uno di loro, il Soncini, approfittando dello sbandamento generale tentò la fuga. Immediatamente fu inseguito da un gruppo di fascisti composto da uomini della Muti e della Brigata Nera, tra cui il Luisi e il Campi, che incitati dal maggiore Vitali, spararono ripetutamente contro il malcapitato che, colpito a morte, cadde di fronte al portone di ingresso dello stabile di Via Palestrina 7, dove il Luisi senza alcuna esitazione lo finì con una scarica di mitra.

La Corte condannò Giacinto Luisi e Luigi Campi alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena, Vittorio Rancati alla pena di dieci anni, Giovanni Villasanta a otto anni, assolse Diego Benedetti per non aver commesso il fatto, mentre per i restanti imputati decretò «il non doversi procedere». Poi tra condoni, amnistie e nuovi condoni i due principali imputati, ossia il Luisi e il Campi si videro ridotta la pena a tredici anni di cui tre di libertà vigilata.

L’armadio della vergogna

Nel 1994, a seguito di reiterate richieste del Procuratore militare Antonio Intelisano, incaricato di preparare l’estradizione dell’ex capitano delle Ss, Erich Priebke, furono rinvenuti casualmente 694 faldoni riguardanti stragi compiute da nazisti e fascisti in un armadio della Procura militare di Roma in Via Cesi. L’armadio che si trovava in fondo a un corridoio aveva le due ante rivolte verso il muro e Franco Giustolisi che per primo ne scrisse, lo chiamò «Armadio della vergogna».
Quando il 19 giugno 1999 l’ex capitano delle Ss Theodor Saevecke fu condannato quale mandante della strage di Piazzale Loreto, si seppe dell’esistenza del fascicolo 2167 dell’Ufficio procedimenti penali contro criminali di guerra tedeschi aperto dalla Procura generale militare del Regno, conservato in quell’armadio.

Nello stesso si menzionavano come imputati il «Gen. Von Tensfeld, Col. Rauff, Capitano Saevecke», ma anche «il Col. Pollini», nonché il «Capitano Cardella, Confalonieri, Manfredini Parti lese: Principato Salvatore, Galimberti Giovanni e altri 13. Fatti di Milano (Piazza Loreto) del 10 agosto del 1944».
Per la prima volta quindi comparirono i nomi di alcuni italiani: il colonnello della Gnr (Guardia nazionale repubblicana) Pollini, il capitano Cardella della Legione Muti, la guardia carceraria Manfredini e l’agente italiano della Sd tedesca (Gestapo) Confalonieri.

Tra gli atti degli interrogatori condotti nell’aprile del 1946 dallo Special Investigation Branch figuravano – tra gli altri – quelli riguardanti i citati Petit, Campi e Borghi. Da questi documenti si ebbero nuove rivelazioni che oggi ci permettono di far maggiore chiarezza su cosa accadde il 10 agosto 1944.

Alle quattro del mattino i militi della Brigata Nera furono svegliati e condotti in Piazzale Loreto, dove vennero messi a controllare le vie che vi confluiscono. Poco dopo arrivarono i fascisti della Muti, della Gnr e dell’Aeronautica Repubblicana e tutti insieme presidiarono la zona. Infine giunse un autocarro tedesco con a bordo i quindici patrioti che vennero fatti scendere e fatti addossare a una staccionata di legno con le spalle rivolte al plotone d’esecuzione. A questo punto il Soncini tentò la fuga con l’esito che si è detto, mentre gli altri vennero falciati dagli uomini della Muti comandati dal capitano Pasquale Cardella che lesse velocemente la condanna e ordinò il fuoco.

Quindi quella mattina sul luogo dell’esecuzione erano presenti: gli uomini della Brigata Nera e gli uomini della Gnr con compiti di «ordine pubblico», alcuni avieri, e i militi della Muti che eseguirono la fucilazione ordinata dai tedeschi rappresentati dal sergente delle Ss Anton Heininger, che insieme a un altro soldato tedesco, tale Jarsko avevano «l’obbligo di riferire al capitano se la fucilazione di alcuni detenuti civili italiani aveva avuto luogo o meno».

Sepolti al Campo 10

Il capitano Pasquale Cardella fu processato contumace assieme a molti altri della Muti, e condannato a morte nel 1947 dalla Corte d’assise di Milano per l’uccisione di alcuni patrioti e per sevizie. Non fu mai rintracciato risultando disperso. Il sergente Renato Griffanti morì dalle parti di Vercelli in uno scontro a fuoco con i partigiani nel febbraio del 1945, mentre i sergenti Lamberto Dalla Valle e Santo Ragno finirono i loro giorni uccisi a Milano tra l’aprile e il maggio 1945. Questi ultimi tre furono sepolti al Campo 10 del Cimitero Maggiore, dove sono state progressivamente raccolte le spoglie di quasi un migliaio di caduti repubblichini, tra loro anche alcuni volontari nelle Ss.

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