Dopo Berlino. Solo i diritti svuotano il terrorismo

Dopo Berlino. Restituire agli europei i diritti sociali e politici e garantire ai profughi i diritti umani è un’unica battaglia. L’unico modo di prosciugare lo stagno del terrorismo islamista

Il terrorismo che colpisce nel mucchio è difficile da combattere. Ma scoprire una cellula attiva tra popolazioni insediate da tempo in Europa (base indispensabile per ogni attività terroristica) è molto più difficile che individuare un terrorista imboscato tra un gruppo di profughi. Soprattutto se alla loro registrazione all’arrivo – o alla partenza con corridoi umanitari – corrispondesse il diritto a una libera circolazione in tutta Europa.

Perché ciò per cui i profughi si oppongono alla registrazione, o la rendono inefficace, è il timore di rimanere intrappolati nel paese di sbarco. Che poi si traduce spesso nel famigerato decreto di espulsione differito che lascia allo sbando decine di migliaia di profughi (come Amis Amri) che il governo italiano non sa né rimpatriare né controllare rendendo facile il loro reclutamento da parte della Jihad.

La gravità della situazione impone di alzare lo sguardo sulle radici del problema. Dal secondo dopoguerra l’Europa, a partire dai suoi stati centrali, è diventata un’area di massiccia immigrazione: profughi dai paesi dell’Est (circa 10 milioni), migranti dai paesi meridionali (quasi altrettanti), poi anche dai paesi della sponda sud ed est del Mediterraneo, dalle ex colonie africane e del subcontinente indiano. Dall’ultimo decennio del secolo scorso gli arrivi sono proseguiti investendo anche i paesi dell’Europa mediterranea che prima avevano alimentato una parte cospicua di quel flusso.

Sono stati coinvolti più di 50 milioni di persone, molte delle quali, con i loro figli, sono poi diventate cittadini dei paesi di arrivo; per questo i migranti che non sono ancora cittadini europei sono solo 20 milioni circa. La maggior parte di quel flusso era costituita da «migranti economici» alla ricerca di un lavoro e di condizioni di vita migliori.

I più il lavoro l’hanno trovato, tranne poi perderlo e venir relegati in ghetti e banlieu nel passaggio dalla prima alla seconda generazione. Senza di loro l’Europa però non avrebbe mai conosciuto i «miracoli economici» degli anni ’50 e ’60 né il più stentato sviluppo dei decenni successivi e sarebbe rimasta in gran parte un continente sottosviluppato. E lo sarà ben presto, e sempre di più, se continuerà a cercar di fermare i nuovi arrivi.

PER UNA DENATALITÀ irreversibile, infatti, l’Ue (Regno unito compreso) perde circa 3 milioni di abitanti all’anno. Nel 2050, senza l’apporto di nuovi migranti, invece dei 500 milioni attuali ci saranno solo 400 milioni di abitanti, più o meno autoctoni: in maggioranza vecchi e sclerotizzati dal punto di vista fisico, economico e soprattutto culturale: una cosa che in Italia si comincia a vedere già ora. Eppure si sta facendo di tutto per fermare o per respingere i nuovi arrivi. Fino a pochi anni fa arrivava in Europa una media di 1,5 milioni di «migranti economici» all’anno (300mila in Italia, tutti o quasi regolarizzati da sanatorie di destra e sinistra). Ma l’anno scorso, invece, 1,5 milioni di profughi (170mila in Italia, in gran parte «in transito») sono stati considerati un onere insostenibile. Che cosa ha provocato quella inversione di rotta?

I GOVERNI DELL’UNIONE Europea hanno risposto alla crisi del 2008, tutt’ora in corso, con politiche di austerità che hanno portato a 25 milioni il numero dei disoccupati ufficiali (quelli effettivi sono molti di più). Se non c’è più lavoro, reddito, casa e assistenza per tanti cittadini europei non ce ne può essere per i nuovi arrivati: questo è l’argomento alla base della svolta impressa alle politiche migratorie.

A questa chiusura delle frontiere e delle menti si è poi sovrapposta un’ondata di «islamofobia» alimentata dalle stragi perpetrate da membri o simpatizzanti di organizzazioni terroristiche islamiste. Alla sensazione diffusa che «sono troppi», alimentata dall’austerità, si è così mescolato, ad opera dei numerosi imprenditori politici della paura, il tentativo di attribuire all’arrivo dei profughi la proliferazione del terrorismo.

OGGI, DI FRONTE ALLA marea montante delle destre razziste Angela Merkel sembra rappresentare un baluardo, nonostante le sue oscillazioni e i suoi arretramenti. Ma all’origine della «crisi dei migranti», cioè dell’idea che per loro non ci sia più posto in Europa, c’è proprio l’austerità di cui la Merkel è la principale sponsor. E senza affrontarne le cause, la sua collocazione politica l’ha posta sulla china di un progressivo cedimento all’oltranzismo xenofobo.

MA È SOPRATTUTTO IL metodo adottato per arginare la «piena» dei profughi che ad essere per molti versi criminale e carico di rischi. L’accordo con Erdogan, che ispira tutti gli altri accordi con paesi di origine o transito di profughi, imprigiona milioni di esseri umani nelle mani di governi e bande armate che hanno già dimostrato una vocazione a sfruttarli fino all’osso per poi farne scempio. Ma espone anche gli Stati europei al ricatto (già messo in atto a suo tempo da Gheddafi e oggi ventilato da Erdogan) di aprire le dighe di quei flussi se i rispettivi governi non saranno acquiescenti.

Ma alcuni semplici punti vanno messi in chiaro.

1. I profughi di oggi fuggono in gran parte da quelle stesse forze che sono gli ispiratori, se non gli organizzatori, degli attentati che stanno insanguinando le città europee. Respingerli significa ributtarli in loro balia e, in mancanza di alternative, costringere una parte a diventarne le future reclute.

2. La politica dei rimpatri è impraticabile se non per piccoli gruppi: per mancanza di interlocutori affidabili, per il costo (tanto è vero che vengono espulsi «per finta»), per il rischio di pagarla avallando le peggiori dittature e, non ultimo, perché è una politica di sterminio, anche se «esternalizzato».

3. La distinzione tra migranti economici e profughi politici su cui si regge la prospettiva dei rimpatri è un alibi privo di basi: sono tutti migranti ambientali, mossi da conflitti sempre più atroci innescati da un deterioramento radicale del loro habitat. C’è ormai una sovrapposizione netta tra i paesi centroafricani investiti dalla crisi climatica, quelli coinvolti in conflitti riconducibili a organizzazioni islamiste e l’origine dei maggiori flussi di profughi. Ma anche la guerra civile (e mondiale) in Siria è partita da una rivolta contro il feroce regime di Assad innescata dal deterioramento ambientale del territorio; di quel fiume di profughi, e delle devastazione e degli orrori che li hanno fatti fuggire, i governi europei recano una pesante responsabilità: attraverso la Nato e la Turchia, appoggiandosi sui più feroci regimi mediorientali, non hanno esitato a fare della popolazione siriana in rivolta un ostaggio delle peggiori bande islamiste, Isis compreso, di cui ora sono il bersaglio. E facendo entrare i campo i bombardieri russi che hanno trasformato la guerra in conflitto mondiale.

4. Trasformare l’Europa in una fortezza, posto che sia possibile, significa metterla in mano a forze razziste e antidemocratiche al suo interno; ma anche perpetuare uno stato di guerra al di fuori dei suoi confini. Se nella fortezza non si può più entrare, diventerà sempre più difficile anche uscirne. Qualcuno farà mai turismo o affari leciti in luoghi come lo Stato islamico o tra i Boko haram?

5. Per questo restiutuire a ogni cittadino europeo i diritti sociali, civili e politici e garantire ai profughi i diritti che spettano a ogni essere umano è un’unica battaglia. Ed è l’unico modo, alla lunga, di prosciugare lo stagno dove sguazza il terrorismo islamista.

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