Rispondere alla crisi, tra gratuità, cooperazione sociale e profitto

SCAFFALE. «Rispondere alla crisi», a cura di Alessandra Quarta e Michele Spanò per ombre corte

È ormai opinione condivisa che la categoria della «crisi» sia penetrata a tal punto da diventare uno strumento di controllo e di disciplinamento di stampo ordoliberista. Per rispondere alla crisi si impone l’austerity e si limitano i meccanismi democratici; si smantella il welfare e si rimuovono diritti sociali consolidati. La crisi si presenta dunque come liquefazione della modernità statuale alimentando il vivace dibattito sulla ricerca della «terza via» del comune. Come emerge dalla lettura di Rispondere alla crisi. Comune, cooperazione sociale e diritto (ombre corte, pp. 154, euro 14), lo sviluppo di nuove pratiche di resistenza interroga i caratteri della trasformazione e suggerisce vie d’uscita.

Curata da Alessandra Quarta e Michele Spanò, si tratta di una raccolta eterogenea di saggi presentati al convegno di Torino del 2015 che ha dato il titolo al libro. L’interesse di partenza era investigare in che modo, sotto le equivoche etichette di condivisione e collaborazione, diversi attori sociali hanno messo in campo fenomeni più o meno istituzionalizzati per soddisfare bisogni e garantire servizi: «una gamma ricca di esperienze di mutualizzazione all’incrocio tra gratuità e profitto, pubblico e privato, locale e globale».

I DIECI SAGGI pubblicati offrono una prospettiva molto ricca sulla cosiddetta sharing economy nelle sue diverse sfaccettature. Si va dalla piattaforme di condivisione online al co-housing, agli spazi di coworking. Come sottolineano i due curatori, «questo modello di produzione e di scambio non esprime il desiderio di un riconoscimento da parte del pubblico». Si tratterebbe piuttosto di un paradossale «pubblicizzarsi di tutto quanto è privato» che impone oggi una «nuova riflessione sull’istituto del contratto e perfino sul negozio» – si veda l’analisi di Quarta sui problemi giuridici posti dal carpolling e dal couchsurfing – in un contesto che Alisa Del Re definisce di crisi del rapporto tradizionale tra cittadinanza e lavoro.

Nel sistema post-fordista il lavoro diventa orizzontale, relazionale e richiede un nuovo autocontrollo della sua qualità che investe la responsabilità personale del lavoratore.
Dall’altra parte, cresce la ricerca di comunità quotidiana e laboriosa di cui il libro fornisce un profilo aggiornato per quanto riguarda il caso italiano. Giacomo Pisani, per esempio, descrive la sharing economy come un sistema caratterizzato «dall’importanza attribuita all’accesso piuttosto che alla proprietà, attraverso la condivisione di beni che altrimenti resterebbero sotto-utilizzati».

NEL COWORKING, in particolare, si coniuga l’innovazione e l’intraprendenza del lavoro autonomo con le possibilità di collaborazione al di fuori delle gerarchie aziendali. Ne consegue un nuovo modello imprenditoriale in cui gli asset appartengono ai soggetti coinvolti – e non a un imprenditore esterno che dirige la produzione – e nelle piattaforme digitali la distinzione tra produttori e consumatori sfuma nei contorni.
Secondo l’autore, tale condivisione struttura un modo di vivere orientato al mutualismo e alla cooperazione che vive dentro il sistema di mercato forzandone le regole del gioco, offrendo nuovi sistema di welfare, oltre che di produzione.
Certo, come è da tempo oggetto di discussione, esistono note piattaforme nelle mani di grosse corporation, per le quali sono state coniate le definizioni di on-demand economy e di gig-economy, che veicolano dinamiche di auto-sfruttamento/capitalismo estrattivo.

Come sottolinea nella postfazione Ugo Mattei, il libro non elude il problema, ma cerca di operare delle distinzioni. Nel 2015 la sharing economy nel suo complesso ha prodotto in Italia un giro di affari di 3 miliardi e mezzo che, stando ai dati forniti da Davide Arcidiacono e Ivana Pais, potrebbe oscillare tra i 14,1 e i 25,2 miliardi entro il 2025.

IL MERITO di questa pubblicazione è mostrare una realtà già oggi molto complessa e popolata da centinaia di piattaforme italiane dal basso, banche del tempo, cohousing – analizzati da Francesco Chiodelli – gruppi di produttori-consumatori e di condivisione di beni e servizi attraverso la rete.

Gli innovatori sociali, descritti da Filippo Barbera e Tania Parisi, vivono nelle grandi città, sono generalmente trentenni e concentrano gli sforzi nel sociale, nella promozione culturale e nel turismo. Siamo quindi di fronte a un sistema dinamico che pone tutta una serie di questioni politiche legate al mutualismo e al municipalismo e alle pratiche di resistenza. Nel suo contributo Antonio Negri lancia la suggestione che «nell’età del lavoro cognitivo» la forza lavoro esprima, a differenza dell’età industriale, un’iniziativa produttiva autonoma che mette il comune davanti al mercato.

DI SICURO c’è che stiamo parlando di un settore per molti aspetti innervato nella storia del cooperativismo e in un sistema produttivo ancora molto tradizionale. Le sfide politiche poste dagli autori dal punto di vista economico-giuridico, e nella varietà delle impostazioni proposte, toccano nodi culturali profondi (identità, comunità, forme di vita) e sono dei punti di partenza concreti.

FONTE: Roberto Ciccarelli e Alessandro Santagata, IL MANIFESTO

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