Strage di Ustica, i familiari: ancora tanta rabbia ma non perdiamo la speranza

Ustica

27 giugno 1980. Un altro triste anniversario senza colpevoli

BOLOGNA. Quarant’anni di lavoro instancabile, ma anche di amarezze e di pena. Perché ricordare la strage che portò via il 27 giugno 1980 le 81 persone imbarcate sul Dc9 dell’Itavia abbattuto al largo di Ustica è doloroso, anche a distanza di tanto tempo.

Un bagno di sofferenza, e di rabbia, lo fanno tutti gli anni Riccardo, Ivano, Elisabetta e Rosalinda, i quattro figli di Giuseppe e Giulia Lachina, i due coniugi di Montegrotto, provincia di Padova, morti 40 anni fa sull’aereo di linea inabissatosi nelle acque del mare Tirreno. Stavano tornando nella loro Sicilia, come facevano ogni anno.

Parla di «rabbia» il figlio Riccardo, rabbia «per i depistaggi che ci sono stati, per la disinformazione e per le coperture subito sono scattate per nascondere la verità».

Chiede «rispetto per tutti quei poveri morti», il fratello Ivano, che oggi ha 66 anni e che domandò di persona al Presidente della Repubblica Cossiga se non fosse sconvolto dal silenzio dello Stato su Ustica.

Un dramma che in famiglia ha segnato le generazioni, con la figlia di Elisabetta che, una volta compresi i fatti, su un aereo non ci hai mai voluto mettere piede. «Anche lei è una figlia di Ustica», ha detto anni fa la madre.

«Ma io la speranza non la perdo, non voglio perderla», dice Giorgio Gjylapian, 61 anni, avvocato bolognese. Il 27 giugno 1980 Giorgio accompagnò suo zio Guelfo Gherardi all’aeroporto di Bologna. Non lo vide mai più. «Quella tragedia ha segnato la mia vita, la mia e quella della mia famiglia. Guelfo per me era come un padre e per ricordarlo ho dato il suo nome a mio figlio».

L’avvocato Gjylapian sulla vicenda di Ustica ci ha anche scritto un libro e proprio ieri l’ha consegnato di persona al Presidente della Camera Roberto Fico.

Dopo anni di studio si è convinto che il Dc9 sia stato abbattuto dalla turbolenza di scia di un jet militare, e non da un missile. A suo modo un eretico, lo ammette lui stesso, all’interno dell’associazione dei familiari. «Dico solo che la speranza nella verità non la perdo, però le istituzioni facciano quel che non hanno fatto fino ad ora».

C’è anche chi non vuole metterci nome e cognome, ma qualcosa da dire sul comportamento dello Stato ce l’ha comunque: «Promettono di aprire gli archivi? Finalmente, ma a me sembra quella storia del giudice che chiede all’imputato di mettere a disposizione le prove della sua colpevolezza. Cosa volete che succeda?».

E c’è anche chi ha scelto il silenzio, da 40 anni, sperando così di dare più forza al dramma e alla richiesta di verità e giustizia. E’ la via imboccata dai parenti di Erica e Rita Mazzel, due sorelle trentine che quel 27 giugno del 1980 salirono sul Dc9 per iniziare la loro vacanza.

Storie che testimoniano come Ustica non fu una strage bolognese, ma qualcosa che toccò famiglie di tutta Italia.

E’ il caso di Monreale, sui monti sopra Palermo, che ogni anno ricorda Antonella e Giovanni Pinocchio, di ritorno da Bologna dopo una visita alla madre malata.

Anche quest’anno il Comune li ha ricordati con una cerimonia di fronte alla lapide a loro dedicata e un mazzo di fiori. A chiedere di fare luce sulla vicenda, come sempre, è Daria Bonfietti, ex parlamentare e presidente dell’associazione che riunisce molti di coloro che hanno perso i propri parenti su quel volo.

«Siamo ancora qui, a quaranta anni di distanza, a chiedere verità e giustizia. Per i nostri cari e per la dignità stessa del nostro Paese», dice Bonfietti, che nel 1988 fondò assieme ad altri l’associazione e che da quel momento non ha mai smesso di far sentire con forza la sua voce. Anche a costo di essere presa di mira dai sostenitori dell’ipotesi dell’esplosivo a bordo, solitamente anche difensori di ufficio delle forze armate italiane.

«Non posso accettare da una polemica bieca e piena di falsità di passare per chi vuol nascondere, è davvero offensivo e indegno», aggiunge Bonfietti, che sul volo Itavia Bologna-Palermo del 27 giugno 1980 perse il fratello Alberto. «Noi dell’associazione non ci siamo mai arresi», conclude Stefano Filippi, vicepresidente dell’associazione.

Filippi, che oggi ha 55 anni, perse suo padre Giacomo a soli 15 anni. Ogni anno Giacomo Filippi è ricordato nella sua città natale, Forlì.

Anche lui una delle vittime della strage del 27 agosto 1980 dove persero la vita in 81: 64 passeggeri adulti, 11 ragazzi, 2 bambini e 4 componenti d’equipaggio.

* Fonte: Giovanni Stinco,  il manifesto

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