Addio a Paolo Pietrangeli, la nostalgia del Sessantotto

Addio Paolo, la nostra canzone. L’anno della rivolta studentesca era per lui una stagione visionaria, piena di poesia e d’amore per gli ultimi e odio sincero verso i padroni e la borghesia che li sosteneva

Nei primi anni Ottanta l’estate la passavamo a San Nicola Arcella, in Calabria. C’erano Annalisa Di Nola, figlia dell’antropologo, che cantava nel coro di Giovanna Marini, la stessa Marini con Paolo Pietrangeli e Franco Bifo Berardi. La sera Paolo mi portava con se nei paesi vicini dove lo invitavano a cantare, innanzitutto “Contessa”, la colonna sonora del lontano Sessantotto. Non ne poteva più di quella canzone.

Ma era sempre contento di incontrare i contadini comunisti. A volte, sulla spiaggia, discutevamo della voce interiore, che non poteva essere registrata, quella che anch’io sentivo quando leggevo un libro, che era poi quella che dettava libri e canzoni. Paolo veniva spesso nella nostra casa che avevamo affittato da Cecilia Capuana, fumettista molto nota in Francia. Mi chiese di scrivere una canzone per lui, ma mi venne una poesia. A casa di Annalisa una sera, sul tardi, mentre era tutto un cantare con le chitarre, un mafioso del luogo ci sparò alla finestra, per ammutolirci. Mite e amichevole venne a trovarmi a Roma con la proposta di scrivere la sceneggiatura di un film tratto dal mio romanzo “Cattivi soggetti”. Lavorammo sodo ma alla fine aveva raggranellato solo metà dei soldi necessari e la chiudemmo lì. Non aveva simpatie per Berlusconi, nonostante lavorasse a Canale 5.

Gli raccontai la forte emozione che provai nell’autunno del Sessantotto a Campo de Fiori sotto il palco a ridosso de la statua di Giordano Bruno, da dove ascoltai per la prima volta rabbrividendo “Contessa”, dopo una violenta dimostrazione per il centro della Capitale. La stessa emozione mi dava “Valle Giulia” e “Il vestito di Rossini”. Il film che voleva fare era quello di un ex sessantottino che tornava da una città industriale americana e ripercorrendo i luoghi romani dell’anno maledetto scopriva una sua amica di allora fotografata su un cartellone pubblicitario. Rincontrando i suoi compagni avrebbe avvertito la brusca trasformazione del nostro paese.

Era stato aiuto regista anche di Visconti di “Morte a Venezia” e della “ROMA” di Fellini. Tentò più volte di farsi eleggere nel parlamento italiano, una volta con Rifondazione comunista e poi recentemente con “Potere al popolo” senza esito positivo. Bello il suo documentario su G8 di Genova.

Si ammalò di nostalgia, di quando non scappavamo più dinanzi alla polizia di Valle Giulia. Ci ha lasciato a 76 anni. Su Facebook c’è una scia impressionante di post. Appaiono le foto di Paolo nella bagarre di Valle Giulia, quelle di quando, affollato di giovani, cantò “Il vestito di Rossini”. Giovanissimo, adulto invecchiato, anche quelle con il suo cane enorme e quando era insieme a Mariangela Melato. I commenti sono tutti di gente addolorata, di età diverse, dai più giovani a chi lo aveva ascoltato al Folk Studio. Paolo ha attraversato molte generazioni, che lo hanno ascoltato con lo stesso entusiasmo. A ben vedere il Sessantotto che traspariva nelle sue canzoni più note, era visionario, pieno di poesia e d’amore per gli ultimi e odio sincero verso i padroni e la borghesia che li sosteneva.

* Fonte: il manifesto

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