Le nuove misure annunciate da Piñera «servono solo a guadagnare tempo», invece urge «un nuovo modello di paese». Il problema di fondo è l’ingiustizia sociale del modello neoliberista, eredità della dittatura
Parla Pablo Sepúlveda Allende, nipote di Salvador Allende. «I cileni esigono cambiamenti profondi. La risposta è stata un terrorismo di stato analogo a quello degli anni bui di Pinochet»
Dal momento in cui il popolo cileno si è risvegliato, ribellandosi alla cronica ingiustizia sociale prodotta da un modello considerato il più neoliberista del mondo, per il paese si è aperta finalmente la possibilità di gettare alle ortiche la pesante eredità della dittatura di Pinochet. È la speranza che ci trasmette Pablo Sepúlveda Allende, nipote dell’indimenticato Salvador Allende (sua madre, Carmen Paz, è la figlia maggiore del presidente socialista) e membro della Rete di intellettuali, artisti e movimenti sociali in difesa dell’umanità.
Le proteste contro l’aumento del prezzo dei trasporti hanno fatto uscire il popolo cileno dal letargo?
Effettivamente, la grande protesta sociale esplosa il 14 ottobre scorso in seguito all’incremento del prezzo del biglietto della metro si è trasformata in un’enorme ribellione popolare che si è rapidamente estesa a tutte le principali città cilene. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso di decenni di rabbia e di scontento di fronte agli abusi, al saccheggio e allo sfruttamento che hanno reso il Cile uno dei paesi più diseguali al mondo. Non a caso, in base alle cifre ufficiali della Commissione economica per l’America latina e i Caraibi (Cepal) relative al 2017, il 50% delle famiglie ha accesso al 2,1% della ricchezza del paese, a fronte di un 10% che possiede il 66% del totale e dell’1% più ricco che concentra il 26,5% delle risorse.
La causa delle mobilitazioni di massa di questi giorni è insomma strutturale e va ricondotta a un modello economico e politico segnato dal neoliberismo più estremo, che oltretutto distrugge i nostri ecosistemi condannando le comunità a vivere in luoghi insalubri. Un modello a cui non ha messo mano neppure la Concertación, la coalizione di centro sinistra che ha governato a lungo il paese. Il popolo cileno, tuttavia, si è sollevato contro la cronica ingiustizia sociale prodotta da questo sistema ereditato dalla dittatura ed esige ora cambiamenti di fondo.
Cosa pensi del pacchetto di misure sociali annunciato dal presidente Piñera?
Non è assolutamente credibile. È un pacchetto che si propone solo di guadagnare tempo, offrendo la realizzazione di provvedimenti superficiali al solo scopo di continuare a ingannare il popolo e di smobilitarlo, di frenarne la lotta. E intanto tutti i principali movimenti sociali e i sindacati del paese, oltre al Partito comunista, al Frente Amplio e persino, sorprendentemente, al Partito socialista, hanno chiarito che nessun dialogo sarà possibile con il governo finché non sarà revocato lo stato d’emergenza e i militari non rientreranno nelle caserme.
Quale potrebbe essere una soluzione alla crisi?
La soluzione di fondo potrebbe venire dalla convocazione di un’Assemblea costituente mirata alla trasformazione del modello di paese. Qualsiasi altra misura, sempre nel caso in cui venga accettata dal popolo, non sarebbe che un cambiamento di superficie destinato appena a procrastinare la soluzione finale del conflitto.
Cosa pensi delle violenze di questi giorni?
La vera violenza è quella commessa dal governo, che, come ai tempi del regime di Pinochet, ha limitato le libertà della cittadinanza con la proclamazione dello stato d’emergenza e del coprifuoco e, al fine di “controllare” le manifestazioni, ha riportato per le strade i militari, i quali hanno esercitato, insieme ai carabineros, un terrorismo di stato analogo a quello degli anni più oscuri della dittatura. Circolano video di assassinii in piena luce del giorno e si registrano arresti e sequestri, soprattutto a danno di giovani, persino minorenni, che non stavano commettendo alcun reato. E vi sono denunce di torture, vessazioni e casi di scomparsa forzata. D’altro canto esistono anche prove, tra video, foto e testimonianze, che molti degli incendi e dei saccheggi avvenuti in questi giorni sono stati perpetrati dalle forze di sicurezza sia direttamente che indirettamente, chiudendo gli occhi, cioè, di fronte agli assalti agli esercizi commerciali.
La strategia, insomma, è quella di giustificare il ricorso a misure dittatoriali con l’esistenza di atti di vandalismo da loro stessi promossi o permessi. In realtà, quello che vogliono è seminare il terrore per stroncare la mobilitazione che esige la rinuncia di Piñera e la realizzazione di cambiamenti profondi del sistema politico-economico.
Cosa può succedere ora?
Credo che ci troviamo a un bivio in cui potrà decidersi la permanenza o meno del modello neoliberista e della plutocrazia che lo governa. E che la sopravvivenza di tale modello potrà essere garantita solo con la violenza, perché non penso si possa ingannare ulteriormente un popolo che è ormai deciso a conquistare una vera giustizia sociale e che sa perfettamente quali siano i responsabili del sistema di ingiustizia. In questo quadro, la convocazione di un’Assemblea costituente veramente partecipativa potrebbe essere decisa già durante questo governo oppure essere il frutto di un accordo per le presidenziali del 2021.
* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto
photo: Sebastián poch velasco [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)]
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