Mafia, inchiesta sui servizi caccia alle spie infedeli che favorirono le stragi

De Gennaro ordina un’indagine interna
Sotto i riflettori i funzionari attivi in Sicilia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta Forse è stato già  identificato “il mostro”, l’agente visto a Capaci e via D’Amelio

De Gennaro ordina un’indagine interna
Sotto i riflettori i funzionari attivi in Sicilia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta Forse è stato già  identificato “il mostro”, l’agente visto a Capaci e via D’Amelio I servizi segreti indagano sui servizi segreti. Con vent´anni di ritardo, anche loro, soprattutto loro, si guardano dentro. Cercano le spie infedeli, danno la caccia a chi voleva morti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. C´è un´indagine interna, segretissima naturalmente, che in queste ultime due settimane sta mettendo sottosopra gli ambienti dell´intelligence italiana. E c´è una formale richiesta di Gianni De Gennaro, il responsabile dei nostri apparati di informazione, ai procuratori di Caltanissetta per ricevere notizie sugli esiti delle investigazioni intorno alle stragi di Palermo.
L´indagine interna è estesa sia all´Aise (l´Agenzia informazioni sicurezza esterna) diretta dall´ammiraglio Bruno Branciforte che all´Aisi (l´Agenzia informazioni sicurezza interna) diretta dal generale dei carabinieri Giorgio Piccirillo, i due servizi segreti ai quali i magistrati siciliani, nell´autunno scorso, hanno chiesto di avere «accesso» ad alcune schede. Profili di funzionari entrati o sospettati di avere avuto un ruolo nelle trattative con Cosa Nostra o, addirittura, un ruolo nella partecipazione ai massacri. Per quel poco che se ne sa c´è stata una certa «collaborazione» all´Aisi, dove il procuratore Sergio Lari ha potuto visionare alcuni album fotografici che poi ha girato ai testimoni delle sue indagini.
Si seguono le tracce dell´uomo con la faccia da «mostro», l´agente che è stato visto sui luoghi di alcune stragi, ma si prova a ricostruire anche tutta la squadra di 007 che era operativa nella Sicilia occidentale dalla seconda metà degli Anni Ottanta. Uomini transitati dal servizio segreto interno o esterno e passati anche in quell´Alto Commissariato guidato da Domenico Sica, una «centrale» che non sempre è stata in sintonia con Falcone e Borsellino. Il «mostro» sarebbe stato in contatto proprio con l´Alto Commissariato antimafia, ufficialmente acquartierato a Villa Whitaker – la splendida residenza liberty della prefettura di Palermo – ma in realtà composto da agenti sparsi in ogni ufficio investigativo dell´isola. L´agente con la faccia deturpata proveniva proprio da una squadra mobile, quella di Palermo, dove aveva lavorato agli inizi degli Anni Settanta per poi entrare ai «servizi».
Come finirà l´indagine aperta dagli apparati nessuno può dirlo, certo è che dopo un anno di ricerche l´uomo con la faccia da «mostro» – quindi facilmente individuabile – non è stato ancora ufficialmente identificato. Girano voci di un riconoscimento. Girano voci sulle sue abitudini: sniffa (o sniffava) coca, gira (o lo faceva) per Palermo su una grossa moto Suzuki e a bordo di una Range Rover. È ancora in circolazione il «mostro»? È vivo?
È comunque un personaggio che ha sempre goduto di una copertura totale. Il «mostro» è stato descritto per la prima volta ventuno anni fa, esattamente nell´estate del 1989, da Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto Antonino ucciso un mese e mezzo dopo il fallito attentato dell´Addaura. Vincenzo Agostino ha raccontato agli inquirenti della squadra mobile di Palermo un incontro con quell´agente segreto («Ha cercato mio figlio qualche settimana prima che venisse ucciso») ma il verbale del suo interrogatorio non è agli atti dell´inchiesta sull´omicidio di Antonino Agostino. Sparito. Una testimone ha notato il «mostro» anche all´Addaura, il confidente Luigi Ilardo ha svelato al colonnello dei carabinieri Michele Riccio che «sui luoghi delle stragi c´era sempre un uomo con la faccia da mostro». Sarà tanto difficile trovarlo? Ci sarà davvero la volontà di trovarlo?
È solo in questa ultima domanda il destino delle indagini sulle stragi del 1992 e sul «contesto» di quegli anni. Mafia e non solo mafia. Mafia e pezzi dello Stato. Uomini d´onore e uomini degli apparati, Gaetano Scotto e il «mostro», tutti e due sempre nel posto giusto al momento giusto, il primo boss dell´Arenella (geograficamente la zona contigua agli scogli dell´Addaura e alla casa di via Mariano D´Amelio dove è stato ucciso Paolo Borsellino) e il secondo l´agente delle scorribande per conto dell´Alto Commissariato antimafia. Due uomini che ritornano sempre. Da racconti. Da tabulati telefonici. Da testimonianze dirette. Il punto decisivo delle nuove inchieste sulle stragi siciliani passa da loro, dal «mostro» e da Gaetano Scotto. Quello che potranno fare i procuratori di Caltanissetta, molto dipenderà da ciò che vorranno i nostri apparati di sicurezza. Là dentro già si è scatenata una guerra. E ci sono ancora fazioni dei «servizi» che controllano l´andamento delle indagini dei magistrati siciliani: spiano ancora, provano a «introdursi» nei sistemi informatici della Dia, ascoltano, pedinano. E probabilmente sono pronti ancora a depistare. Come hanno fatto negli ultimi vent´anni.
Il resto di questa vicende, paradossalmente, è affidato solo a Totò Riina. Lui, che sta pagando per tutti e per tutto, un anno fa aveva lanciato un segnale: «L´hanno ammazzato loro…non guardate sempre e solo me, guardatevi dentro anche voi». Il vecchio boss di Corleone, usato e sacrificato per le stragi, parlerà ancora?

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