Caso Battisti, gesuitiche distinzioni. Asor Rosa attacca il manifesto. La polemica (e il profluvio di inutili insulti)

Un momento. Maurizio Matteuzzi è di sicuro troppo colto e raffinato per non sapere che, se un giornale, nel caso il manifesto, pubblica un pezzo come l’intervista a Cesare Battisti (27 gennaio), magnificandone il carattere di primizia, di anticipazione (capirai che scoop) e affiancandole un pezzo che c’informa trionfante che la neo-presidente Dilma Roussef è ben intenzionata a ribadire il rifiuto dell’estradizione formulato da Lula, i lettori siano spinti a pensare che quel giornale, nel caso il manifesto, faccia proprio il senso complessivo dell’iniziativa.

Un momento. Maurizio Matteuzzi è di sicuro troppo colto e raffinato per non sapere che, se un giornale, nel caso il manifesto, pubblica un pezzo come l’intervista a Cesare Battisti (27 gennaio), magnificandone il carattere di primizia, di anticipazione (capirai che scoop) e affiancandole un pezzo che c’informa trionfante che la neo-presidente Dilma Roussef è ben intenzionata a ribadire il rifiuto dell’estradizione formulato da Lula, i lettori siano spinti a pensare che quel giornale, nel caso il manifesto, faccia proprio il senso complessivo dell’iniziativa.
Pur condividendo da subito la vergogna e l’orrore di cui si parla Mario Lavagetto nella sua lettera (30 gennaio), non ho reagito, un po’ per stanchezza, un po’ perché ero in viaggio e un po’ perché pensavo, forse ingenuamente, che si trattasse di una delle tante «distrazioni» redazionali, che ogni giornale commette. Ma proprio Matteuzzi interviene a chiarici che l’iniziativa è il frutto di una scelta del giornale, che fare precisazioni sarebbe stato «inutile e peloso» (sic), invitandoci invece giudiziosamente a riflettere sulla distinzione che passa fra lo «squallore» del personaggio e il problema squisitamente giuridico dell’estradizione. Beh, messa così proprio non va.
L’intervista conferma, ma anche ribadisce e aggrava, quel che già sapevamo, e cioè che Battisti è un miserabile, uno che per salvarsi di fronte a un pubblico ignaro è disposto a versare fiumi di fango su di noi e sulla nostra storia, un mentitore e un vigliacco, il quale neanche in questa occasione spende una sola parola di biasimo sulla scia di sangue che lui, ammesso e non concesso che sia innocente, fuggendo si è lasciato dietro le spalle. Passiamo il nostro tempo da quindici anni a questa parte a sostenere l’azione della magistratura contro i mascalzoni, i ladri, i depravati sessuali che oggi sono al potere nel nostro paese, e dobbiamo leggere proprio sul manifesto e assistere inerti alle accuse infamanti che questo mentecatto-delinquente riversa su di essa?
Questo significa che non bisogna criticare la magistratura quando sbaglia? Certo che no, certo bisogna farlo, e farlo soprattutto quando è più necessario e magari meno rassicurante e tranquillizzante di quanto non sia oggi: per esempio, ai tempi del teorema Calogero e del 7 aprile, quando io e non molti altri (ad esempio, fra loro, quelli del manifesto) abbiamo parlato, e parlato forte. Ma ritrovarci affiancati, per merito di questa strampalata iniziativa giornalistica, a uno come Battisti? E sentirci, per consolazione, propinare la gesuitica (altro che «inutile e pelosa»!) distinzione di Matteuzzi?
A questo punto io non chiedo che il manifesto in quanto giornale si schieri a favore della richiesta di estradizione in Italia di Battisti (come pure penso che sarebbe giusto). Gli chiedo di condividere pubblicamente l’orrore e la vergogna che io e molti altri, lettori e collaboratori del manifesto, abbiamo letto, provato leggendo l’intervista di Battisti e l’ipocrita, e perciò non meno devastante per noi, precisazione di Matteuzzi.
Il «senso comune» di una sinistra autenticamente radicale, – insomma e soprattutto di un quotidiano che nel 2011 si definisce ancora coraggiosamente «comunista» – dovrebbe essere questo. Se non lo è, fatecelo sapere.
Alberto Asor Rosa
Ancora un momento. Per ribadire alcuni punti.
Primo. Una «distinzione gesuitica»? Come può sfuggire, ad Asor Rosa e agli altri lettori e collaboratori che hanno mandato veementi lettere di protesta, che «la «distinzione che passa fra lo “squallore” del personaggio e il problema squisitamente giuridico dell’estradizione» è il punto centrale e ineludibile (anche) «della strampalata inziativa giornalistica» del «manifesto». Reso, se possibile, ancor più evidente dalla volgare insopportabilità, fino al limite del ridicolo, delle parole di Battisti nell’intervista, che avrebbe reso, a mio giudizio, «inutile e pelosa» una precisazione salva-anima di presa di distanza dalle sue parole (ma evidentemente su questo ho sbagliato io, viste le reazioni suscitate).
Secondo. Il fatto che in Italia i magistrati si stiano battendo valorosamente e che noi, come ovvio, li «sosteniamo», cancella quella che fu la gestione giuridica degli anni di piombo e soprattutto dei decenni successivi agli anni di piombo? Fa bene Asor Rosa a ricordare il giudice Calogero ma non solo di Calogero si trattò e si tratta.
Terzo. Si rassicuri Asor Rosa: «il manifesto» non ha mai fatto né fa né «farà propri» i giudizi e le parole di un personaggio umanamente e politicamente spregevole come Battisti. Ma davvero Asor Rosa pensa che il problema di Battisti e degli anni di piombo si risolva – e si chiuda – con la sua estradizione? E come spiega che, fuori e non solo in Brasile, l’Italia e il suo sistema giudiziario-carcerario siano percepiti come un paese del Terzo mondo? In Brasile circola in questi giorni una petizione «per l’immediata liberazione di Cesare Battisti, sottoposto a una reclusione intollerabile e incostituzionale», petizione promossa da un noto attivista di Amnesty international e firmata non solo da politici di sinistra e varie «celebrità», ma – ciò che più conta nel caso in questione – dai 32 maggiori giuristi del paese. Tutti caduti nella rete del «miserabile» Battisti e della sua claque radical-chic francese? L’ultimo dei 7 punti in cui si articola la petizione conclude così: «Si ribadisce infine che il carcere a vita, in Italia, è garantito dall’articolo 41 bis, forma di ergastolo ostativo applicato alla maggioranza di detenuti politici, mafiosi e “insubordinati” (600 circa su 1500 ergastolani), che non possono accedere ad alcun “trattamento riabilitativo” e quindi sperare in future “misure alternative” alla pena detentiva… da ultimo va sottolineato che l’Italia, insieme a pochi altri stati, non ha mai sottoscritto il trattato contro la tortura». Vogliamo discutere di questa «distinzione gesuitica»?
Maurizio Matteuzzi

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