Le città  volanti di Tomà¡s Saraceno

INTERVISTA – All’HangarBicocca l’artista nato in Argentina nel 1973 presenta la sua architettura organica, un mondo fluttuante che invita i visitatori a camminare a mezz’aria

INTERVISTA – All’HangarBicocca l’artista nato in Argentina nel 1973 presenta la sua architettura organica, un mondo fluttuante che invita i visitatori a camminare a mezz’aria
MILANO. Lo spazio-membrana che ho creato è una metafora sociale: ognuno deve avere un senso di responsabilità e non può prescindere dall’altro da sé. Si vive interconnessi, coinvolti in una relazione. I miei edifici fatti di vuoto mutano quando vengono attraversati dalle persone e richiedono un allarme fisico Un altro mondo è possibile? Tomás Saraceno, l’artista nato a san Miguel di Tucuman in Argentina e poi divenuto cittadino «planetario», non ha dubbi. Certo che è possibile, ma bisogna adattarsi a una nuova socialità. Per esempio, dimenticare le tante metropoli e le architetture «storiche», modernismo compreso forse, per avventurarsi in spazi di aria, vuoti e sospensioni in cui a reinventare i confini ci pensano la pesantezza del corpo e la forza di gravità. Cloud cities è il progetto in progress che sta immaginando e realizzando da anni. Con un lavoro di squadra, Saraceno «modella» edifici trasparenti dentro i quali viaggiare e camminare, lasciandosi alle spalle ogni delirio di onnipotenza e tentazioni di antropocentrismo mai sopite.
«Noi già voliamo, la terra gira intorno al sole, galleggiamo nel nulla, non bisogna spaventarsi di raggiungere il cielo…», dice ridendo Tomás, 39 anni, infanzia tutta italiana (i genitori fuggirono dall’Argentina della dittatura per poi tornarci in tempi migliori) e oggi un atelier, multiculturale, con sede a Berlino. Con lui collaborano ingegneri, fisici, architetti, esperti che provengono dagli angoli più disparati del mondo, dalla Spagna alla Cina.
Siamo all’HangarBicocca, a Milano, luogo dove si può visitare – e, soprattutto, sperimentare – l’installazione site specific On Space Time Foam (fino al 3 febbraio). Ci incontriamo nel bar, alla vigilia dell’inaugurazione e Saraceno è visibilmente in tensione: ha lavorato per gran parte della notte, insieme allo staff sta mettendo a punto gli ultimi ritocchi al suo edificio di aria, aspetta che arrivino dei ventilatori grandi in grado di tenere l’ambiente sotto pressione costante. Si rifocilla con la colazione, zuccheri che vanno giù, una manciata di minuti per carburare e subito spande intorno a sé un contagioso entusiasmo.
Per spiegare quella sua «città volante», disegna sul taccuino, traccia linee sul tavolino, fa ampi gesti con le braccia. Mentre parla, fa venire una voglia compulsiva di andare a buttarsi immediatamente nel suo «palazzo» fatto di atmosfera e plastiche sovrapposte su tre livelli. Così, si cambia immediatamente postazione e si parte alla scoperta della sua struttura fluttuante, una superficie di 1200 mq, sollevata tra i 14 e 20 metri di altezza, costituita da cinque membrane che diventano tre «pavimenti» – molto precari – percorribili dal pubblico. Il titolo dell’opera viene direttamente dalla scienza: è un’espressione del fisico Paul Davies, che affida alla teoria dei quanti l’idea di un perenne movimento, tanto da causare mutamenti repentini nella materia «spazio-temporale».
Un’installazione che vive quindi, interagisce con le persone che la attraversano, non senza un certo coraggio e sfidando le vertigini. «Mi piace un’architettura che offra una possibilità di relazione fra gli esseri umani – dice Tomás Saraceno – i luoghi non esistono senza le persone, le architetture vanno abitate. Qui c’è una sincronicità insita nel movimento delle persone. La struttura si modifica a seconda del peso del corpo dei visitatori e ognuno che vi sale sarà costretto a farlo con i suoi sensi in allarme, chiedendosi: ‘cosa accadrà ora quando un altro, vicino a me, farà i suoi primi passi?’ L’instabilità conduce inevitabilmente a una specie di patto fra le persone, è necessario far ricorso a una responsabilità condivisa quando si è interconnessi, quando si cammina insieme…».
La plastica utilizzata, infatti, è un materiale amorfo, cambia seguendo la tensione che viene esercitata dal corpo e dall’aria circostante. «La stessa temperatura, il respiro collettivo del pubblico, impone delle variazioni: la struttura cresce, si gonfia, può intrappolare le persone o liberarle, facendole risalire in superficie…».
Con lui, a creare «universi paralleli», non ci sono solo ingegneri, ma anche guide alpine: devono monitorare la rarefazione dell’aria e i comportamenti umani. Sono lì per dare soccorso, per insegnare a galleggiare fra le nuvole (virtuali). «È come se la grande architettura tornasse alla sua misura umana e riscoprisse il suo compito sociale».
«Quando Tomás Saraceno ha visto lo spazio del Cubo – racconta Andrea Lissoni, curatore presso l’HangarBicocca che, con l’apporto di Pirelli, produce tutti i lavori che presenta – ha immaginato che potesse contenere una sfera interamente sospesa a mezz’aria da cavi. Il progetto si è trasformato, le sfere sono diventate due, a poco a poco di quella prima ipotesi non è rimasta traccia. Il Cubo era pronto ad accogliere la più grande superficie gonfiabile praticabile che l’artista avesse mai realizzato».
Saraceno è un sognatore a 360 gradi: ricerca soluzioni al limite della fantascienza secondo un modello di «open source» applicato a tutti i campi del sapere: il suo Museo Aerosolar (dal 2007 in corso) sarà un pallone aerostatico a energia solare di dimensioni crescenti, «oggetto» itinerante prodotto riciclando buste della spesa offerte dalle comunità locali.
Da parte sua, On Space Time Foam non finisce la sua storia a Milano. Se si troveranno gli sponsor, emigrerà alle Maldive, trasformandosi in un dirigibile che volerà sul mare, reso abitabile da pannelli solari e da un sistema di desalinizzazione. Intanto, Tomás è in partenza per una residenza – che lo elettrizza – presso il Massachusetts Institute of Technology. Per chi, invece, stesse per salpare alla volta di New York, la tappa d’obbligo è al Metropolitan: qui, sul tetto, alberga fino al 4 novembre una «cloud city», trasparente e riflettente: si può vedere Central Park capovolto, da altezze degne di Peter Pan.

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