Il paradigma vittimista come strumento di governo

Storia. Da “grande proletaria” al giorno del ricordo, la costante tensione autoassolutoria della nazione italiana

Un aspetto deter­mi­nante dell’auto-narrazione nazio­nale, del rac­conto di noi stessi di cui veniamo dotati per per­ce­pirci nel mondo, con­si­ste nel descri­vere l’Italia e gli ita­liani come vit­time del corso acci­den­tato della sto­ria. Tale imma­gi­na­rio, figlio diretto del nazio­na­li­smo risor­gi­men­tale, assunto sin dalle parole del nostro inno –da secoli cal­pe­sti e derisi – ha pro­dotto col tempo anche il cor­re­lato degli ita­liani “brava gente”, rei­te­rato di volta in volta a giu­sti­fi­ca­zione bona­ria dei nostri sche­le­tri nell’armadio: dal colo­nia­li­smo dal volto umano al fasci­smo regime “minore”, e via dicendo. In anni più o meno recenti una gene­ra­zione di sto­rici ha prov­ve­duto a smon­tare tale “para­digma autoas­so­lu­to­rio”, inda­gando sulle respon­sa­bi­lità giu­ri­di­che, poli­ti­che ed eti­che dei governi ita­liani in campo nazio­nale e inter­na­zio­nale dall’800 ai giorni nostri. Un lavoro che però rimane con­fi­nato al dibat­tito acca­de­mico tra addetti ai lavori: l’ideologia sot­tesa all’istituzione del “giorno del ricordo”, così come la lunga que­relle con l’India riguardo alla vicenda dei “due marò”, con­fer­mano come tale impo­nente dibat­tito sto­rico non rag­giunga il piano politico-mediatico gene­ra­li­sta, quello desti­nato ad influen­zare l’opinione pub­blica. In effetti, in que­sti anni si è assi­stito, più che ad un con­creto revi­sio­ni­smo sto­rico in chiave acca­de­mica – ope­ra­zione que­sta sem­pre auspi­ca­bile – ad un vero e pro­prio uso poli­tico della sto­ria, volto a pie­gare par­ti­co­lari vicende del nostro pas­sato recente al fine di legit­ti­mare un discorso poli­tico con­tin­gente. L’evoluzione poli­tica di deter­mi­nati par­titi, la fine della pre­giu­di­ziale anti­fa­sci­sta, la neces­sità di sdo­ga­nare attori poli­tici dal pas­sato impre­sen­ta­bile, hanno riat­ti­vato in que­sti anni cli­ché reto­rici mai vera­mente superati.
Ancora oggi, pas­sato quasi mezzo secolo dai lavori di Angelo Del Boca e Gior­gio Rochat sui cri­mini ita­liani durante le varie spe­di­zioni colo­niali, ancora fati­chiamo ad assu­merci le respon­sa­bi­lità sto­ri­che di aver intra­preso delle imprese colo­niali in tutto e per tutto spe­cu­lari a quelle delle nazioni tipi­ca­mente asso­ciate al con­cetto stesso di colo­nia­li­smo. Eppure, nono­stante circa 500.000 afri­cani morti durante le guerre di aggres­sione pro­mosse dall’Italia libe­rale e poi fasci­sta, non­ché l’invenzione e l’utilizzo di armi chi­mi­che con­tro le popo­la­zioni civili, tut­tora veniamo colti da stu­pore di fronte all’inimicizia, a volte vero e pro­prio odio, che alcune popo­la­zioni afri­cane ancora riser­bano nei nostri con­fronti, dalla Libia alla Soma­lia. I conti con la sto­ria, che alcuni Stati hanno voluto o dovuto fare con il pro­prio pas­sato cri­mi­nale, da noi riman­gono argo­mento tabù. Che impe­di­sce non solo di imma­gi­nare pro­cessi giu­ri­dici o eco­no­mici di ripa­ra­zione dei danni pro­vo­cati, quanto quello di attuare poli­ti­che con­se­guenti con il peso del pro­prio pas­sato (ad esem­pio, evi­tare di andare a bom­bar­dare paesi vit­time delle nostre pas­sate aggres­sioni mili­tari). (Auto)descritti come civi­liz­za­tori, l’odio di talune popo­la­zioni sem­bra coglierci di mera­vi­glia, e invece di com­pren­derlo veniamo intrap­po­lati dal più trito ste­reo­tipo raz­zi­sta di chi pen­siamo dovrebbe rin­gra­ziarci piut­to­sto che accusarci.

Lad­dove però tale rimo­zione delle colpe rag­giunge l’acme è nella gior­nata del ricordo, isti­tuita per legge nel 2004 die­tro pres­sante ini­zia­tiva dell’allora Alleanza Nazio­nale, ful­gido esem­pio di uso della sto­ria per fini poli­tici con­tin­genti, in que­sto caso la legit­ti­ma­zione “cul­tu­rale” di un sog­getto poli­tico ati­pico. Nel caso in que­stione la rimo­zione delle colpe si tra­muta in “rimo­zione delle pre­messe”: la sto­ria tra­va­gliata del con­fine orien­tale, nella vasta pub­bli­ci­stica di rife­ri­mento – a parte alcuni lavori in con­tro­ten­denza – parte ine­vi­ta­bil­mente dal 1943, sal­tando a piè pari e volon­ta­ria­mente il ven­ten­nio di nazio­na­liz­za­zione for­zata delle popo­la­zioni slo­vene e croate resi­denti nella Vene­zia Giu­lia e in Istria. Al di là della biblio­gra­fia in merito, è soprat­tutto il rac­conto uffi­ciale delle isti­tu­zioni ita­liane a fare pro­pria una visione degli eventi de-responsabilizzante. Non si tratta di mini­miz­zare o bana­liz­zare le sof­fe­renze di popo­la­zioni vit­time di un con­te­sto bel­lico che ne deter­minò i destini, tal­volta tra­gici. Si tratta, per l’appunto, di ope­rare una con­te­stua­liz­za­zione, non per “ridurre” il dramma ma per com­pren­derlo, spie­garlo, coglierne le pre­messe. La nazio­na­liz­za­zione coatta delle terre slo­vene e croate durante il ven­ten­nio di domi­na­zione ita­liana pro­dusse odi e ran­cori umani che sfo­cia­rono anche nella “ven­detta som­ma­ria”, ma que­sta, ancor­ché non giu­sti­fi­ca­bile, dev’essere spie­gata attra­verso il pro­cesso sto­rico che ne deter­minò le cause. Un pro­cesso sto­rico anche qui segnato dalle poli­ti­che colo­niali del regime fasci­sta, anche in que­sto caso in per­fetta con­ti­nuità col pre­ce­dente regime libe­rale. La reto­rica vit­ti­mi­sta ita­liana non rie­sce a rico­no­scere la vit­tima nell’altro campo, per­ché nel rac­conto nazional-popolare attorno ai temi delle foibe e dell’esodo l’unica vit­tima è la popo­la­zione ita­lo­fona, “costretta” a migrare dal nuovo governo jugo­slavo, e mai “car­ne­fice”, assu­men­dosi la respon­sa­bi­lità di vent’anni di repres­sione etnica anche nei ter­ri­tori istriani. Giova ricor­dare che mai l’Istria ha avuto un governo ita­liano diverso da quello fasci­sta, motivo in più per la sedi­men­ta­zione di quel paral­lelo tra ita­liano e fasci­sta sti­mo­la­tore di impro­pri quanto fisio­lo­gi­che sovrapposizioni.

L’essere vit­time e mai respon­sa­bili delle pro­prie azioni non è dina­mica legata solo agli eventi del pas­sato. La vicenda dei “due marò” ha ripro­po­sto in que­sti due anni la voca­zione autoas­so­lu­to­ria di chi si per­ce­pi­sce vit­tima degli eventi. Scom­pa­iono, nella rico­stru­zione ad usum media­tico, le uni­che due vit­time reali, con­crete, della vicenda, cioè i due pesca­tori indiani Valen­tine Jele­stine e Ajesh Binki. Si dis­solve la loro sto­ria, la sof­fe­renza delle loro fami­glie. Sva­ni­sce soprat­tutto il con­te­sto, cioè la mili­ta­riz­za­zione delle rotte inter­na­zio­nali del tra­sporto marit­timo, data per asso­data. Chi pagava – e paga tutt’oggi – la pre­senza di mili­tari a bordo delle navi com­mer­ciali? In base a quale trat­tato o legge si con­sente la pre­senza mili­tare su imbar­ca­zioni civili, e quali sono le regole d’ingaggio? Per­ché l’Italia, nono­stante lotti per l’innocenza dei due mili­tari, ha da tempo pagato un inden­nizzo mone­ta­rio alle fami­glie dei pesca­tori uccisi ammet­tendo di fatto la col­pe­vo­lezza dei due marò? Domande ine­vase di fronte all’unica nar­ra­zione con­sen­tita, quella di un paese vit­tima degli umori nazio­na­li­stici di un altro sog­getto, ovvia­mente aggres­sore, car­ne­fice delle ragioni del nostro paese. Dav­vero in pochi con­te­stua­liz­zano la vicenda della pira­te­ria inter­na­zio­nale a largo delle coste somale con il fal­li­mento e il con­se­guente smem­bra­mento della stessa Soma­lia, avve­nuto tra­mite una guerra a cui anche l’Italia ha par­te­ci­pato (ovvia­mente con ope­ra­zioni di “peace-keepinkg”). Le pre­messe ven­gono can­cel­late, la coscienza nazio­nale salva.

Il con­trollo della memo­ria si tra­duce allora in stru­mento di governo. Rimuo­vere costan­te­mente le nostre respon­sa­bi­lità sto­ri­che e poli­ti­che rei­tera l’autoassoluzione come modello di con­senso. La per­ce­zione fal­lace di una nostra pre­sunta diver­sità con­sente scelte poli­ti­che deter­mi­nanti, come l’adesione a ope­ra­zioni mili­tari inter­na­zio­nali o la per­si­stenza di un certo retag­gio colo­niale da parte di aziende ita­liane nei paesi eco­no­mi­ca­mente arre­trati. L’immaginario vit­ti­mi­sta si pre­senta dun­que come faci­li­ta­tore ideo­lo­gico, stru­mento attra­verso il quale vei­co­lare il con­senso attorno ai pas­saggi chiave della nostra con­dotta politica.

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