La Comune operaia di Albona

Il 4 marzo del 1921, cento anni fa , i minatori di ogni nazionalità dell’Arsia, in Istria, occupano le miniere per autogestirle. Ovunque viene issata la bandiera rossa. Durerà poco, fino all’8 aprile

Nella zona di Labin/Albona, in Istria, le miniere di carbon fossile sono state famose nei secoli; sfruttate forse già dalla Serenissima, diventate italiane dopo la lunga appartenenza austriaca. È il bacino dell’Arsia, torrente ricco d’acqua che scende dal Monte Maggiore e arriva all’Adriatico con un estuario paludoso: siamo lassù, nella punta di nord-est dell’Istria. La fascia mineraria corre lungo il mare, arrampicata a mezza costa e i pozzi sono stati aperti a decine vicino alle frazioni o a piccoli nuclei abitati: Càrpano, Podlabin, Vines…

Gli operai di quel grande bacino minerario non sono nuovi alle lotte: nel 1867 hanno fondato la «Società di Mutuo Soccorso» perché le agitazioni si susseguono, le condizioni di lavoro sono dure e i salari bassi. I minatori aderiscono esplicitamente al socialismo internazionalista: sono operai croati, tedeschi, slovacchi, italiani, arrivano ogni giorno a migliaia da tutta l’Istria.

LA PRIMA GUERRA mondiale è una sorta di incubo: il regime in miniera si fa durissimo, le punizioni «esemplari», la riottosità antimilitarista viene castigata con invii mirati sul fronte rumeno. Ma con l’arrivo dell’Italia le condizioni non migliorano: l’Italia ha bisogno di carbone e i turni diventano di undici ore, il salario da fame, il ritmo di estrazione frenetico, le misure di sicurezza inesistenti. È bastato il cambio di calendario, tra l’austriaco e l’italiano, per dimezzare le festività riconosciute. Già alla fine del 1918 si torna a scioperare, si apre una sezione del Partito Socialista, sui bollini sindacali si stampa la falce e martello. Gli operai appartenenti alla distrutta Austria-Ungheria se ne vanno e vengono ampiamente rimpiazzati da «regnicoli» friulani, veneti, siciliani ma il clima non cambia, le idee della rivoluzione bolscevica hanno ormai raggiunto tutte le latitudini, la spinta del biennio rosso italiano si ripercuote con forza nelle zone slave occupate.

Nel marzo del 1921 lo sciopero è compatto, deciso: alle condizioni già dure di lavoro si sommano le angherie contro gli slavi in nome della «necessaria» italianizzazione e i fascisti scorrazzano indisturbati al seguito dei carabinieri. Il 4 marzo 1921 i minatori dell’Arsia occupano le miniere. Verso le ore 8 del mattino del 7 marzo, pattuglie di guardie rosse ispezionano il territorio del bacino minerario, invitando gli abitanti dei villaggi e le autorità scolastiche ad esporre sugli edifici le bandiere rosse.

NEL GIRO DI POCHE ore le bandiere spuntano su tutte le case, i ragazzi le issano perfino sui rami degli alberi e una grande bandiera con la falce e il martello viene portata a Vines e piantata all’ingresso principale della miniera. Da quel giorno si comincia a parlare della «Repubblica di Albona». Il Comitato rivoluzionario e le guardie rosse dominano la situazione, gli operai dicono «la miniera è nostra» e allora la miniera deve funzionare «dobbiamo produrre per conto nostro».

L’OCCUPAZIONE delle miniere e l’instaurazione della gestione diretta da parte dei lavoratori ha il carattere di una Comune proletaria, si passa presto all’autogestione amministrativa, il bacino minerario dell’Arsia con i suoi villaggi e i piccoli paesi, è un territorio governato dalla collettività. È l’unico caso di una Comune operaia, consistente territorialmente che si costituisce ed opera in quella che era l’Italia del 1921. Dura poco, le bandiere rosse sventolano ovunque fino all’8 aprile, poi sono strappate via con la forza delle armi.

Oggi, le zone interne dell’Istria sono ancora abbastanza intatte, hanno subìto meno il turismo di massa, la cementificazione, la distruzione di foreste secolari di pini marittimi e poi di lecci e di corbezzoli. E non sono state così devastate dalla guerra inter-etnica dell’ex Jugoslavia negli anni Novanta, quando in Croazia le sedi operaie, come la storica e fondativa Camera del lavoro di Vukovar importante per tutta la storia del movimento operaio jugoslavo, venivano fatte saltare – con le lapidi partigiane – con la dinamite dalle milizie neo-ustascia.

Labin/Albona, arroccata lassù sulla collina con le sue mura medioevali e la Torre Rotonda, è un intrico di viuzze, la piazza, la chiesa trecentesca, la loggia del ‘600: da lassù si vede il mare e le isole di fronte, intorno l’Istria interna verde di querce e di castagni, e poi gli orti e le vigne e gli oliveti a vista d’occhio.

LA TERRAZZA di un’osteria tutta di pietra, la fresca malvasia locale e un vecchio libro, magari scaricato gratuitamente da internet. In questo caso è La Repubblica di Albona” di Giacomo Scotti e Luciano Giuricin, libro fondamentale, e unico, per conoscere la storia della prima comune autogestita antifascista d’Italia. Una breve gloriosa esperienza nel contesto della storia istriana, in quegli anni cruciali del passaggio all’Italia dopo la prima guerra mondiale, la storia dei socialisti, dei comunisti e delle lotte operaie. Una fonte incredibile di fatti assai ben documentati con una ricca bibliografia e anche tanto materiale fotografico che si legge come un romanzo.

Cento anni fa esatti, in una terra certo più povera, con i pozzi di estrazione e l’aria di un grigio denso, la fuliggine, le ciminiere annerite. Eppure è un viaggio nel tempo che profuma, come adesso mentre scende il sole, il mare e il cielo impallidiscono e si sente il profumo della salvia, del rosmarino, della lavanda.

* Fonte: Marinella Salvi, il manifesto

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