#maiconsalvini. Come i media hanno oscurato i 30mila scesi in piazza a Roma contro la manifestazione della Lega con Casa Pound
Tre giorni dopo, l’imponente corteo romano contro la Lega e Casapound è scomparso dall’orizzonte mediatico mainstream. A dire il vero, già nelle cronache del giorno dopo l’attenzione era tutta riversata sul fallito raduno leghista, e sproporzionatamente concentrata sulla partecipazione di Casapound. Descritta, quest’ultima, più con i toni della curiosità e dell’indulgenza che ricordandone la natura neofascista.
A destare più di qualche perplessità rimane però il buco informativo riguardo al corteo antifascista. Per settimane raccontato come ennesimo problema d’ordine pubblico, accomunato agli scontri della settimana precedente dei tifosi olandesi, il climax mediatico terrorizzante non ha trovato nella giornata del 28 il suo conseguente apice. Scegliendo così il silenzio, di fronte ad una piazza che aveva surclassato numericamente e qualitativamente il presidio fascio-leghista. La scelta di articolare una “conflittualità diffusa” nei giorni precedenti, evitando di cadere nella trappola – anch’essa mediatica – della manifestazione con scontri, ha portato non ad una esaltazione della mobilitazione (come era lecito aspettarsi da chi predica il verbo pacifista in ogni luogo), quanto ad una sua rapida scomparsa dal circuito comunicativo.
La triste parabola entro cui vengono riportati costantemente i movimenti antagonisti si è riproposta in questi giorni di commenti: se le manifestazioni sfociano in scontri con le forze dell’ordine prendono velocemente la scena informativa, alimentando la canea mediatica accusatrice e repressiva; se al contrario gli stessi movimenti riescono a mettere in campo dinamiche articolate, conflittuali ma anche partecipate, di massa, immediatamente vengono espunti dal circuito mediatico dove prende forma l’opinione pubblica. L’assenza di scontro produce l’invisibilità delle ragioni della protesta, generando peraltro una frustrazione che porta infine acqua a chi afferma che solo attraverso pratiche esclusivamente conflittuali si riescono a veicolare le ragioni politiche dei movimenti. Un cul de sac alimentato proprio dal sistema mediatico, a parte alcune lodevoli eccezioni.
I duecento ragazzotti di Casapound da due giorni campeggiano sui giornali generalisti del paese, nonostante il flop che ha riguardato anche la loro specifica mobilitazione. I trentamila manifestanti antifascisti nessuno sa più dove siano finiti. Probabilmente la manifestazione sarà stata annullata, avranno pensato i lettori dei giornali del giorno dopo o chi ha guardato i telegiornali della sera. Esclusi i partecipanti al corteo antileghista, l’opinione pubblica difficilmente sarà riuscita a cogliere il vero dato della giornata, e cioè che i cittadini romani hanno disertato la piazza leghista per aderire a quella antifascista, in fin dei conti il dato significativo di tutta la giornata di sabato scorso, la concreta novità politica che avrebbe dovuto oscurare le solite magliette di Salvini, le solite croci celtiche dei “fascisti del terzo millennio”, i soliti trattori leghisti presenti ad ogni adunata del partito nordista.
E invece niente, senza scontri niente titoli, senza il sangue niente notizia. Una dinamica, questa, che dovrebbe portare tutto il sistema mediatico generalista ad una riflessione su quanta responsabilità abbia nel fomentare animi e creare aspettative destabilizzanti. Descritti come hooligan della politica, l’inatteso (per la stampa) andamento del corteo ha lasciato afoni non solo i giornali stessi, ma le ragioni della protesta. Ragioni che, lo ribadiamo, sabato hanno prevalso sia in senso numerico che nella qualità politica. Purtroppo, al di fuori dei partecipanti al corteo, nessuno se ne è potuto accorgere.
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