Sabato 18 aprile i nostalgici del Terzo Reich si ritrovano nella città lombarda con un concerto per “celebrare” il Führer. Con le sigle nazirock che richiamano centinaia di teste rasate per il terzo anno consecutivo
Il 20 aprile 1889 nasce a Braunau am Inn, nell’allora impero Austro-Ungarico, Adolf Hitler. Sono passati più di centoventicinque anni ma, nonostante l’orrore della Shoah, un intero continente devastato dalla guerra, morte e persecuzioni, qualcuno pensa che quella data sia un evento da festeggiare.
Non esiste più il Terzo Reich, la Germania è una solida e moderna democrazia guidata da Angela Merkel, eppure i neonazisti di casa nostra continuano a guardare a quel passato di totalitarismo e antisemitismo per dare un senso al loro futuro.
L’appuntamento è per sabato 18 aprile a Varese, culla del leghismo della prima ora che negli anni novanta si consegnò anima e corpo al nascente partito di Umberto Bossi e Roberto Maroni, entrambi varesini doc. Dal dopoguerra la città, dopo essere stata un serbatorio di voti dell’Msi, è diventata anche una fucina di sigle della galassia nera.
Ad organizzare l’evento per il terzo anno di fila è il fronte Varese Skinhaeads e la locale “Comunità dei dodici raggi”. Arriveranno le teste rasate da tutto il Paese per assistere al concerto che in scaletta prevede brani nostalgici dei “Garrota”, dei “Nessuna Resa” di Lucca, dei “Testudo Rac’ N’ Roll” di Bari e dei “Malnatt” di Milano.
I testi richiamano la battaglia, la terra nemica, il sistema anti-Stato, la rabbia, il coraggio, il mito dei legionari e la guerra come epopea di ardite gesta e tempi gloriosi.
Così, impastando note e parole, si alimenta l’odio. Per l’occasione gli organizzatori hanno diffuso anche una locandina, in cui è ritratto il Führer a Berlino durante un’adunata di massa. La Comunità dei dodici raggi, che si fa forte di eventi e date simbolo (foibe, 20 aprile, solstizio d’estate e d’inverno), si ritrova a giorni prestabiliti nella sede di Caidate (nel sud della Provincia). Il 10 febbraio scorso in duecento hanno sfilato in città per commemorare le «vittime delle foibe e dei comunisti di Tito». Un corteo che ha cercato di riunire le frange nere locali: da Forza nuova a Casa Pound.
Per tutti i camerati l’appuntamento è la sera del 18 aprile, quando saranno guidati dai cartelli con il simbolo “88” (l’ottava lettera dell’alfabeto indica il saluto nazista «Heil Hitler!»), alla fine dell’autostrada Milano-Laghi, per indicare la meta del concerto. Il luogo è segreto, ma un anno fa si ritrovano in quattrocento a Mornago al Biker Bull cafè. Dove si prevede che convergeranno anche quest’anno.
Birra, slogan antisemita, danze selvagge e truci canzoni contro gli ebrei con gente che dal palco si lanciava a corpo morto sulla folla. Nel 2013 erano finiti nella sede dell’associazione filoleghista “I nostar radiis” (le nostre radici in dialetto locale) che avevano un vecchio casello ferroviario in affidamento, alle porte del capoluogo nel comune di Malnate.
Ad inneggiare al torturatore di ebrei, rom, sinti ed omosessuali ci avevano pensato i neofascisti di provincia (sotto altre sigle) la prima volta nel 2007, con una festa sui generis, celebrata il 23 aprile al locale Biergarten, sulla rive del lago di Varese. I partecipanti cantarono inni nazisti, mentre festeggiavano il compleanno di Adolf Hitler. Gli uomini della Digos ripresero l’intera scena con una telecamera nascosta.
Secondo i verbali dell’inchiesta, quella notte furono storpiate alcune canzoni italiane famose con versi osceni. «Le bionde trecce e gli occhi azzurri e poi» diventò «…la stella gialla sui negozi ebrei». Un crescendo di oscenità: «Azzurro» cantata da Celentano divenne una strofa crudele contro Anna Frank: «Cerco nel ghetto tutto l’anno e all’improvviso eccola qua». Mentre l’inno al criminale delle SS Erik Priebke fu cantato con la musica del cartone animato Jeeg robot d’acciaio e divenne «Priebke, cuore di acciaio…». Persino la canzone «Donne» di Zucchero divenne un folle ritornello razzista: «Negri, du du du, in cerca di guai».
Nonostante l’istigazione all’odio razziale e religioso dopo sette anni e mezzo il tribunale di Varese ha dichiarato i ventidue imputati innocenti per estinzione del reato.
ESTREMO NORD
Questa è terra ostile all’antifascismo, dove la sinistra non ha mai governato, un glorioso passato industriale e una fucina di eversione. Il suo zoccolo duro di professionisti e imprenditori fino all’inizio degli anni settanta ha garantito ai neofascisti dell’Msi un buon 10 per cento di voti, il doppio della media nazionale. Roma, Pisa e Varese sono le tre «piazze» su cui aveva puntato il leader erede della Repubblica sociale Giorgio Almirante.
E qui è nata una pletora di sigle neofasciste, censite dallo storico Franco Giannantoni: Partito della ricostruzione nazionale, Costituente nazionale rivoluzionaria, Comitato di emergenza e salute pubblica, Avanguardia nazionale, Squadre d’azione Zamberletti (è il titolare del bar più famoso del centro), Squadre d’azione gaviratesi, Squadre d’azione Ettore Muti. Agiscono come squadracce fasciste, specializzate in agguati e sono foraggiate da certa borghesia locale.
Durante gli anni di piombo, quando erano all’ordine del giorno scontri tra “rossi” e “neri”, la destra aveva un progetto ben preciso, come spiega Giovanni Bandi, laurea in filosofia, insegnante di storia e a quel tempo membro di Lotta Continua:«Volevano fare di Varese la Reggio Calabria del nord, laboratorio della protesta antisistemica e neofascista. C’era una strategia, teste pensanti, manovalanza pronta a eseguire gli ordini».
Dopo quella stagione, l’insana passione per le idee più radicali ha trovato legittimazione nel tifo organizzato delle squadre di pallacanestro e calcio. La curva è diventata il luogo ideale per diffondere idee e intolleranze. Non più caccia ai comunisti, ma odio contro i «terroni», «gli stranieri», «i rom» e «gli ebrei».
Già nel 1979 i tifosi della squadra di basket Mobilgirgi (la ex Ignis del patron Giovanni Borghi) accolsero i cestisti del Maccabi di Tel Aviv con slogan e simboli antisemiti.Una vergogna internazionale. Nel processo che ne seguì, la proprietà non si costituì parte civile, rifiutandosi di chiedere una simbolica lira come risarcimento.
Trent’anni dopo quelle idee continuano a diffondersi come un virus, con nuovi protagonisti come i naziskin di Blood&Honour, i supporter del Varese calcio che nel 2005 tentarono il linciaggio di un ragazzo albanese. Colpevole solo d’essere albanese, come il giovane che uccise a coltellate Claudio Meggiorin, tifoso e simpatizzante delle teste rasate. Per il sindaco, il leghista Aldo Fumagalli, non c’era alcun allarme: «Bravi ragazzi», nonostante una settimana di cortei con croci celtiche e svastiche, saluti fascisti e caccia allo straniero.
Oggi quella sigla si è estinta ma resiste il filo nero, la tradizione di eversione, gli uomini e i simpatizzanti di quelle idee, riassunte in uno slogan efficace: «Difendi il tuo simile, distruggi il resto».
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