Auschwitz, convegno sulla rimozione del memoriale dei deporati. Il ministro della Cultura Franceschini ha definito «non più adatto» per motivi politici il memoriale italiano in Polonia
Il Comitato Gherush92 per i Diritti Umani ha presentato ieri al Senato il documento internazionale per la conservazione del Memoriale italiano ad Aushcwitz per difendere l’opera conservata nel museo dell’ex campo di sterminio in Polonia e per aprire l’ennesimo fronte di difesa della memoria europea dalle istanze di revisione e rovesciamento della storia.
Le crisi segnano un momento centrale della tendenze combinate e conflittuali dei fattori di trasformazione da un lato e delle persistenze e continuità sistemiche dall’altro e la vicenda relativa al «trasloco politico» del memoriale italiano del Blocco 21 di Auschwitz, legato alla presenza al suo interno del simbolo della falce e martello e dell’immagine di Antonio Gramsci, riporta al nucleo della crisi memoriale europea, intesa come conflitto tra dispositivi storici consolidati e nuove esigenze degli Stati.
Il cuore polacco della «revisione»
La Polonia rappresenta in modo multiforme il cuore della crisi memoriale e dunque dello stesso profilo identitario dell’Europa. Dal patto Ribbentrop-Molotov alla costruzione dei campi di sterminio nazista; dalla rivolta del ghetto di Varsavia alla Liberazione ad opera dell’Armata Rossa, che proprio in quelle terre distrusse il reticolato che aveva separato l’umanità dal gorgo nero di Auschwitz.
La rimozione del memoriale italiano, voluto e fatto realizzare negli anni ’80 dall’Aned e peraltro già chiuso al pubblico dal 2011, assume in questo quadro la valenza non solo simbolica ma finanche fisica della cancellazione di una parte centrale della vicenda del secondo conflitto mondiale. E sembra legittimo domandarsi come possa lo Stato italiano, che ogni anno organizza con i «viaggi della Memoria» la visita di centinaia di studenti negli ex campi di concentramento, pensare ad una educazione alla storia basata sulla sistematizzazione istituzionalizzata delle aporie del passato.
Dal 1989 all’inversione del passato
L’iniziativa del governo polacco, improntata ad una riformulazione della storia in una chiave politica interamente schiacciata sulla misura dell’attualità, finisce per proporre un’inversione della funzionalità e della direzionalità dello studio del passato, per cui le vicende mondiali del 1939–1945 vengono lette sul filo delle tensioni internazionali del 2015 lungo il crinale periodizzante della fine della Guerra Fredda del 1989.
Il ministro della Cultura Franceschini ha definito «non più adatto» per motivi politici il memoriale italiano in Polonia, estremizzando il concetto di uso pubblico della storia come se il passato potesse modificarsi per volontà del presente, eludendo il corto circuito fattuale degli eventi e sostituendo la disciplina scientifica con una narrazione mobile e dagli incerti confini.
Il rischio perciò è che in un luogo come Auschwitz, di enorme impatto empatico-emotivo per chiunque lo visiti, la storia venga politicamente concepita e selezionata come «educazione sentimentale» al principio di realtà e che quest’ultimo a sua volta venga trasformato, nel suo divenire, in una «inerzia della realtà» rimodulata e tradotta secondo l’impellenza del presente. È all’interno di questo ardito laboratorio di sperimentazione strumentale che la lettura, la ricerca e l’interpretazione critica di fatti ed eventi del passato cessano di essere punto di intersezione con la contemporaneità per essere sostituiti da una narrazione memoriale per legge che invertendo l’ordine dei fattori cambia il risultato imponendo un prisma del presente a-storico, cioè privo di una storia che ne spieghi l’esistenza e le radici identitarie.
Sconfitta l’identità antifascista europea
A quella che è stata definita la guerra civile europea i popoli del vecchio continente dovrebbero guardare come al fulcro del conflitto valoriale dello scontro ’39-’45 e come nodo storico di identificazione dei processi di riunificazione e riorganizzazione delle società contemporanee. L’antifascismo rappresenta uno dei perni dell’identità europea perché è stato e rimane un campo storico largo, dove si affermò la democrazia di massa, lo stato sociale ed il ripensamento radicale del concetto di patria e unità nazionale. E dove oggi è possibile ritrovare le tracce di una nuova e diversa unità del continente come approdo alla «storia lunga» e in ultima istanza del nostro futuro.
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