No Expo, una critica radicale durata nove anni

Debito, cemento, pre­ca­rietà, noci­vità, mafie, spar­ti­zione, poteri spe­ciali, sono le parole chiave con cui abbiamo pro­vato a sin­te­tiz­zare la let­tura cri­tica di Expo

Stanno aprendo i can­celli di Expo 2015, occorre fare un bilan­cio dei quasi nove anni di «atti­tu­dine No Expo». Sono stati anni gio­iosi e di lotta, di ricerca e cre­scita comune. Certo, non sono stati anni facili, schiac­ciati tra l’unanimismo tra­sver­sale (ai nostri occhi tut­tora ingiu­sti­fi­cato) della gran­cassa media­tica, poli­tica e dei suoi adden­tel­lati sociali, e l’indifferenza dei mila­nesi, quasi con­se­gnati a una sorta di ine­lut­ta­bile destino di una città sacri­fi­cata al grande gioco della ren­dita fon­dia­ria e finan­zia­ria. Milano non è la Val Susa, l’abbiamo detto noi stessi più volte, Expo non è un G8; pro­prio per que­sto abbiamo sin dal 2007 ragio­nato in ter­mini di No Expo non solo come rifiuto dell’evento mene­ghino in sé, ma come neces­sità di avver­sare un modello di gover­nance della metro­poli e dei ter­ri­tori, un modello che si accom­pa­gnava con altret­tanto tos­sici imma­gi­nari e false narrazioni.

Debito, cemento, pre­ca­rietà, noci­vità, mafie, spar­ti­zione, poteri spe­ciali, sono le parole chiave con cui abbiamo pro­vato a sin­te­tiz­zare la let­tura cri­tica di Expo in que­sti anni e che era già pre­sente nel dos­sier che con­se­gnammo al segre­ta­rio gene­rale del Bie Losce­ra­ta­les nel 2008. Un dos­sier che, letto oggi, appare quasi otti­mi­sta. Certo Expo ha cam­biato il suo volto, com­plice anche la crisi eco­no­mica e i ritardi per i litigi inte­stini al blocco di potere che lo pro­pose, ma la scom­messa fatta allora sull’Expo figu­rac­cia mon­diale e gene­ra­tore di noci­vità, beh, quella sen­tiamo di averla vinta. E non è un bene per la col­let­ti­vità che se ne sta accol­lando l’eredità.

Pur rima­nendo una voce in mino­ranza, non ci siamo stan­cati di pro­nun­ciare argo­men­tate parole con­tra­rie ad Expo. Nono­stante i toni trion­fa­li­stici dei governi, nono­stante la re-esistenza di una zona gri­gia che, tut­tora, con­si­dera il modello Expo sba­gliato e nocivo ma scende a patti con esso sul ter­reno del con­fronto dia­let­tico, pen­siamo che abbia senso e sostanza pen­sare che non esi­sta com­pro­messo pos­si­bile con il sistema Expo. Il con­cetto di “den­tro ma con­tro” non è pra­ti­ca­bile, anzi va a legit­ti­mare l’evento stesso e tutto il modello che ad esso si asso­cia. Non solo per il suo impatto deva­stante in ter­mini di con­sumo di suolo o per i costi che gra­vano sulle finanze pub­blica. La tos­si­cità di que­sto modello sta anche nel suo essere gene­ra­tore di cor­ru­zione cul­tu­rale, sociale, poli­tica, ideo­lo­gica: il cibo diventa food, merce o fetic­cio, nella reto­rica di Eataly o del trash food tar­gato McDonald’s o Nestlè, fino agli Ogm, dimen­ti­cando che il pia­neta si nutre da solo e non ha biso­gno di guru o master­chef; il lavoro gra­tuito per un evento costato 10 miliardi di euro (con­tando anche le infra­strut­ture, in parte non ancora finite, spesso inu­tili, che Expo ha messo in moto, Tem, Bre­bemi, Pede­mon­tana su tutte) diventa volon­ta­riato; le scuole da luo­ghi di sapere e for­ma­zione diven­tano cen­tri di reclu­ta­mento di pre­cari, sta­gi­sti, volon­tari o visi­ta­tori mobi­li­tati; la città smette di essere un luogo pen­sato per i suoi abi­tanti e diventa un non-luogo votato ad attrarre fan­to­ma­tici turi­sti o più pro­ba­bili fondi immo­bi­liari speculativi.

Non solo. Expo 2015 non inventa nulla. Grandi eventi, grandi opere e gestione dei disa­stri oggi hanno un ruolo cen­trale nella gestione e crea­zione di gover­nance ter­ri­to­riali. Expo, come teme­vamo, è diven­tato modello e acce­le­ra­tore di pro­cessi tra­sfor­ma­tivi a livello sociale: nel Job­s Act viene espor­tato quanto pre­vi­sto con gli accordi siglati nel 2013 con Cgil-Cisl-Uil-Ugl. Anche il recente Sbloc­caI­ta­lia non sarebbe spie­ga­bile senza le for­za­ture alle maglie del diritto ope­rate per gli appalti Expo. Che Expo non sia un solo un evento ma una vera e pro­pria idea e para­digma non lo diciamo noi, ma pro­prio Mat­teo Renzi, come ha fatto durante la sua ultima visita ai can­tieri per moti­vare gli ope­rai al lavoro. Expo por­terà ben pochi bene­fici e ancor meno soldi. Sicu­ra­mente meno di quanti ne avrebbe gene­rati inve­stire i soldi spesi per l’inutile megae­vento nel recu­pero al dis­se­sto idro­geo­lo­gico, al degrado e all’incuria di quel patri­mo­nio di cui sopra.
Expo non era irre­ver­si­bile. Era pos­si­bile uscirne fino a fine 2012, prima che par­tis­sero gli appalti più grossi, si poteva fare pagando una penale meno costosa di quanto è stato sper­pe­rato in opere inu­tile, tipo la Bre­bemi. Sarebbe bastato più corag­gio poli­tico da parte della giunta Pisa­pia, che pre­ferì, anzi, rati­fi­care l’Accordo di Pro­gramma della giunta Moratti, le cui con­se­guenze (l’acquisto dell’area espo­sitva per una cifra di 320 mln di euro da parte di AreExpo) por­tano oggi ad avere una nuova matrice di poten­ziale debito sulle casse di Comune di Milano e Regione Lom­bar­dia, qua­lora anche la pros­sima gara per defi­nire le sorti del sito espo­si­tivo dal 2016 dovesse andare deserta come la prima del dicem­bre scorso. La giunta aran­cione, che nella caval­cata elet­to­rale aveva sem­pre par­lato di «discon­ti­nuità» una volta al potere, invece ha dato con­ti­nuità imba­raz­zante alla pro­get­tua­lità legata al grande evento. Non abbiamo impe­dito che Expo si rea­liz­zasse, ma abbiamo dimo­strato con la lotta NoCa­nal con­tro la via d’acqua, bloc­cando i can­tieri prima e facendo sal­tare la rea­liz­za­zione dell’opera poi, che Expo si poteva scon­fig­gere e met­tere a nudo nelle sue con­trad­di­zioni e bugie. Abbiamo messo in dif­fi­coltà la sua mac­china comu­ni­ca­tiva e orga­niz­za­tiva boi­cot­tando il reclu­ta­mento di volon­tari con la cam­pa­gna “IoNon­La­vo­ro­Gra­ti­sPe­rExpo” e a par­tire da que­sta abbiamo costruito il per­corso dello scio­pero sociale, che ci ha por­tato il 12 dicem­bre a bloc­care il can­tiere di Expo. Abbiamo con­tra­stato nella metro regione mila­nese le dina­mi­che di Expo nelle varie forme in cui si pre­sen­ta­vano (mate­riali o cul­tu­rali), creando le con­di­zioni per lo svi­luppo di una rete che ha por­tato a con­te­stare eventi tar­gati Expo in decine di città. Abbiamo tes­suto rela­zioni e dis­se­mi­nato sapere cri­tico e atti­tu­dine NoExpo in decine e decine di incon­tri per costruire un grande car­tello di lotte e bloc­chi sociali che a par­tire del Primo Mag­gio, e nei sei mesi, sap­pia pro­durre e rap­pre­sen­tare oriz­zonti, per­corsi, alter­na­tive, pro­get­tua­lità e saperi che vivono oltre e senza Expo, grandi opere o modelli di gover­nance ter­ri­to­riale calati dall’alto.
Que­sta la strada trac­ciata in que­sti anni. Da qui par­tiamo per i pros­simi sei mesi, certi che solo pra­ti­cando la nostra atti­tu­dine e con­ta­mi­nando con essa il più pos­si­bile per­sone e ter­ri­tori sarà pos­si­bile dal 1 novem­bre 2015 ripar­tire e andare oltre Expo. Per il diritto alla città e alla sovra­nità sociale e ali­men­tare dei territori.

* Rete Atti­tu­dine NoExpo

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