Mille uccisi in un anno così i poliziotti fanno strage nelle strade d’America “Sparano solo su noi neri”

ferguson

Insufficiente e frammentaria la contabilità ufficiale delle vittime degli agenti. Sul Washington Post le statistiche del 2015

NEW YORK. Su una strada di Chicago, a ottobre, un poliziotto bianco crivellò con sedici pallottole un afroamericano di 17 anni, Laquan McDonald, che cercava di scappare. La morte del ragazzo provocò manifestazioni di protesta e richieste di dimissioni per il sindaco Rahm Emanuel, ex-braccio destro di Barack Obama alla Casa Bianca. Poi l’altro ieri, sempre a Chicago, un agente ha sparato otto colpi e ucciso non solo un universitario di 19 anni che aveva qualche problema psichico ma anche – “per sbaglio” – una mamma di cinque figli: «È stato un episodio fatale e tragico », ha ammesso la polizia, facendo le condoglianze alla famiglia della donna, che aveva 55 anni ed era anche lei nera come l’altra vittima.
Chicago è da tempo al centro di tensioni razziali e di polemiche sulle violenze da parte delle forze dell’ordine, che hanno già portato al licenziamento del capo della polizia e all’apertura di una inchiesta federale per violazione dei diritti civili. Ma il fenomeno è tutt’altro che circoscritto alla terza metropoli americana. Uno studio appena pubblicato dal Washington Post dimostra che nel corso del 2015 i poliziotti americani hanno ucciso con il piombo quasi mille civili in tutto il paese. Secondo un’altra ricerca condotta dal progetto “Mapping Police Violence”
il conteggio delle vittime della polizia fino al 15 dicembre arriverebbe a 1152.
Sono cifre da brivido e confermano che, al di là della follia americana della vendita di armi a go-go, e al di là di tanti, irrisolti nodi razziali, permane una cultura da Far West che si traduce spesso in una “licenza di uccidere”. Un risvolto inquietante è proprio l’assenza di statistiche ufficiali a livello nazionale sulle sparatorie della polizia. In teoria dovrebbe essere l’Fbi a raccogliere i dati, ma per via del sistema decentrato dell’ordine pubblico, per cui esistono 18mila dipartimenti di polizia semi-autonomi, il “bureau” di Washington è riuscito a registrare soltanto la metà dei morti. «È un fatto chiaramente inaccettabile», dice il direttore del Fbi, James Comey, promettendo per il 2017 una data-base pubblico e veritiero.
Dietro alla svolta del Fbi, c’è la maggiore sensibilità (e rabbia) dell’opinione pubblica. Forse una volta gli episodi di violenza della polizia venivano archiviati più rapidamente, grazie anche a giudici compiacenti, ma ora l’onnipresenza delle videocamere, spesso anche indossate dai singoli agenti in servizio, producono immagini che si diffondono in modo virale sul web, accentuando la rabbia razziale e influenzando la politica nazionale.
Il Washington Post ha cominciato a raccogliere le sue statistiche dopo la morte nell’agosto 2014 di Michael Brown, il giovane nero ucciso da un poliziotto bianco a Ferguson, Missouri: un caso celebre che fece scattare violenze di piazza e accuse politiche a ogni livello. E il quotidiano della capitale, che ora appartiene al fondatore di Amazon, Jeff Bezos, ha pubblicato proprio ieri il primo rapporto per il 2015 mostrando che – a quota 1000 morti – è sicuramente una emergenza nazionale.
Secondo il giornale, mentre gli uomini afro-americani sono il 6% del totale della popolazione americana, rappresentano il 40% delle vittime disarmate uccise dalla polizia. Sempre secondo il quotidiano, la grande maggioranza delle uccisioni da parte della polizia ricade in tre categorie: le vittime avevano in mano una pistola; cercavano di fuggire e venivano rincorse dagli agenti; o erano mentalmente instabili. Proprio come è successo con Quintonio LeGrier, il ragazzo ucciso l’altro ieri e non ancora inserito nel macabro pallottoliere del Washington Post.

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