Destre estreme a Ostia, dove Casa Pound sogna l’Alba Dorata

Ostia. Se il confine tra politica e malaffare è spesso molto sottile, qui a volte è scomparso del tutto, con il municipio sciolto per mafia

Estrema destra. Si è insediata pian piano da queste parti, dando corpo a quell’idea di «sindacato del popolo» che prende forma nella distribuzione di generi alimentari alle famiglie italiane ma anche nella continua denuncia delle malefatte di immigrati e rom

Chissà cosa avrebbe detto Pasolini. Lui che nel 1962, per rispondere a due lettori di Vie Nuove preoccupati della diffusione dell’estrema destra, scriveva «non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società». Chissà cosa avrebbe detto camminando oggi per le strade di Ostia, emblema non tanto dell’affermazione elettorale di Casa Pound – a vincere davvero nel municipio del litorale romano è stata l’astensione – quanto piuttosto della sua piena «normalizzazione».

Per una sorta di tragica ironia, proprio la strada da cui i fascisti del terzo millennio hanno dato l’assalto alla città-quartiere, via Pucci Boncampi, dove hanno aperto prima un pub e quindi una sede, si trasforma dopo qualche isolato in via dell’Idroscalo. E dai locali in cui si elogia «il buono del fascismo» conduce al monumento che ricorda l’assassinio del poeta, il 2 novembre del 1975, che lo scorso anno fu danneggiato da un’azione rivendicata da altri fascisti, quelli di Militia.

L’Idroscalo è un punto di arrivo, all’estremità nord di un lungomare che da allora si è riempito di stabilimenti, ristoranti, locali. Neanche il porto turistico c’era ancora, a quell’epoca. Yacht e scafi da crociera ancorati e poche centinaia di metri dalla striscia rossiccia e ininterrotta delle case popolari dell’Ater costruite in mezzo alla campagna e dai palazzi di Nuova Ostia, quelli stretti intorno a piazza Gasparri, vuota, si direbbe quasi abbandonata, con i giardinetti malconci che montano la guardia al degrado. Lungo l’arco di un paio di chilometri qui Ostia si è rifatta il trucco e la movida un tempo vincolata alla riviera sud di quello che nel 1940 fu inaugurato come Pontile del Littorio, si è spalmata a pochi passi dalla battigia. All’interno però, poco o nulla è cambiato. Decine di migliaia di persone strette in un quadrilatero d’asfalto che corre parallelo al mare, quasi una città nella città, il cuore popolare del Lido.

«Noi, periferia di nessuno», ha scritto sui suoi depliant un candidato indipendente. E in effetti più che le periferie urbane della Tuscolana o della Casilina, questa parte di Ostia potrebbe far pensare a certi quartieri di Bari o di Pescara, forse di Napoli. Il «mare d’inverno» della canzone, quello dove «non viene mai nessuno a trascinarmi via».

Se il confine tra politica e malaffare è spesso molto sottile, qui a volte è scomparso del tutto, con il municipio sciolto per mafia, l’ex presidente Pd condannato in primo grado, e due clan, i Fasciani e gli Spada che stando alle cronache giudiziarie, hanno cercato di spartirsi i soldi facili arrivati con la gentrificazione. E proprio un membro della famiglia Spada alla vigilia del voto ha postato su facebook quello che aveva tutta l’aria di essere un messaggio di sostegno a Casa Pound.

Tra abbandono e crisi dei partiti tradizionali, qualcosa è però cambiato anche da queste parti. Lo si capisce subito percorrendo a ritroso le vie del quartiere dal centro verso l’Idroscalo. I «faccioni» di Luca Marsella, il candidato di Casa Pound a presidente del municipio, e di Carlotta Chiaraluce, capolista di Cpi, incartano letteralmente i muri del mercato popolare di via Orazio dello Sbirro. Lungo le strade del quartiere ci sono solo loro e lo sguardo di Pietro Malara, «nelle forze dell’ordine da oltre 20 anni» e candidato di Fratelli d’Italia che occhieggia con i suoi flyer da quasi tutte le cassette della posta.

Il comitato elettorale di Monica Picca, insegnante di Fiumicino e candidata-presidente per il partito di Giorgia Meloni, è lì a due passi, non lontano da un altro mercato dove gli ambulanti bengalesi vendono i cd dei neomelodici napoletani che spopolano anche qui. Picca andrà al ballottaggio con la candidata del M5S, ed è probabile che allora i voti raccolti da Marsella peseranno ancora di più. Del resto i punti di contatto tra «il centro-destra» e «l’estrema destra» non mancano. «Senza mafia, nomadi, immigrazione selvaggia e degrado», annuncia il programma di Picca, che promette di «fare altrove i centri d’accoglienza». «Penseremo prima agli italiani», «impediremo i mercatini rom abusivi e rimuoveremo ogni insediamento di stranieri», replica quello di Marsella.

Pressoché nel vuoto, Casa Pound si è insediata pian piano da queste parti, dando corpo a quell’idea di «sindacato del popolo» che prende forma nella distribuzione di generi alimentari alle famiglie italiane ma anche nella continua denuncia delle malefatte di immigrati e rom. Di questo modello, che si ispira esplicitamente ai greci di Alba Dorata, la chiusura della campagna elettorale ha però mostrato anche l’altro volto, quello che accompagna il «sociale».

In una piazza del Villaggio San Giorgio di Acilia, un agglomerato di case popolari sorto nel 1948 per accogliere gli esuli giuliano-dalmati e che nel frattempo è stato riacciuffato dalla città con una serie di casette a schiera costruite tutto intorno, dove al tramonto piccoli cani abbaiano nervosi dietro grandi cancelli, accanto ai candidati del X municipio c’era anche il «vicepresidente nazionale di Casa Pound» Simone Di Stefano. Dopo aver ammonito quelli che dipingono gli appartenenti al movimento come dei «mostri», Di Stefano ha lamentato la presunta disinformazione operata dalla stampa spiegando come «oggi sul Fatto c’è uno che racconta che quelli di Casa Pound gli menano ogni giorno… eppure è ancora vivo». Il tutto prima di annunciare come dopo Ostia Cpi guardi al parlamento. Per fare cosa? Più o meno questo: «Avere 10/15 eletti pronti a prendere per la cravatta i traditori della patria e cacciarli via a pedate».

Quando nel 2012 i deputati di Alba Dorata entrarono per la prima volta nel parlamento di Atene lo fecero marciando in formazione militare e ammonendo i presenti: «State attenti, stiamo arrivando. I traditori della patria devono cominciare ad aver paura».

A Ostia, come in tanti altri territori della crisi, il vecchio fascismo si veste del «prima gli italiani» per tentare di trasformarsi in senso comune. Forse Pasolini ci aveva visto giusto.

FONTE: Guido Caldiron, IL MANIFESTO

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