Il luglio ’60 e i giovani di Como

Guardando le immagini della manifestazione di Como vengono in mente lontane parole di Carlo Levi: « Uomini nuovi, giovani nuovi ripensano nuovi pensieri che sono i nostri»

Vengono in mente lontane parole di Carlo Levi guardando alcune immagini della manifestazione di Como, con quei volti di ragazzi: « Uomini nuovi, giovani nuovi ripensano nuovi pensieri che sono i nostri » . Sono parole del luglio del 1960 e naturalmente non vi è un rapporto immediato con l’oggi: Levi commentava così l’appassionata e inaspettata partecipazione di migliaia di giovani alle manifestazioni antifasciste contro il congresso nazionale del Movimento sociale italiano. Un partito che si richiamava anche nel nome alla Repubblica sociale italiana del 1943- 45 e dava allora un sostegno determinante al governo guidato da Fernando Tambroni, intriso di tentazioni autoritarie. Quel congresso si sarebbe dovuto tenere a Genova, medaglia d’oro della Resistenza, e in quella città la mobilitazione iniziò con un vibrante comizio di Sandro Pertini: l’antifascismo scese in piazza compatto ma fu quella inaspettata partecipazione a segnare quelle giornate in tutta Italia. Chi sono — si chiedeva ancora Levi — quei giovani che « in questi giorni hanno cambiato, inattesi, le vicende, messo in moto una realtà che sembrava stagnante, corrotta, senza uscite né speranze? » . C’era davvero di che stupirsi, e per capirlo basta dare uno sguardo alle fotografie delle manifestazioni: in molte di esse, affollate da operai, ex partigiani, militanti comunisti e socialisti, risaltavano con forza anche le “magliette a strisce” allora di moda fra i giovani. I giovani di un’Italia che cambiava, l’Italia del “miracolo economico”.

Fu detto un no alto e forte al neofascismo, in quelle giornate, e dovette dimettersi il governo che aveva sfidato le manifestazioni e insanguinato le piazze ( dieci furono le vittime). Quei giovani poco sapevano del regime mussoliniano — i programmi scolastici si fermavano alla prima guerra mondiale — ma nei mesi successivi iniziarono ad affollare i corsi di storia sul ventennio e sulla Resistenza che si tennero nelle principali città italiane, animati da moltissimi storici e testimoni ( e quelle lezioni confluirono in libri a lungo preziosi).

Ovviamente, come s’è detto, non è possibile nessun paragone con l’oggi ma non va dimenticato che quei giovani erano inizialmente apparsi alla sinistra del tempo tanto incomprensibili quanto le appaiano ora. Altrettanto sconosciuti e inconoscibili, cresciuti con altre culture e immagini: sempre più « nutriti sulle strisce dei fumetti, imbottiti di comunicazioni visive a scapito della pagina stampata», per dirla con Umberto Eco. E fu appunto Eco a farci capire che quelle culture non erano necessariamente strumento di “integrazione”, come si diceva, nel sistema dominante.

“ Perché così giovani”, titolava allora l’Espresso, e si chiedeva «come mai la gioventù è oggi pronta a scendere in piazza». Sono insorti anche contro le miserie dei nostri giorni, osservava, contro «la voracità e l’inefficienza della classe dirigente», e non era molto diversa l’analisi di una stimolante rivista di allora, Passato e Presente (animata da Antonio Giolitti, Luciano Cafagna, Alberto Caracciolo, Claudio Pavone e altri): «Si sono battuti soprattutto per la libertà» ma «più per una libertà da conquistare che da difendere ».

Sta qui la chiave centrale, e così è stato in tutte le occasioni in cui i giovani hanno “riscoperto” l’antifascismo rinnovandone i contenuti e le ragioni. E proprio il luglio del 1960 ci fa capire meglio le drammatiche difficoltà dell’oggi: la difficoltà a “ricostruire conoscenza” evocata su queste pagine da Umberto Gentiloni ma anche la difficoltà o l’assoluta incapacità della sinistra di ridisegnare un futuro possibile. Di proporre quella “libertà da conquistare” e quella “ società da costruire” che furono sempre, sin dal 1943-45, il cemento più solido dell’antifascismo. Se a questo si pensa ci appaiono ancor più gravi e irresponsabili l’afasia e l’incapacità di progettare il futuro di quel che resta della sinistra, il suo essersi profondamente deformata. Il suo aver smarrito la propria vera ragione d’essere.

Nel luglio del 1960 un giovane che aveva partecipato alla manifestazione romana di Porta San Paolo, duramente attaccata dalle jeep della polizia e dai carabinieri a cavallo, rispondeva così a un giornalista comunista che gliene chiedeva le ragioni: « Sono antifascista perché sono moderno » . Ci rifletta almeno per un attimo la sinistra vecchia o precocemente invecchiata, arcaica e rancorosa dell’oggi: le sorti in gioco non sono solo le sue.

 

Fonte: Guido Crainz, LA REPUBBLICA

Guido Crainz ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Teramo. Il suo ultimo libro è “Storia della Repubblica. L’Italia dalla Liberazione ad oggi” (Donzelli Editore, 2016)

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