Il racconto del 68 nel manifesto

l’unicità di quella fase storica travolgente ci consente di non sentirci reduci ma appunto figli di quelle radici, un privilegio che ci appartiene e difendiamo

Già da tempo, e così sarà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, riviste, quotidiani, trasmissioni televisive si tuffano nel passato, come sempre succede negli anniversari importanti.

Per ricordare, criticare, rivivere, ristudiare l’anno più importante della nostra storia, dopo quelli della Resistenza: il 1968. E importante il ’68 del Novecento lo è stato per una parte dei paesi capitalisti (come nel maggio francese) e socialisti (con la rivolta di Praga).

Non faremo mancare la nostra voce, non possiamo né vogliamo, gli anniversari in fondo sono un’occasione per ridiscutere, riattraversare la politica, la storia, e una gran parte della nostra vita.

Perché anche le biografie, oltre al dibattito storico-politico, sono significative dei cambiamenti e delle rotture.

In un certo senso lo sentiamo come un nostro anniversario, il Manifesto è «figlio» di quell’epoca, di quel periodo particolare, irripetibile. E proprio l’unicità di quella fase storica travolgente ci consente di non sentirci reduci ma appunto figli di quelle radici, un privilegio che ci appartiene e difendiamo.

È per questa ragione che per prima cosa apriamo il nostro archivio, scrigno prezioso di testi e di foto di quell’anno spartiacque su molte questioni teoriche e culturali.

Dopo mezzo secolo è maturo il tempo storico, per una riflessione su una fase del dopoguerra che ne incrinava gli equilibri internazionali, in un lungo processo che coinvolse tutto il mondo, al di qua e al di la del Muro, all’Est come all’Ovest. Come l’89 si incaricherà di dimostrare.

Proponiamo alle nostre lettrici, ai lettori quanto di meglio abbiamo realizzato come Manifesto nel corso degli anniversari del ’68, e quello che produrremo strada facendo.

I dodici supplementi (uno al mese, ogni primo mercoledì, per tutto l’anno in corso) che ristampiamo, in un nuovo formato (per la prima uscita diamo i primi due, in edicola dal 7 febbraio), risalgono al 1988, cioè alla fine del primo ventennio, e portano le firme di alcuni fondatori della rivista e di compagne e compagni, di collaboratori e collaboratrici del nostro quotidiano.

Qualcuno dei firmatari oggi non c’è più e ripubblicarne i racconti, gli approfondimenti e i commenti, rappresenta anche un riconoscimento a loro, per il solido e appassionato apporto che hanno dato alla storia del quotidiano, e non solo.

Le analisi, le ricostruzioni, i punti di vista, le storie personali sono di grande attualità, aiutano a comprendere i fatti e i cambiamenti, si confermano utili a interpretare il presente.

Scriveva ad esempio Rossana Rossanda: «La novità più sconcertante del 1968, rispetto alla tradizione delle lotte operaie, è lo studente. Lo studente come soggetto politico d’una totale rimessa in causa del sistema “democratico”».

E dentro quell’ascensore sociale erano scintille che accendevano speranze, sconvolgevano biografie, terremotavano militanze politiche. Nelle assemblee, nei partiti, nelle famiglie, nei rapporti personali, nelle scelte di vita.

Che cosa abbia seminato questo «soggetto politico», il suo radicamento profondo (minoritario solo nei numeri), lo abbiamo visto in seguito, con la nascita delle organizzazioni di sinistra – «estrema» come allora si diceva – oppure con il movimento del ’77, solo per citare alcune fasi significative della contestazione studentesca. Naturalmente la critica che colpiva al cuore dell’istituzione accademica era anche una rivolta contro il sistema sociale ed economico, ed è per questo che quel movimento traeva subito un terreno di lotta comune con i giovani operai della fabbrica. All’ordine del giorno c’era la liberazione dell’uomo (meno delle donne).

Cosa sia rimasto di allora è il ragionamento successivo.

Perché poi, alla fine di ogni riflessione, la domanda è sempre le stessa: cosa hanno prodotto le proteste italiane, il ce n’est qu’ùn debut, le rivolte negli atenei americani, il maoismo, l’egualitarismo, il protagonismo operaio, il desiderio di libertà, la democrazia di base, le battaglie per un mondo più giusto e anti capitalista?

Le risposte le troverete, in larga parte, nei supplementi «vecchi» e nuovi. Che dovrebbero essere letti, assimilati, discussi, criticati, e poi passati – ci auguriamo – nelle mani dei più giovani, dei nostri figli, dei nostri nipoti. Ai quali va sempre ricordato che il futuro migliore si costruisce quando non si perde memoria del passato.

Così è stata per noi la Resistenza. Così dovrebbe essere il ’68 per le ragazze e i ragazzi di oggi.
Buon anniversario.

FONTE: Norma Rangeri, IL MANIFESTO

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