Ciro Principessa, una storia proletaria 

NARRAZIONI. «Morire per un libro», di Giulio Marcon edito da Stampa Alternativa

«Nel 1958 il ministro degli interni Ferdinando Tambroni definiva gli abitanti delle periferie romane ‘malfattori, una massa di pregiudicati, ladri violenti, sfruttatori di donne’. La maggior parte degli abitanti delle baraccopoli veniva dai paesi intorno a Roma e dal resto del Lazio, dalla Calabria, dalla Puglia, dall’Abruzzo, dalla Campania, e faceva i lavori più vari, si arrangiava per tirare avanti. Nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia si scriveva che a Roma le condizioni di vita sono misere; si legge a proposito di Pietralata e Villa Gordiani: ‘Manca un mercato… manca una farmacia e un ufficio postale, come pure una macelleria’».

È QUESTA LA SCENA dell’ultimo libro di Giulio Marcon, Morire per un libro. Ciro Principessa, una storia proletaria (Stampa Alternativa, pp. 165, euro 13), la vicenda di un ragazzo che cresce tra le baracche del Mandrione e le case della Certosa, lungo la via Casilina, passa per la Casa del Fanciullo, povertà, piccoli furti, trova lavori, amici, un radicamento di quartiere, diventa militante della Fgci – i giovani comunisti – e viene ucciso con una coltellata da un fascista davanti alla sezione di partito il 19 aprile 1979.
Quel giorno l’assassino entra nella sezione del Pci di via di Tor Pignattara, dov’era in funzione una piccola biblioteca popolare, si fa dare un volume, poi esce scappando col libro, viene inseguito dai compagni, Ciro Principessa è il primo a raggiungerlo, viene colpito con un coltello da cucina; morirà il giorno dopo. Morire per un libro, appunto.

LA VITA E LA MORTE di Ciro Principessa sono una «microstoria» che illumina la «grande storia» degli anni settanta: le trasformazioni sociali e metropolitane, l’importanza della politica nella vita delle persone e delle classi popolari, l’intervento pubblico come strumento di emancipazione e uscita dalla marginalità, i conflitti con i governi democristiani e i fascisti. Giulio Marcon, che ha vissuto direttamente quell’episodio e quegli anni – militanza nella Fgci compresa – scrive una storia esemplare ed emozionante, con le testimonianze di parenti e compagni di Ciro Principessa, l’intreccio di vicende individuali e collettive, un ritratto della Roma di allora. Il libro unisce la lucidità di uno sguardo storico, l’affetto dei ricordi di chi l’ha conosciuto, la partecipazione alle vicende sociali, la prima persona quando le strade si incrociano. Inevitabilmente, si narra una storia che potrebbe ricordare Una vita violenta di Pasolini.

A distanza di quarant’anni la «storia proletaria» di Ciro Principessa offre a chi non li ha vissuti una sintesi magistrale di che cosa sono stati gli anni settanta: la forza delle identità collettive e delle relazioni tra giovani, i cambiamenti sociali e culturali – l’unica vacanza a Rimini e la «febbre del sabato sera» – la possibilità concreta di migliorare le cose. È un decennio in cui la politica – con le lotte di studenti e operai, movimenti e conflitti – ha un ruolo centrale. Il risultato è che l’Italia ha ridotto le disuguaglianze come mai nella sua storia, ha vissuto una grande democratizzazione e uno spostamento a sinistra. Allora la militanza e i partiti – come scrive Marcon – «avvicinarono alla democrazia e alla politica milioni di cittadini, permisero a chi non aveva studiato, a chi era emarginato, a chi viveva nelle baraccopoli, di sentirsi parte di una democrazia che si voleva trasformare e di cambiare il corso della propria esistenza».

MORIRE PER UN LIBRO è un testo che ha molto da dire anche per capire il presente. I risultati del voto europeo nelle città italiane, e a Roma in particolare, hanno mostrato la concentrazione del voto democratico nel centro e la marea del voto alla Lega nelle periferie. Oggi anche il quartiere di Ciro Principessa ha votato Lega.
È un fenomeno diffuso un po’ ovunque: il voto «progressista» si concentra tra i più ricchi e istruiti e che vivono soprattutto nei quartieri «bene» delle grandi città e che hanno avuto maggiori benefici dalle politiche di questi decenni. Il voto a destra – oltre che in una parte dell’élite – dilaga invece tra i più poveri, i meno istruiti, coloro che hanno pagato di più gli effetti della crisi e vivono in condizioni di maggior disagio nelle periferie urbane. Oggi, che anche il quartiere di Ciro Principessa ha votato Lega, le solidarietà di un tempo si sono smarrite, in una delle zone di Roma con la più alta presenza di migranti.
Ma ogni anno la Certosa ricorda l’anniversario con una festa in piazza che attira centinaia di persone da tutta la città: è ancora uno spazio per la politica, una pratica della democrazia, proprio come negli anni settanta. Un punto da cui ripartire.

* Fonte: Mario Pianta, IL MANIFESTO

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