40 Anni Dopo. Generazioni Valerio Verbano

Il 22 febbraio a Roma migliaia di persone di età diverse sono scese in piazza rivendicando i valori del militante antifascista, ucciso 40 anni fa. Un modello oggi praticato nella sua periferia

Sabato 22 febbraio a Roma è successo un evento piuttosto eccezionale per chi in genere derubrica la partecipazione di piazza come civismo o come desiderio di politica. Per il quarantennale della morte di Valerio Verbano nelle strade di Montesacro c’è stato un corteo da via Monte Bianco e un concerto a piazza Sempione andato avanti fino a notte. Di fatto: nove ore di mobilitazione, che ha messo insieme istituzioni, movimenti, spazi sociali, abitanti del municipio e di tutta Roma – 6mila persone (per il corteo) e 5mila (per il concerto) –, preceduta da più di cinquanta iniziative in città su Verbano tra gennaio e febbraio.

SIAMO ABITUATI AI FLASHMOB, ai presìdi sull’emergenza che durano qualche ora, alle piazze senza bandiere e senza canti, alle dichiarazioni impettite di chi vuole le piazze meno connotate possibile. E invece.
Daniele Conti, 18 anni, rappresentante del liceo Archimede, lo stesso di Verbano, nel coordinamento «fieramente antifascista» delle scuole superiori del terzo municipio (rinato dopo più di un decennio), a metà concerto è intervenuto per dire: «Voglio chiamarvi compagni e compagne. Nonostante sia una parola abbandonata e sottovalutata dalla sinistra, dall’antifascismo istituzionale, non c’è parola più bella, perché vuol dire essere uniti nella lotta». Poi ha aggiunto una frase solo in apparenza sorprendente: «Valerio Verbano è il manifesto politico di una generazione». Ha solo 18 anni ma ha ragione: questo manifesto ha un’evidente potenza, che va squadernata.

VALERIO VERBANO NON È più solo il ragazzo antifascista, il militante di Autonomia operaia, massacrato davanti ai genitori inermi da un commando squadrista il 22 febbraio del 1980; è ancor meno riducibile a un martire della mattanza politica degli anni settanta e primi ottanta. Attraverso sia la memoria di Carla, la madre, e Sardo, il padre, sia della comunità che allora gli era intorno, è diventato prima l’ispirazione e oggi il modello di un insieme di pratiche che sono la politica sul territorio del terzo municipio, compresa la giunta municipale, che era in prima fila al corteo e ha deciso di dedicare a Carla Verbano la casa dei diritti e delle differenze. I simboli sono stati risignificati, e illuminano diversamente anche quella memoria.

LA PALESTRA POPOLARE Valerio Verbano non ha soltanto un bel graffito di Valerio all’interno, non è solo un dopolavoro per militanti, ma un luogo di educazione a un agonismo differente. La scuola popolare Carla Verbano è un progetto dello spazio occupato Puzzle contro l’abbandono scolastico. Sono due pezzi di welfare, non solo sussidiario ma esemplare.

QUESTO È POSSIBILE PERCHÉ alla militanza si è cominciato a dare negli ultimi anni una postura diversa. È stato possibile nel marzo 2011, quando CasaPound prova a aprire nel terzo municipio una sede occupando la scuola Parini vicino casa di Valerio. Nelle strade di Montesacro, Tufello e Conca D’oro c’è una sommossa di quartiere: militanti e gente comune, comitive dei bar e dei muretti. Carla Verbano scende anche lei per strada. La prefettura tenta prima una soluzione velenosamente bipartisan che prevede lo sgombero dei fascisti e quello del Laboratorio Puzzle, poi caccia CasaPound riconoscendo la comunità tutta.

ED È STATO POSSIBILE, va riconosciuto non solo per gratitudine ma per intelligenza politica, grazie alle donne e alle compagne femministe. Che la memoria di Valerio sia associata indissolubilmente a quella di Carla ha significato che il corteo fosse aperto dal coordinamento delle madri antifasciste. Haidi Giuliani ha ricordato che a Genova ci sono 50 persone sotto processo per aver protestato contro Casapound; Stefania, madre di Renato Biagetti – ucciso dai fascisti a Focene nel 2003 – ha fatto strame delle retoriche tossiche sulla memoria condivisa, ricordando quando l’ex sindaco Veltroni le propose per ricordare il figlio l’intitolazione di strade. Lei rispose che preferiva che chiudesse Foro 753 e Casapound. «Mi disse: non posso, perché voi ne avete tanti, loro solo due. Dalla sua risposta capii il senso dello sdoganamento dei gruppi neofascisti. Rigettiamo la sua equidistanza, la sua memoria condivisa. Nel privato i dolori per i lutti sono ovviamente uguali, ma le idee sono differenti: da una parte si parla di odio e sopraffazione, dall’altra di di accoglienza e di solidarietà».

VALERIO VERBANO È UN manifesto generazionale, per più di una generazione, che ha ripensato l’essere militanti dentro le comunità senza per forza apparire marziani; la radicalità, contro ogni grammatica movimentista, non per forza fa rima con marginalità. Il rischio di fare politica a Roma, soprattutto nelle borgate, sta nel rimanere schiacciati.

DA UNA PARTE VA rivendicata una differenza di atteggiamenti che ci contraddistingue come compagni e compagne: la nostra attitudine socialista alla vita, l’antifascismo come pratica costante, il femminismo come nuovo modello relazionale: una dichiarazione di differenza ti pone fuori dal sentire comune, ma rischia di costruire bellissime oasi in cui rintanarsi coi propri simili. E rimanere puri in un mondo guasto è perdere il senso di quest’impegno. Dall’altra parte la tentazione speculare è pensare che sei tu che devi cambiare, che per avvicinarti devi scendere a compromessi. E allora tutto sommato la battuta sugli zingari ci sta, accetti che dove fai colazione «puttana» sia usato come intercalare, che un po’ di cocaina serve a fare gruppo. Sei entrato, non sei più un marziano. Sei nel mondo, e hai perso ugualmente.

C’è un equilibrio possibile tra queste due attitudini? Sì, ma non facile. Non è facile perché bisogna fare verso le proprie comunità uno sforzo di amore: verso le contraddizioni che le abitano. È uno sforzo faticoso perché la crisi economica, sociale, culturale e una lunga stagione dell’antipolitica ha educato alla frustrazione e rabbia; il razzismo è servito col caffè, l’ignoranza diventa valore.

LA STORIA DEL TUFELLO, di tutto il terzo municipio, si incarna soprattutto nella vita delle persone che sono rimaste vicine al popolo cercando di mantenere intatta la propria la propria vocazione politica originaria. Grazie a queste resistenze nei bar, nei muretti, nei centri antiviolenza, nelle scuole, nelle biblioteche, nei sert, nelle piscine, la comunità militante ha costruito le strutture politiche di base che oggi conosciamo. Queste strutture, spesso abusive e occupate, hanno sempre avuto un’ispirazione: il nostro centro sociale è il quartiere. Tutto. Se nel cortile davanti al centro sociale non hai la stessa agibilità che hai dentro stai sbagliando qualcosa.

QUESTO 22 FEBBRAIO HA semplicemente dato un palco a questo processo quotidiano. Nei numeri, nell’agibilità sul territorio, nella presenza di tantissimi studenti. Quel palco è evidentemente uno spazio politico. Il quarantennale per Valerio Verbano lascia a tutti una responsabilità e un destino. Occorre un lavoro enorme su Roma, per ridefinire dei codici di condotta, per ricostruire un’egemonia culturale fatta di buone e radicali pratiche. Sarà difficile ma sarà anche una gioia.

* Fonte: Christian Raimo, Luca Blasi,  il manifesto

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