La prima volta che Maria ha vissuto un episodio di discriminazione sulla sua pelle era ancora una bambina. «Con i miei genitori giravamo con le carovane, ma dovunque ci fermavamo ci mandavano via. Neanche ai bambini permettevano di mangiare», racconta. Oggi che ha 76 anni e qualche ruga sul viso frutto forse anche dei tanti rospi che è stata costretta a mandare giù, Maria Bertani, sinti da Mirandola, in provincia di Modena, all’idea di non essere considerata una cittadina come tutti gli altri non si è ancora abituata. «Se ho subito discriminazioni?», chiede sorridendo di fronte a una domanda che evidentemente considera ingenua. «Mio marito ha sempre lavorato, ma sempre in nero, a noi contratti non ne fanno. Oggi forse le cose sono cambiate, ma non credo».
Di storie così al corteo che ieri ha attraversato le strade di Bologna se ne potevano sentire a decine. E per quanto assurdo ti viene da pensare che, per quanto odiose, le discriminazioni subite da Maria sembrano poca cosa di fronte agli insulti, le minacce, le intimidazioni divenute ormai il pane quotidiano di rom e sinti. Violenze che le due comunità subiscono in un Paese che — ci tengono a sottolinearlo — è il loro Paese. E proprio per questo forse fanno ancora più male. «C’è il rischio che contro di noi si verifichi un nuovo Olocausto», ripete da giorni Davide Casadio, presidente dell’associazione sinti italiani che ha promosso la manifestazione. Il giorno scelto non è casuale: il 16 maggio del 1944 rom e sinti si ribellarono nel capo di Auschwitz ai nazisti che volevano sterminarli.
Oggi, dicono, si sentono le stesse parole e si vedono gli stessi comportamenti che precedettero in Italia il varo delle leggi razziali. L’elenco è lungo. Si va dal leghista Gianluca Buonanno che insulta in tv l’attrice e attivista rom Dijana Pavlovic — anche lei al corteo — definendola «feccia dell’umanità» alla trasmissione che paga un attore perché si finga un rom e dica che va a rubare al tentativo di impedire ai bambini di un campo alla periferia di Roma di andare a scuola. E Matteo Salvini propone di spianare i campi rom con le ruspe. «C’è dell’odio che gira» sintetizza bene Alessandro Bergonzoni. «Rom e sinti hanno paura perché c’è una situazione di grande degrado interiore della politica. Ricordare l’Olocausto per un giorno non significa niente, dovrebbe essere sempre con noi. Si può istituire un giorno per ricordarsi di respirare? No. Si stima che siano 500 mila i rom e i sinti sterminati nei campi di concentramento, dovrebbe essere normale avere paura che il nazismo prenda piede. Allora noi siamo qui perché il cittadino deve essere allertato».
Prima della manifestazione in via Gobetti viene deposto un mazzo di fiori davanti al ceppo che ricorda due sinti uccisi dalla banda della Uno bianca. In testa al corteo i musicisti suonano l’inno d’Italia, Bella ciao e musiche da chiesa. Ci saranno un migliaia di persone, ma il numero non conta. «Ci sono rappresentanti delle comunità di tutta Italia», spiega Casadio. C’è da crederci, a sentire i vari accenti che dialogano lungo il corteo al quale partecipano anche diversi gagé. Oltre a Bergonzoni c’è Ivano Marescotti. La politica è rappresentata solo da Pd (la deputata Sandra Zampa, i senatori Luigi Manconi e Sergio Lo Giudice). Non c’è Sel. Alcune persone portano cartelli con scritti articoli della Costituzione: diritto allo studio e al lavoro, libertà di circolazione, tutela della salute. Diritti che — spiegano — non sono riconosciuti a rom e sinti. Ci sono poche donne, per paura di contestazioni da parte di Forza Italia e Forza Nuova che hanno organizzato presidi di protesta. Ma si avverte anche una certa sottolineatura di troppo dell’identità sinti rispetto a quella rom: «Siamo due popoli differenti, ma oggi vogliamo dire a tutti che non siamo ladri come veniamo descritti».
Non capita tutti i giorni che rom e sinti decidano di indire una manifestazione nazionale per difendere i propri diritti. L’ultima volta fu nel 2008, quando l’allora ministro degli Interni Maroni propose di prendere le impronte digitali a tutti i «nomadi». Rispetto ad allora, però, le cose oggi sembrano molto peggiori. In Italia, certo, ma anche in Europa i segnali di allarme per una crescente intolleranza verso le minoranze, rom e sinti in testa, non mancano. Solo pochi giorni fa l’ong European network against racism ha denunciato l’aumento dei crimini a sfondo razziale: più di 47 mila nel solo 2013, la maggior parte contro ebrei, neri, musulmani, rom e asiatici. Ma questa sarebbe solo la punta dell’iceberg: molte volte le aggressioni non vengono denunciate. Casi di violenza e abusi contro i rom crescono in quasi tutta l’Ue.
«Attaccare rom e sinti e la cosa più facile, perché non sono organizzati, non hanno uno Stato che li difenda», spiega Dijana Pavlovic, che ha promosso un disegno di legge di iniziativa popolare per il riconoscimento dello stato di minoranza storico-linguistica di rom e sinti. «Certo, ora siamo in campagna elettorale e i razzisti pensano che tutti questi attacchi servano a raccogliere voti. Ma poi le elezioni passano, invece l’odio rimane» dice. Le fa eco Casadio: «Salvini è un razzista, perché il razzismo è sentire gli altri meno importanti. Ma noi abbiamo combattuto per la Resistenza e il Paese. Siamo d’accordo per la chiusura dei campi, ma non con le ruspe. Noi non li abbiamo mai voluti i campi, siamo stati costretti a viverci dalle varie politiche».
Il corteo si chiude a piazza XX Settembre. «Credo di sapere da dove nasce l’odio che si avverte in giro — dice Manconi in rappresentanza del presidente del Senato Pietro Grasso -: dall’oblio, dalla smemoratezza, dalla cattiva memoria di tanti su ciò che siamo stati. Solo chi dimentica ciò che siamo stati può odiare i sinti e i rom. La violazione dei diritti di uno di voi è una violazione del popolo italiano».