Al via la «fabbrica» di Lan­dini

Pomigliano. Assemblea alla Fiat con il leader Fiom e Libera. Prima tappa della coalizione sociale. Il segretario delle tute blu: «Oltre i cancelli per una nuova politica dei diritti e del lavoro. Contro il modello Marchionne-Renzi»

Non la costru­zione di un nuovo par­tito ma di una poli­tica dei diritti e del lavoro all’interno di una coa­li­zione sociale: Mau­ri­zio Lan­dini ieri a Pomi­gliano d’Arco ha messo in fila i fatti che hanno spinto la Fiom a cer­care fuori dalle fab­bri­che, anche oltre gli stru­menti della con­trat­ta­zione, soste­gno e armi per con­tra­stare il dise­gno che uni­sce il governo Renzi e Ser­gio Mar­chionne, Con­fin­du­stria e la Bce.

Si comin­cia dall’hinterland par­te­no­peo, dove ha sede lo sta­bi­li­mento Fiat Chry­sler, per­ché è da qui che nel 2010 è par­tito il modello Mar­chionne: rinun­cia alle pause, ritmi di lavoro ser­ra­tis­simi, azze­ra­mento del con­flitto sin­da­cale fino all’esclusione delle orga­niz­za­zioni dis­sen­zienti, metà della forza lavoro in cassa inte­gra­zione, fuga dal con­tratto nazio­nale col­let­tivo in cam­bio della pro­messa del rien­tro di tutti i lavo­ra­tori sulle linee entro il 2013. A oggi 2mila sono ancora fuori e solo metà di que­sti mette piede in fab­brica sal­tua­ria­mente gra­zie al con­tratto di soli­da­rietà, nes­suna nuova vet­tura da affian­care alla Panda.

Modelli dif­fe­renti di lavoro: la Fiat tiene più tempo sulle linee un gruppo ristretto di ope­rai, spre­muti con turni extra anche gra­zie al governo che detassa gli straor­di­nari; alla Ducati acqui­stata dalla Volk­swa­gen gli ope­rai hanno con­trat­tato una ridu­zione da 40 ore set­ti­ma­nali a 30 in cam­bio di due turni in più, l’accordo ha pro­dotto cento assun­zioni «men­tre da Melfi gli ope­rai Fiat scap­pano per­ché non reg­gono alla catena di mon­tag­gio — spiega Lan­dini -. In Fca ogni quat­tro o cin­que ope­rai c’è un team lea­der che li segue, l’operaio è solo di fronte a chi rap­pre­senta l’azienda. Que­sto modello di fab­brica è quello che il governo vuole repli­care nella società azze­rando i corpi inter­medi. C’è stato un gran tram­bu­sto su quella che ho defi­nito “coa­li­zione sociale” per­ché fa paura, non vogliono che riu­niamo ciò che hanno diviso».

Renzi aveva liqui­dato Lan­dini con un secco «ha perso nel sin­da­cato, si dà alla poli­tica» dopo l’intervista del lea­der Fiom al Fatto quo­ti­diano, men­tre la lea­der Cgil, Susanna Camusso, ieri ha ripe­tuto: «Con Lan­dini non c’è alcuna pole­mica. La Cgil ha un pro­getto di tipo sin­da­cale, non è nostra inten­zione orga­niz­zare for­ma­zioni poli­ti­che o coa­li­zioni sociali o altre moda­lità». Se l’esecutivo approva a colpi di mag­gio­ranza le ricette pre­scritte all’Italia nel 2011 dalla Bce (libe­ra­liz­za­zione dei ser­vizi, abo­li­zione pro­vin­cie, tagli a enti locali e pen­sioni, licen­zia­menti facili, pareg­gio di bilan­cio) «ricette che hanno pro­dotto 25milioni di disoc­cu­pati in Europa, c’è pro­prio biso­gno di fare poli­tica» spiega il lea­der Fiom.

Da Pomi­gliano parte la cam­pa­gna per la crea­zione di un fondo in cui i lavo­ra­tori pos­sono devol­vere la mag­gio­ra­zione dello straor­di­na­rio a favore dei col­le­ghi in dif­fi­coltà eco­no­mica, a gestirlo Libera e don Pep­pino Gam­bar­della, il par­roco che con la Cari­tas sostiene già le fami­glie in dif­fi­coltà. È la prima ini­zia­tiva messa in campo dopo lo scio­pero del 14 feb­braio con­tro i tre sabato di straor­di­na­rio (la Fiom chie­deva un turno in più per far rien­trare più ope­rai a lavoro) a cui ave­vano ade­rito solo in cin­que. Il Comi­tato cas­sin­te­grati e licen­ziati Fiat, con Mimmo Mignano, dà il pro­prio soste­gno alla lotta della Fiom «ma Lan­dini sba­glia a levare dal tavolo l’arma dello scio­pero. E’ un diritto anche quando lo eser­ci­tano in cin­que, non dob­biamo far­celo togliere. Dob­biamo lot­tare per diven­tare maggioranza».

Con­te­stata invece dal comi­tato la Cgil, rap­pre­senta dal segre­ta­rio regio­nale Franco Tavella, inter­ve­nuto per rilan­ciare la mobi­li­ta­zione con­tro la ven­dita di Alsaldo a Hita­chi e la fuga di Fin­mec­ca­nica dalla Cam­pa­nia. In sala anche i lavo­ra­tori Ale­nia della sede di Napoli, in via di dismissione.

Il governo sman­tella lo Sta­tuto dei lavo­ra­tori, con il Job Act mette soldi in tasca agli impren­di­tori lascian­doli liberi di licen­ziare, non dà il red­dito di cit­ta­di­nanza ma anzi tagli gli ammor­tiz­za­tori sociali, non blocca la catena di appalti e subap­palti che fa pro­li­fe­rare gli affari dei clan, allora «va bene tor­nare in piazza ma biso­gna anche tro­vare nuove forme di pro­te­sta — argo­menta Lan­dini — a par­tire dai ter­ri­tori. Dob­biamo scri­vere un nuovo Sta­tuto dei lavo­ra­tori e ricor­rere al refe­ren­dum per abro­gare le leggi sba­gliate». Non è più una que­stione che riguarda le fab­bri­che ma tutti quelli che si oppon­gono alle poli­ti­che di Renzi, che vogliono tute­lare i pro­pri diritti e non si sen­tono rap­pre­sen­tati in par­la­mento. «Biso­gna spez­zare il ricatto con­ti­nuo a cui siamo sot­to­po­sti con il para­vento della crisi – con­clude -, far emer­gere pro­po­ste su salute, lavoro, svi­luppo ognuno con il pro­prio ruolo. Ci sono tanti “feno­meni” poli­tici nuovi, come il super­po­li­tico di Firenze, oppure Grillo, o altri. Io resto a fare il sindacalista».

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