L’arduo percorso delle lotte sociali

Col­let­tivi poli­tici, cen­tri sociali, sin­da­ca­li­smo di base, sono oggi al cen­tro di un vor­tice repres­sivo senza pre­ce­denti, e lo sono in base alla pro­pria debo­lezza, non alla loro forza

Non è sem­plice, oggi, spie­gare cosa com­porti l’assunzione di un impe­gno poli­tico mili­tante in una fase di restrin­gi­mento delle pos­si­bi­lità di par­te­ci­pa­zione, di chiu­sura degli spazi reali di demo­cra­zia e di inte­gra­zione. In que­sto senso, la lotta con­tro l’Alta Velo­cità in val di Susa ha assunto il ruolo di labo­ra­to­rio di spe­ri­men­ta­zione non solo di pre­cise tec­ni­che repres­sive sul ter­ri­to­rio, di fatto mili­ta­riz­zato oltre ogni fisio­lo­gica neces­sità da parte dello Stato, ma anche di un cam­bia­mento di para­digma da parte dell’attività inqui­rente della magi­stra­tura locale.

Tale atti­vità repres­siva si è espli­ci­tata, da una parte, in forme pre­ven­tive di disin­cen­ti­va­zione dell’attività poli­tica, come ad esem­pio la mol­ti­pli­ca­zione delle per­qui­si­zioni, anche vio­lente, attuate sia nei posti di blocco che nelle case dei mili­tanti, con seque­stri discre­zio­nali degli oggetti pri­vati quali por­ta­fo­gli, com­pu­ter, chia­vette usb, vestiti, ecce­tera; dall’altro, dall’aumento spro­por­zio­nato della richie­sta di misure cau­te­lari, indi­vi­duate come vero e pro­prio stru­mento sosti­tu­tivo delle pene deten­tive quasi mai, in sede di sen­tenza, pas­si­bili di appli­ca­zione. Sotto que­sto pro­filo, cioè rispetto alle tec­ni­che uti­liz­zate dalla magi­stra­tura al fine di repri­mere l’attività poli­tica dei mili­tanti, par­ti­co­lare atten­zione in que­sti anni è stata data al paga­mento di multe, ammende e soprat­tutto dei risar­ci­menti pecu­niari a seguito di par­ti­co­lari mobi­li­ta­zioni poli­ti­che. Risar­ci­menti che, sem­pre riguardo al caso della val Susa, ven­gono som­mati alla richie­sta del prov­vi­sio­nale, cioè del paga­mento imme­diato della somma richie­sta prima ancora del ter­mine del nor­male iter giu­di­zia­rio. Col­pire il por­ta­fo­glio sem­bra essere una delle dire­zioni chiave del nuovo corso repres­sivo, volto a bypas­sare il nor­male per­corso dei tre gradi di giu­di­zio per pro­vare a punire comun­que il militante.

Tale para­digma da qual­che tempo cerca di ripro­dursi anche a Roma, in par­ti­co­lare con­cen­tran­dosi sulla lotta sociale prin­ci­pale della città, quella per la casa. Non solo i mili­tanti più in vista inol­tre, ma tutti i par­te­ci­panti a tale lotta ven­gono sot­to­po­sti a un giro di vite inqui­rente mai avve­nuto da que­ste parti, dove la con­sa­pe­vo­lezza di tale emer­genza sociale por­tava a ten­ta­tivi di media­zione poli­tica oggi com­ple­ta­mente sal­tati. La lotta per la casa, e più in gene­rale ogni lotta sociale cit­ta­dina, viene trat­tata uni­ca­mente come pro­blema di ordine pub­blico e di sicu­rezza, e così punita.

Que­stione che si espli­cita nel cam­bia­mento di gestione della piazza, visto ad esem­pio nel ridi­men­sio­na­mento del ruolo della Digos nello sta­bi­lire trat­ta­tive con­tin­genti con i mani­fe­stanti, all’utilizzo di prov­ve­di­menti repres­sivi in genere richie­sti e attuati per reati d’altra natura. In sostanza, quello a cui punta la magi­stra­tura romana e una parte della poli­tica cit­ta­dina è quello di de-politicizzare il carat­tere di tali pro­te­ste rele­gan­dole all’ambito della delin­quenza comune. Para­dig­ma­ti­che, in tale senso, le richie­ste della magi­stra­tura romana cin­que anni dopo gli eventi di piazza del Popolo del 14 dicem­bre 2010, richie­ste spro­por­zio­nate e non legate ad alcun evento spe­ci­fico, nella gior­nata in cui nel Par­la­mento si con­su­mava quella che, a detta di tutti i media libe­rali, costi­tuiva una delle pagine peg­giori della sto­ria repub­bli­cana.
Que­sta la cor­nice entro cui si dovrebbe espli­ci­tare un’attività poli­tica non con­ven­zio­nale, cioè legata a pra­ti­che di auto­ge­stione collettiva.

Col­let­tivi poli­tici, cen­tri sociali, sin­da­ca­li­smo di base, sono oggi al cen­tro di un vor­tice repres­sivo senza pre­ce­denti, e lo sono in base alla pro­pria debo­lezza, non alla loro forza. Un ragio­na­mento, que­sto, che meri­te­rebbe più rifles­sione se non si vogliono dila­pi­dare espe­rienze che hanno con­tri­buito alla tenuta demo­cra­tica di que­sta città e di que­sto paese.

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