Bre­scia. Ultimissimo processo

Si apre oggi a Milano l’appello-bis per la strage di Brescia, 28 maggio 1974. Dopo il rigetto della cassazione, ancora i fascisti di Ordine Nuovo alla sbarra per la strategia della tensione

Si apre oggi al tri­bu­nale di Milano l’appello-bis per la strage (8 morti e quasi un cen­ti­naio di feriti) di piazza della Log­gia del 28 mag­gio 1974 a Bre­scia. Una delle ultime tappe di un iter giu­di­zia­rio lungo, tor­tuoso e com­pli­cato, come nella peg­giore tra­di­zione della sto­ria delle stragi in Ita­lia, da piazza Fon­tana alla sta­zione di Bolo­gna, dal 1969 al 1980. Poi biso­gnerà solo atten­dere il sigillo della cas­sa­zione. Sarà comun­que cer­ta­mente l’ultimo pro­cesso della stra­te­gia della tensione.

Due rico­stru­zioni convergenti

Con l’accusa di con­corso in strage, il 4 otto­bre 2007, la pro­cura di Bre­scia chiese il rin­vio a giu­di­zio di Delfo Zorzi, all’epoca a capo della cel­lula di Ordine nuovo di Mestre, oggi cit­ta­dino giap­po­nese, con­dan­nato all’ergastolo in primo grado per la strage di piazza Fon­tana, poi assolto; di Carlo Maria Maggi, il «reg­gente» di Ordine nuovo nel Tri­ve­neto, pro­ces­sato, senza esito, per la strage del 12 dicem­bre 1969 alla Banca Nazio­nale dell’Agricoltura e per quella davanti alla Que­stura di Milano del 17 mag­gio 1973; di Mau­ri­zio Tra­monte, l’informatore del Sid; di Pino Rauti, il fon­da­tore di Ordine nuovo; dell’ex gene­rale dei cara­bi­nieri Fran­ce­sco Del­fino, coman­dante all’epoca del Nucleo inve­sti­ga­tivo di Bre­scia, e, infine, di Gio­vanni Mai­fredi, già coin­volto nelle vicende ever­sive del Mar di Fuma­galli, infil­trato, secondo gli inqui­renti, dallo stesso Del­fino negli ambienti della destra eversiva.

Carlo Digi­lio, l’«armiere» del gruppo e depo­si­ta­rio di tutti i segreti della strut­tura clan­de­stina dell’organizzazione, i cui inter­ro­ga­tori ave­vano con­sen­tito di ria­prire l’inchiesta, non poté figu­rare tra gli impu­tati, essendo dece­duto nel 2005, il 12 dicem­bre, vuole il caso, esat­ta­mente alla stessa data e ora della strage di piazza Fon­tana, 36 anni dopo.

Secondo Carlo Digi­lio a for­nire l’esplosivo (in una vali­getta con una bomba di 14 can­de­lotti già appron­tata per lo scop­pio) sarebbe stato Delfo Zorzi, su ordine di Carlo Maria Maggi, pre­le­van­dolo da un depo­sito nei pressi di Spi­nea. Mar­cello Sof­fiati, capo­cel­lula di Ordine nuovo di Verona, dece­duto anni fa, lo avrebbe tra­spor­tato. Lo stesso Digi­lio, in via Stella a Verona, nell’abitazione di Sof­fiati, si sarebbe occu­pato di met­tere l’ordigno «in sicu­rezza», impe­dendo che defla­grasse inav­ver­ti­ta­mente lungo il tra­gitto verso Milano dove fu con­se­gnato alle Sam (Squa­dre d’azione Mus­so­lini) di Gian­carlo Espo­sti, mate­rial­mente inca­ri­cate di com­piere la strage

Mau­ri­zio Tra­monte, dal canto suo, riferì, invece, come fos­sero stati appron­tati due ordi­gni, uti­liz­zando gli stessi timer resi­dui della par­tita acqui­stata per la strage di piazza Fon­tana. Le bombe furono poi con­se­gnate a Ermanno Buzzi e da que­sti a Gio­vanni Melioli, della cel­lula di Ordine nuovo di Rovigo, che si offrì volon­ta­rio per col­lo­care una di que­ste nel cestino porta rifiuti di piazza della Log­gia a Brescia.

Due rico­stru­zioni diverse ma asso­lu­ta­mente con­ver­genti nel coin­vol­gere Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Mar­cello Sof­fiati nell’organizzazione della strage, con la movi­men­ta­zione da parte degli stessi, nei giorni imme­dia­ta­mente pre­ce­denti, di ordi­gni pre­pa­rati a que­sto scopo.

Una assise «scomoda»

In que­ste depo­si­zioni riaf­fiorò nuo­va­mente la figura di Ermanno Buzzi, con­dan­nato all’ergastolo nel primo pro­cesso, poi assas­si­nato nell’aprile del 1981 dai ter­ro­ri­sti neri Pier Luigi Con­cu­telli e Mario Tuti alla vigi­lia dell’appello, nel car­cere di Novara, per il timore che par­lasse. Un per­so­nag­gio indi­cato per anni come un sem­plice delin­quente comune, mito­mane e pedo­filo, in realtà ben inse­rito negli ambienti del neofascismo.

Nella rico­stru­zione ope­rata dai pm, Fran­ce­sco Del­fino sapeva dei pre­pa­ra­tivi della strage e non la impedì, men­tre Gio­vanni Mai­fredi avrebbe avuto per qual­che giorno la dispo­ni­bi­lità dell’ordigno.

Il nuovo pro­cesso si pro­trasse per ben due anni, con 150 udienze, 422 testi sen­titi in aula e 669 altre testi­mo­nianze acquisite.

Nel pieno del suo svol­gi­mento venne meno uno dei sei impu­tati, Gio­vanni Mai­fredi, detto “Gianni il geno­vese”, ormai set­tan­tenne, ex guar­da­spalle e adde­stra­tore mili­tare di gio­vani neofascisti.

Nella sua requi­si­to­ria il pm Roberto Di Mar­tino definì il pro­cesso «sco­modo», evi­den­ziando il «disin­te­resse delle isti­tu­zioni e dei media nazio­nali, al di là dei gior­nali locali». «Que­sto è un pro­cesso», disse, «che non piace, per­ché sono emerse cose che danno fasti­dio, cose che met­tono in cat­tiva luce le isti­tu­zioni di allora. Ne esce un’immagine abba­stanza scon­cer­tante: non c’è uomo dell’eversione di destra che non avesse un refe­rente nei ser­vizi segreti». «Le isti­tu­zioni», que­ste le con­clu­sioni, «hanno fatto fare il lavoro sporco ai ser­vizi segreti che a loro volta lo hanno fatto fare agli ever­sori di destra».

Il pro­cesso si con­cluse il 16 novem­bre 2010 con l’assoluzione di tutti i cin­que impu­tati in base all’articolo 530 comma 2 assi­mi­la­bile alla vec­chia asso­lu­zione per insuf­fi­cienza di prove.

La sen­tenza venne con­fer­mata in appello il 14 aprile 2012?.Il pre­si­dente della corte, Enzo Platè, beffa finale, con­dannò i fami­liari delle vit­time al paga­mento delle spese pro­ces­suali, come già avvenne nell’ultimo pro­cesso per la strage di piazza Fontana.

Moti­va­zioni illogiche

La Corte di cas­sa­zione il 21 feb­braio 2014 valutò con parole duris­sime, l’operato dei giu­dici di secondo grado, defi­nendo la sen­tenza mossa da «un iper­ga­ran­ti­smo distor­sivo della logica e del senso comune», oltre che da «un’esasperata opera di seg­men­ta­zione del qua­dro com­ples­sivo», tesa «alla ricerca ogni volta di un pos­si­bile ma impro­ba­bile signi­fi­cato», spesso «astruso».

In par­ti­co­lare ritenne che su Maggi si fosse pro­ce­duto in modo «ingiu­sti­fi­ca­bile», attra­verso «una valu­ta­zione par­cel­liz­zata ed ato­mi­stica degli indizi, presi in con­si­de­ra­zione uno ad uno e scar­tati nella loro poten­zia­lità dimo­stra­tiva, senza una più ampia e com­pleta valu­ta­zione». «Mol­tis­simi», di con­tro, gli «indizi che paiono essere con­ver­genti verso un ruolo deter­mi­nante nell’organizzazione della strage».

La cas­sa­zione «ria­bi­litò» anche la figura di Carlo Digi­lio «rite­nuto signi­fi­ca­ti­va­mente cre­di­bile dai giu­dici di primo grado (per le stragi di piazza Fon­tana e di via Fate­be­ne­fra­telli), cioè da quei giu­dici che ave­vano avuto la pos­si­bi­lità di cono­scerlo e inter­ro­garlo», valu­ta­zione «pun­tual­mente ribal­tata in secondo grado, senza che egli sia stato risen­tito». «Tutto ciò», que­ste le con­clu­sioni, «non può che lasciare per­plessi alla luce della recente giu­ri­spru­denza della corte euro­pea dei diritti dell’uomo».

Da qui, l’accoglimento par­ziale del ricorso del pro­cu­ra­tore gene­rale della Corte d’appello di Bre­scia, rela­ti­va­mente a Maggi e Tra­monte, e la neces­sità di un nuovo processo.

Ancora Ordine nuovo

Men­tre scri­viamo sono ancora in corso atti inve­sti­ga­tivi con per­qui­si­zioni e inter­ro­ga­tori. Il tutto ori­gi­nato dalle dichia­ra­zioni di Giam­paolo Sti­ma­mi­glio, negli anni Ses­santa legato a Ordine nuovo di Verona.

Nel 2011 Giam­paolo Sti­ma­mi­glio rila­sciò anche alcune dichia­ra­zioni al pm Fran­ce­sco Pian­toni sulla strage di piazza della Log­gia. Il 27 aprile dello stesso anno sul regi­stro degli inda­gati, fini­rono a quel punto due per­sone, il man­to­vano Roberto Besutti, ormai dece­duto, ex di Ordine nuovo, e Marco Tof­fa­loni, all’epoca della strage quasi dicias­set­tenne, che avrebbe con­fi­dato pro­prio a Sti­ma­mi­glio di aver avuto un ruolo «non mar­gi­nale» il 28 mag­gio 1974. «Mi rac­contò», que­sta la sua testi­mo­nianza, «che la mat­tina dell’esplosione della bomba si tro­vava in piazza Loggia».

A occu­parsi di que­sto stral­cio d’inchiesta è ora la pro­cura dei minori di Bre­scia. Oggi Tof­fa­loni ha cam­biato nome e vive in Sviz­zera, a Schaf­f­hau­sen.
La nuova inchie­sta ruo­te­rebbe ancora una volta attorno a Ordine nuovo e nello spe­ci­fico ad alcune sette eso­te­ri­che di ispi­ra­zione nazi­sta non­ché di stampo pro­vo­ca­to­rio legate alla stessa orga­niz­za­zione, come le cosid­dette Ronde piro­gene anti­de­mo­cra­ti­che e i Nuclei scon­volti per la sov­ver­sione urbana, attive ancora negli anni Ottanta. Sullo sfondo anche i con­tatti con Lud­wig, il gruppo neo­na­zi­sta di Wol­fgang Abel e Marco Fur­lan, rite­nuti mate­rial­mente respon­sa­bili di almeno dieci dei 28 delitti riven­di­cati da que­sta sigla tra il 1977 e il 1984, e con la setta eso­te­rica Ana­nada Marga (nel suo sim­bolo anche una sva­stica), appro­data a Verona tra il 1974 e il 1975.

A inte­res­sare la pro­cura dei minori è ora in par­ti­co­lare la foto­gra­fia di un gio­vane scat­tata in piazza Log­gia poco dopo la strage. Seconda una con­su­lenza antro­po­lo­gica si potrebbe trat­tare pro­prio di Marco Tof­fa­loni. Da qui alcune per­qui­si­zioni, nel marzo 2015, tra Bre­scia, Verona e Bolo­gna, alla ricerca di sue foto­gra­fie, al tempo della strage quando fre­quen­tava il liceo.

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