Uscite di sicurezza dalla catastrofe

Saggi. «Heroes, Suicidio e omicidi di massa» di Franco «Bifo» Berardi. Il nichilismo è il tratto che contraddistingue le relazioni sociali nell’era dell’attuale capitalismo finanziario

È dav­vero incon­sueto che un autore defi­ni­sca orri­bile un pro­prio libro e si chieda: «Ma per­ché l’ho scritto?». Eppure è pro­prio quanto suc­cede nell’ultimo lavoro di Franco Berardi, cono­sciuto anche come Bifo, all’inizio dell’ultimo capi­tolo del suo Heroes. Sui­ci­dio e omi­cidi di massa (Baldini&Castoldi, pp. 242, euro 16). Il libro, in realtà, è molto bello, inte­res­sante e sti­mo­lante. La domanda, però, non è asso­lu­ta­mente infon­data per­ché – come d’altronde indica chia­ra­mente il sot­to­ti­tolo – l’argomento trat­tato è vera­mente orri­bile. In una sorta di discesa agli inferi, Bifo esa­mina innanzi tutto una serie di omi­cidi di massa più o meno famosi, par­tendo dalla strage a Den­ver alla prima dell’ultimo film di Bat­man Il cava­liere oscuro– Il ritorno, com­piuta dal ven­ti­quat­trenne James Hol­mes nel 2012, per poi arri­vare a foca­liz­zare la pro­pria atten­zione su quelle che potremo defi­nire epi­de­mie di sui­cidi, come avvenne tra i lavo­ra­tori di France Tele­com qual­che anno fa o tra i con­ta­dini indiani, ammaz­za­tisi in 250.000 tra il 1995 e il 2010.

Ma per­ché l’autore ha deciso di occu­parsi di tali argo­menti? Per­ché Bifo si sof­ferma su gente come Seng-Hui Cho, Eric Har­ris, Dylan Kle­bold, Pekka-Eric Auvi­nen, che si sono sui­ci­dati dopo aver com­piuto stragi di gente inno­cente? Per­ché que­sti, insieme agli altri per­so­naggi le cui sto­rie costel­lano il libro, non sono sol­tanto un’estrema mani­fe­sta­zione di una delle prin­ci­pali ten­denze della nostra epoca, sono in realtà gli «eroi» – come recita il titolo del libro – di un’era di nichi­li­smo e di stu­pi­dità spet­ta­co­lare, i nuovi «eroi» dell’era del capi­ta­li­smo finanziario.

C’è una data, for­te­mente sim­bo­lica, che annun­cia da un lato il tra­monto della figura clas­sica dell’eroe e l’avvento del nuovo eroe, è il 1977. In quell’anno esce una bel­lis­sima can­zone di David Bowie, Heroes. Al di là del testo che sot­to­li­nea come tutti pos­sano essere eroi, ma solo per un giorno, è il video, come ha notato Hito Steyerl che dà la misura del nuovo eroe.

Il mondo delle astrazioni

La clip mostra un Bowie sdop­piato, o meglio tri­pli­cato, che canta a se stesso. Ecco il nuovo eroe, non più un essere sovran­na­tu­rale, e nean­che un’icona, ma nient’altro che una sem­plice imma­gine. La sua immor­ta­lità non è più legata alla capa­cità di soprav­vi­vere a prove quasi impos­si­bili, ma alla pos­si­bi­lità di essere con­ti­nua­mente foto­co­piato, rici­clato, rein­car­nato. Come chiosa Bifo: «Quando il caos ha pre­valso, l’eroismo epico è stato rim­piaz­zato da gigan­te­sche mac­chine di simu­la­zione». E il caos in cui tutti ci tro­viamo è la diretta con­se­guenza del nuovo modo di pro­du­zione, del «semio­ca­pi­ta­li­smo» – come pre­fe­ri­sce chia­marlo l’autore – che ha tra­sfor­mato la realtà con­creta in astra­zione, distrug­gendo l’intelligenza col­let­tiva, o meglio parassitandola.

Tutto è diven­tato «imma­gini, algo­ritmi, fero­cia mate­ma­tica e accu­mu­la­zione del nulla nella forma del denaro». Tutto è stato risuc­chiato in buco nero finan­zia­rio. Così l’umanità sem­bra sem­pre più inca­pace di empa­tia e soli­da­rietà. La sto­ria appare ormai come un flusso infi­nito in cui si ricom­bi­nano imma­gini fram­men­ta­rie. La poli­tica una fre­ne­tica e pre­ca­ria atti­vità senza alcuna visione stra­te­gica. Ma se è vero che, come afferma Höl­der­lin, pro­prio dove c’è peri­colo si ori­gina la sal­vezza, occorre appunto immer­gersi nell’orrore. Biso­gna dun­que car­to­gra­fare la «terra deso­lata» dove l’immagimazione sociale giace come con­ge­lata e sot­to­messa all’immaginario ricom­bi­nante azien­da­li­sta. E da qui ripar­tire per pro­vare a riat­ti­vare la sen­si­bi­lità delle per­sone affin­ché l’umanità possa di nuovo rico­no­scere se stessa, le pro­prie capa­cità desi­de­ranti, empa­ti­che, vitali.

Ini­zia così un viag­gio tra gli omi­cidi di massa prima, tra i sui­cidi poi, in cui, uti­liz­zando i più diversi stru­menti di ana­lisi – filo­so­fici, socio­lo­gici, psi­co­lo­gici, eco­no­mici, poli­tici – l’autore tenta da un lato di far emer­gere que­gli ele­menti fon­da­men­tali che sono alla base di tali azioni, dall’altro di mostrare come tali mec­ca­ni­smi siano pro­fon­da­mente con­na­tu­rati e fun­zio­nali all’attuale sistema sociale. Tante sono le sug­ge­stioni, gli spunti di rifles­sione offerti dal volume. Così come tanti sono i rife­ri­menti cul­tu­rali uti­liz­zati per spie­gare tali realtà, anche se su tutti sem­bra emer­gere soprat­tutto il pen­siero desi­de­rante di Gil­les Deleuze e, in par­ti­co­lare, Felix Guat­tari. Il tutto poi si com­bina in un affre­sco dav­vero con­vin­cente della situa­zione attuale che, oltre tutto, non pre­tende di essere esau­stivo ma quasi richiede la rifles­sione e il coin­vol­gi­mento di chi legge per inte­grare il qua­dro presentato.

La mappa che viene fuori, inol­tre – e l’autore lo spe­ci­fica espli­ci­ta­mente – non con­sente per­corsi all’indietro. Non è pos­si­bile ten­tare sem­pli­ce­mente di annul­lare quanto avve­nuto per ritor­nare ad una realtà pre­ce­dente. L’unica via pos­si­bile è in avanti, in una sorta di «ritorno al futuro» in grado di inven­tare nuove forme di socia­lità, di empa­tia, di soli­da­rietà tra le persone.

Alcuni ele­menti acqui­stano par­ti­co­lare rile­vanza all’interno del discorso. È il caso, ad esem­pio, della rifles­sione che Bifo svi­luppa sul fatto che ci tro­viamo in una situa­zione in cui gene­ra­zioni di esseri umani hanno appreso più parole dalle mac­chine che da altri esseri umani. Inol­tre ormai gli anni più for­ma­tivi ven­gono tra­scorsi in con­tatto con­ti­nuo con le «info­mac­chine» piut­to­sto che in con­tatto fac­cia a fac­cia con altre per­sone. Que­sto pro­voca una defi­cienza nel com­pren­dere il lin­guag­gio non ver­bale e causa l’incapacità di sen­tire il pia­cere e il dolore degli altri come proprio.

Derive iden­ti­ta­rie

Fram­men­ta­zione dei rap­porti, dun­que, che non inve­ste solo la sfera sociale ed eco­no­mica gra­zie alle delo­ca­liz­za­zioni e alle ester­na­liz­za­zioni ma anche e, soprat­tutto, la sfera psi­chica. E che diventa fun­zio­nale anche a quella iper­com­pe­ti­ti­vità dive­nuta dogma all’interno del pen­siero domi­nante. Se a que­sto si aggiun­gono poi le rifles­sioni sulle derive iden­ti­ta­rie sem­pre più risor­genti – illu­mi­nante a tale pro­po­sito la distin­zione tra iden­tità e stile, visto, quest’ultimo, come coscienza della pro­pria sin­go­la­rità, fles­si­bile e aperta al cam­bia­mento – oppure sulla nuova classe vir­tuale post-borghese o, ancora, sul ritorno di un’etica barocca e sulla distru­zione della tra­di­zione uma­ni­sta, basata sull’idea che il destino umano non è sog­getto ad alcuna neces­sità o legge teo­lo­gica, da parte del nuovo capi­ta­li­smo si può avere un’idea della com­ples­sità e della ric­chezza del libro. Un libro che si chiude con la più assurda e dif­fi­cile delle domande ovvero: «Cosa si può fare quando niente può essere fatto?». E Bifo non si sot­trae dal pro­vare a dare una rispo­sta e afferma che per lui l’unica pos­si­bi­lità si può ritro­vare in quella che chiama iro­nia disto­pica e che con­si­ste in un ulte­riore decli­na­zione della cate­go­ria di esodo, comune a gran parte del pen­siero cri­tico con­tem­po­ra­neo. Si tratta, in pra­tica, del sot­trarsi al gioco domi­nante, all’abbraccio mor­tale del capi­ta­li­smo asso­luto non accet­tando di par­te­ci­pare ai suoi riti poli­tici, sociali, eco­no­mici, nell’essere scet­tici dif­fi­dando anche di Franco Berardi stesso, e di non rinun­ciare alla rivo­lu­zione, per­ché «la rivolta con­tro il potere è neces­sa­ria anche se non sap­piamo come vincere».

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