Dilma Roussef: «La tor­tura e il carcere restano dentro di noi»

La presidente del Brasile e la lotta armata. «Ne ho parlato con Mujica, non siamo pentiti. Ma era un altro periodo»

Lei è stata tre anni in car­cere durante la dit­ta­tura: qual è il suo bilan­cio di quel periodo?
Ne ho par­lato molto con il pre­si­dente dell’Uruguay, Pepe Mujica, un altro ex pri­gio­niero poli­tico. Non siamo pen­titi di niente, ma è chiaro che è neces­sa­rio capire quali erano le cir­co­stanze poli­ti­che di que­gli anni (fine anni 60, ini­zio dei 70), cir­co­stanze che ci hanno por­tato ad agire come abbiamo fatto, cioè la lotta armata. Quella situa­zione oggi non esi­ste più, que­sta è la prima cosa.

La seconda è che cia­scuno cam­bia, anche se non cam­bia lato. Anni dopo si vedono gli errori, ci sono cose che sono frutto della gio­ventù ma oggi non vado a met­termi con­tro ciò che sono stata. E non ho mai dimen­ti­cato cosa mi è suc­cesso, la mia vita ne è stata mar­cata senza alcun dubbio.

Una volta ho testi­mo­niato davanti al Con­gresso e qual­cuno, un sena­tore di destra, mi ha accu­sata di aver men­tito durante le ses­sioni di tor­tura. E meno male che l’ho fatto: dire la verità sotto tor­tura signi­fi­cava con­se­gnare i pro­pri com­pa­gni, i pro­pri amici.

Non cri­tico quanti sotto tor­tura hanno par­lato, ci dice­vano ’se parli smetto di tor­tu­rarti’ e que­sto sca­tena una lotta interna, cia­scuno cerca di resi­stere, cerca forza den­tro di sé e per riu­scirci biso­gna avere delle con­vin­zioni. Io non dico che chi ha resi­stito è un eroe, nes­suno è un eroe. In quei giorni per resi­stere ingan­navo me stessa, mi dicevo «adesso tor­nano» per essere pronta. E alla fine tor­na­vano, mi lega­vano al pau de arara (il «tre­spolo del pap­pa­gallo»: barra di ferro tra l’incavo delle brac­cia e l’incavo delle gambe del pri­gio­niero, a cui ven­gono poi legati i polsi alle cavi­glie, ndt), mi davano un colpo con la picana elet­trica. La stra­te­gia per resi­stere? Non biso­gna pen­sare, è quasi un eser­ci­zio di medi­ta­zione per svuo­tare del tutto la testa e non farsi cor­ro­dere dalla paura. La paura è den­tro di noi. Il dolore umi­lia, degrada. Resi­stere è difficile.

Se ha resi­stito a quello, può sop­por­tare tran­quil­la­mente le pres­sioni della destra con­tro il suo governo, o no?

Sono molto più facili da sop­por­tare. Non voglio dire che sia faci­lis­simo, o che siano irri­le­vanti. Il dif­fi­cile è stato resi­stere a quello, e quando uno resi­ste non torna un eroe, torna una persona.

O torna presidente…

Meglio arri­vare alla pre­si­denza della repub­blica senza pas­sare dalla tor­tura (ridendo).

(a cura di Roberto Zanini, copy­right il manifesto/Pagina 12)

Leggi il resto dell’intervista al manifesto

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