La procura di Roma: «Stefano Cucchi fu pestato dai carabinieri»

Giustizia. Il procuratore capo Giuseppe Pignatone vuole l’incidente probatorio per chiedere un nuovo processo. Per i magistrati «è stata ostacolata la ricostruzione dei fatti e l’identificazione dei responsabili»

ROMA. La «svolta» della procura di Roma preannunciata a metà settembre scorso da Ilaria Cucchi è arrivata: «Nella notte tra il 15 ed il 16 ottobre 2009 Stefano Cucchi fu sottoposto ad un violentissimo pestaggio da parte di Carabinieri appartenenti al comando stazione di Roma Appia». A scriverlo nero su bianco in una richiesta di incidente probatorio per chiedere al gip una nuova perizia medico legale sulle lesioni riscontrate sul corpo dell’allora 31enne geometra romano, sono ora il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il sostituto Giovanni Musarò, responsabile dell’inchiesta bis aperta sei anni dopo quella morte rimasta finora senza responsabili.

Il pestaggio di Cucchi, arrestato per droga al Parco degli Acquedotti di Roma e deceduto il 22 ottobre nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini, avvenne, secondo gli inquirenti, «in un arco temporale certamente successivo alla perquisizione domiciliare eseguito presso l’abitazione dei genitori (quando Stefano stava ancora bene, come riferito dai genitori) e precedente al momento in cui l’arrestato fu tradotto presso il comando stazione carabinieri di Roma Tor Sapienza».

Non solo: la procura formula un’accusa diretta, finora sostenuta soltanto dalla sorella Ilaria, dai genitori di Stefano e dall’avvocato della famiglia, Fabio Anselmo: in seguito al pestaggio, «fu scientificamente orchestrata una strategia finalizzata a ostacolare l’esatta ricostruzione dei fatti e l’identificazione dei responsabili per allontanare i sospetti dai carabinieri appartenenti al comando stazione Appia». Inoltre, da quel momento in poi, in due gradi di giudizio del processo conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati, «non si diede atto della presenza dei carabinieri Raffaele D’Alessandro e di Alessio Di Bernardo nelle fasi dell’arresto di Stefano Cucchi», «fu cancellata inoltre ogni traccia di passaggio di Cucchi dalla compagnia Casilina per gli accertamenti fotosegnaletici e dattiloscopici al punto che fu contraffatto con bianchetto il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento».

D’Alessandro e Di Bernardo sono già finiti ad ottobre nel fascicolo della procura, indagati insieme al loro collega Francesco Tedesco per «lesioni personali aggravate» e «abuso d’autorità». Ed era la prima volta, perché prima di loro nel registro era stato iscritto solo l’ex vice comandante della stazione di Tor Sapienza, Roberto Mandolini, accusato di falsa testimonianza come l’altro militare Vincenzo Nicolardi, indagato anche per false informazioni al pm.

I primi tre sono accusati di aver cagionato a Cucchi le «lesioni personali, con frattura della quarta vertebra sacrale e della terza vertebra lombare» riscontrate nella perizia medica firmata dal professore Carlo Masciocchi consegnata a settembre dai familiari alla procura. Lo fecero, scrivono i pm, «spingendolo e colpendolo con schiaffi e calci, facendolo violentemente cadere in terra». E «il pestaggio fu originato da una condotta da resistenza posta in essere dall’arrestato al momento del fotosegnalamento presso i locali della compagnia carabinieri Roma Casilina, subito dopo la perquisizione domiciliare».

Nella richiesta dei pm è riportata anche la testimonianza di un detenuto del centro clinico di Regina Coeli: «Cucchi mi disse che era stato picchiato da due carabinieri in borghese, mentre un terzo carabiniere, in divisa, diceva agli altri di smetterla». E una intercettazione dell’ex moglie di uno degli indagati che dice: «Non ti preoccupare, ché poco alla volta ci arriveranno perché tu come mi hai raccontato a me, lo hai raccontato a tanta gente quello che hai fatto. Hai raccontato la perquisizione, e di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda».

Tutte «novità» che, secondo i pm, rendono «necessaria una rivalutazione dell’intero quadro di lesività», anche per verificare il «nesso di causalità tra le lesioni patite da Cucchi a seguito del pestaggio, e l’evento morte».

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