Il gruppo emiliano dei “Gasparazzo Banda Bastarda” fa rivivere a colpi di ballata reggae il nome di Roberto Zamarin, il creatore del celebre metalmeccanico di Lotta Continua. Lo ricorda Guido Viale
C’è un disco che da fine febbraio naviga nei mari sempre difficili della musica indipendente. Un bel disco di suoni reggae e rock con nuvole di folk. Titolo, Forastico. A dopo la traduzione. Il brano numero uno si intitola Gasparazzo 3D, e recita così «Sistemàti il cielo e la terra/ L’ottavo giorno l’Etna eruttò/ Ne venne fuori la famiglia Gasparazzo/ che masticava la miseria più amara/ Rivoluzione! Brontolava Bronte/ Come brucian bene/ Le case dei signori/ L’Unità alle porte/ Ma il popolano disperato resta/ Gasparazzo si diede alla macchia/ Gasparazzo carbonaro…/ Il treno va/ Attraversa lo stivale da sud a nord/ Stipati in corridoio/ Capitalismo cannibale/ Le auto in serie simbolo del boom economico/ Roberto e la matita/ Raccontano la vita/ di un divertente personaggio in catena di montaggio/ Gasparazzo anni settanta/ Gasparazzo operaio/ Gasparazzo Lotta Continua/ Gasparazzo operaio/ Ora in Emilia compone musica/ un manipolo di suonatori… Gasparazzo banda bastarda/ Gasparazzo bandabam».
Un nome a tre dimensioni. La prima è quella di un personaggio storico, Calogero Ciraldo Gasparazzo, carbonaro divenuto giocoforza fuori legge, protagonista della rivolta popolare di Bronte, Sicilia, scoppiata il 2 agosto del 1860 contro la latifondista Ducea di Nelson. L’Unità d’Italia veniva prima di tutto, non scevra da interessi e accordi economici per il suo futuro, e dunque il Comitato di Guerra creato da Giuseppe Garibaldi e Antonio Crispi diede incarico a Nino Bixio di annientare senza pietà gli insorti. Il battaglione di garibaldini al comando di Bixio scatenò una caccia all’uomo che si concluse con sedici morti e un processo farsa a centocinquanta presunti rivoltosi. L’avvocato Nicolò Lombardo, accusato senza prove di essere il capo di tutto, venne fucilato insieme ad altri quattro ‘colpevoli’. I cadaveri rimasero esposti giorni e giorni sul terreno. Da quei fatti, Florestano Vancini trasse un film, ‘Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato’, 1972. Il 10 giugno dello stesso anno, sulle pagine del quotidiano Lotta Continua facevano la loro comparsa le prime strisce a fumetti che vedevano protagonista l’operaio Fiat Gasparazzo a rappresentare le migliaia di emigrati dal Meridione d’Italia in cerca di un futuro meno nero. Ignoto l’autore, poiché nessuno, per decisione redazionale, firmava gli articoli e i contributi. Soltanto sei mesi dopo se ne saprà il nome, Roberto Zamarin. Al suo ricordo, l’edizione di Lotta Continua del 22 dicembre dedicava due pagine. Roberto, trentadue anni, si era schiantato sull’autostrada del Sole, nella notte tra il 19 e il 20, all’altezza di Arezzo. Dentro il bagagliaio dell’auto, le copie del giornale che stava portando a Nord per tappare le voragini distributive. ‘Gasparazzo non c’è più’ il titolo della notizia il giorno della morte. Sono storie, queste, chiamate a torto “minori”. E in quanto tali, destinate a scivolare nel buio, a divenire ricordo dei pochi che le hanno vissute in prima persona. Se cerchi sull’onnisciente Wikipedia, di Zamarin compare soltanto una stringata biografia. E solo un articolo di Claudio Grassi su Liberazione del 20 dicembre 2002 ne ha fatto riemergere la figura umana e professionale a trent’anni dalla morte. Se però interroghi Google digitando Gasparazzo, allora compaiono strisce, copertine di libri, tavole. Come dire: il personaggio inventato è sopravvissuto al suo creatore. Non è cosa rara. Ma nel caso dell’operaio Gasparazzo/Zamarin il fatto sorprende, perché questa duplice vita aveva compiuto il suo breve corso, sei mesi appena, sulla carta di un giornale ‘di confine’ e nella collana di un editore, Samonà e Savelli, sempre in sospetto di sovversione. Sembrava, Gasparazzo/Zamarin, voce perduta nel grande e complicato archivio degli anni ’70 italiani. E invece…
La terza dimensione di Gasparazzo, quella del brano cantato a colpi di ballata reggae, ha l’identità fisica e il nome di una band emiliana, Gasparazzo e i Banda Bastarda. Ce n’è abbastanza per incuriosirsi e lasciare agli interrogativi di un’intervista il giusto spazio. Domanda di esordio, quanti anni avete. Risponde Generoso Pierascenzi detto Gino, voce e chitarre, che lui, con quarantasei primavere, è il più vecchio. L’età degli altri va da vent’anni neppure troppo suonati a trenta e qualcosa di più. Nel 2007, anno di formazione della band, Gino era un bambino di due anni, gli altri strimpellavano o percuotevano seduti sulle nuvole. Che ne sapete, perciò, di Gasparazzo? «Nel nostro giro la cultura del fumetto, molto viva e diffusa, ci ha portato a conoscere storie e autori al di fuori delle grandi firme nazionali e internazionali. È così che abbiamo incontrato la figura di Gasparazzo, quella giusta per diventare il nome che cercavamo». In che cosa vi siete riconosciuti ? «Prima di tutto nel fatto di essere emigrati dall’Abruzzo all’Emilia. E, seppur in un contesto sociale e in un modo molto distanti da quei tempi, di aver vissuto, come l’operaio siciliano di Zamarin, la compressione tra società del Nord e società del Sud; il suo carico di contraddizioni, entusiasmi, speranze, debolezze; di avere forti, nella nostra fabbrica della musica, il senso della solidarietà, della lotta alle ingiustizie, delle battaglie civili. Tutto questo ci ha portato a suonare in Saharawi, in Albania, in Germania nelle manifestazioni contro il neonazismo, nelle geografie sovente più lontane dell’Italia». Mettersi nella salopette di Gasparazzo significa far propri i dubbi e l’ironia che ne erano tratti fondamentali, essere contro e allo stesso tempo sapersi interrogare, non nascondere ingenuità e smarrimento «Direi che anche in questo c’è somiglianza, empatia con il personaggio di Zamarin. Qualcuno ci ha definiti un po’naif. Amiamo andare a briglie sciolte, assecondare la nostra tendenza ad essere istintivi e il nostro lato selvatico». Selvatico, cioè forastico, titolo all’ultimo album della band «È un aggettivo abruzzese ‘versatile’. La traduzione più immediata è appunto selvatico. Ma identifica anche uno che ha scelto di stare ai margini non da cattivo, ma perché timoroso di aprirsi agli altri, di venir coinvolto in un sistema che cerca di addomesticarti. Gasparazzo, secondo noi, è un po’così. Nei nostri tour ci è capitato di incontrare i forastici, ad esempio quando abbiamo tenuto un concerto all’interno di un carcere tedesco. L’inizio è stato duro, i detenuti guardavano male noi e i nostri vestiti stravaganti, non reagivano alla musica, sembravano stare lì per forza. Poi tutto si è sciolto in un applauso finale interminabile, in giri di abbracci tra amici e risate».
Nel 1973, per le Edizioni di Lotta Continua, esce ‘S’avanza uno strano soldato’, a firma di Guido Viale, dirigente dell’organizzazione, in carcere a Torino dal 28 gennaio dello stesso anno. Il libro raccoglie alcuni suoi scritti pubblicati sul quotidiano, sui Quaderni Piacentini, negli atti di convegni. La copertina porta una vignetta di Gasparazzo che marcia, chiave inglese in mano, verso gli uffici della direzione Fiat indicati da un cartello. Ha la faccia incazzata e nella nuvola del fumetto dichiara «Io sono una ‘forza lavoro’ e sono ‘variabile’». Viale era stato arrestato il 27 gennaio al termine di una conferenza stampa che spiegava quanto era successo poche ore prima, durante una manifestazione indetta nel capoluogo piemontese contro le aggressioni e i pestaggi dei neofascisti e delle forze dell’ordine. In piazza della Repubblica gruppi di picchiatori del Movimento Sociale Italiano avevano ferito alcuni studenti e un operaio. Parte del corteo si era spostata davanti alla sede del Movimento Sociale. Qui polizia e carabinieri avevano sparato lacrimogeni ma non solo. Eleonora Aromando e Luigi Manconi, di Lotta Continua, riportarono ferite da armi da fuoco. I mandati di cattura furono venticinque, l’arresto di Viale scattò con l’accusa di tentato omicidio plurimo aggravato.
Un’accusa assurda, cui risposero piazze e fabbriche chiedendo la scarcerazione di Viale. Che verrà prosciolto quattro mesi dopo per ‘Assoluta mancanza di indizi’. Le adesioni di politici e intellettuali portavano i nomi di Revelli, Pintor, Pasolini, Volontè, Trentin, Bobbio, Rossanda, Calvino, Pontecorvo, Parlato, Lama…
Guido Viale, la scelta di mettere Gasparazzo su quella copertina e sotto un titolo eloquente, stava a significare che gli operai di Lotta Continua si identificavano con l’eroe imperfetto di Roberto Zamarin? «La nostra organizzazione non si poteva definire molto acculturata. Era però molto legata a delle istanze di base che provenivano direttamente dalla condizione sociale. Gli operai che erano di Lotta Continua riconobbero subito se stessi, la loro condizione, la loro vita quotidiana in questa figura, nella sua ingenuità, nella sua rabbia, nella sua spontaneità. Gasparazzo, poi, era anche molto spiritoso, si prendeva in giro prima di prendere in giro gli altri, compresi, naturalmente, coloro che si chiamavano studenti, e che in parte lo erano e in parte non». La nostra ‘lettura’ dell’operaio di Zamarin, nei pochi mesi della sua esistenza, fu di un personaggio non privo di incertezze rispetto a ciò in cui credeva e alla possibilità di realizzarlo, di concretizzarlo «Sì, questo faceva parte del genio di Roberto: raccontare l’operaio reale, che non aveva davanti a sé un percorso ben definito. E quindi era fragile nei confronti della situazione, della complessità dei problemi con cui doveva misurarsi. Teniamo presente che la maggior parte di questi ragazzi erano alla loro prima esperienza fuori casa, in una città diversa da quella in cui erano nati e cresciuti. Avevano trovato in Lotta Continua un punto di appoggio sul piano esistenziale prima ancora che politico. Stavano costruendo un percorso di acculturazione, di politicizzazione, di auto educazione difficile e pieno di incognite. Zamarin lo aveva compreso, colto in maniera immediata. Non affidandosi ai discorsi, ma creando le storie di Gasparazzo». Se a Torino l’immagine per eccellenza della vita in fabbrica era l’uomo berretto e salopette, fuori dai confini piemontesi, più o meno negli stessi anni, si trovò a spartire la popolarità con altre immagini di operai, una in particolare. Ricorda Viale «Il Cipputi di Altan aveva un radicamento molto più solido e possedeva una maggior sicurezza rispetto a Gasparazzo, cui univa una forte dose di auto ironia. La sua figura rappresenta già gli anni della sconfitta; la nostalgia per una condizione, un ruolo, un peso politico in via di disfacimento, che Cipputi sapeva interpretare molto bene. È importante vedere in un rapporto diacronico questi due personaggi che hanno un po’segnato la storia e la parabola della classe operaia nell’Italia degli anni ’70». Una band di musicisti allora bambini piccolissimi o non ancora nati, decide nel 2007 di chiamarsi Gasparazzo. Un nome e una scelta: far camminare insieme musica e impegno sociale. Quarant’anni dopo, Gasparazzo è ancora ‘contro’. La stupisce? «Zamarin ci ha lasciato un personaggio che possiede la caratteristica di collocarsi fuori dal tempo, pur se riferito a un periodo preciso. Ed è la ragione per cui chi, anche oggi, si sente sradicato, non ha alcuna difficoltà a riflettersi in lui». Viale, può aiutarci a riempire i vuoti in cui galleggia la memoria di Roberto Zamarin, lei lo ha conosciuto? «Abbiamo vissuto nella stessa casa di Roma, dove era arrivato lasciando un lavoro garantito per animare con le sue vignette il quotidiano di Lotta Continua. Era una persona di grande generosità, nella vita privata e nell’impegno rispetto al giornale. Le copie uscivano dalla tipografia troppo tardi per arrivare ad alcuni distributori regionali. Così Roberto, dopo aver finito di disegnare Gasparazzo, le caricava in auto e le consegnava di persona, viaggiando tutta la notte”. Ha scritto Pablo Neruda in Poesie di amore e di vita “Lentamente muore chi non capovolge il tavolo/ chi è infelice sul lavoro/ chi non rischia la certezza/ per l’incertezza di inseguire un sogno/ chi non si permette almeno una volta nella vita/ di fuggire ai consigli sensati”. Se ne è andato in fretta, Roberto Zamarin. Ma prima ha saputo capovolgere, rischiare, inseguire, rifuggire. Lasciandoci un testimone. Un operaio di nome Gasparazzo.
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BOX
Forastico, per l’etichetta New Model Label (newmodellabel.com), segue ad altri cinque album pubblicati dai Gasparazzo Banda Bastarda tra il 2007 e il 2010: Tiro di classe (Terra Calda/ Self), Fonostorie (Goodfellas). Obiettivo sensibile (Autonomix/Venus) Esiste Chi Resiste (New Model Label/ Audioglobe), Mo’ Mo (New Model Label/ Audioglobe). Dei nove brani, registrati in presa diretta al Teatro Vittoria di Pennabilli, Rimini, quattro sono in dialetto abruzzese. Omaggio alle origini della band e del titolo. Le musiche di Generoso Pierascenzi e i testi di Alessandro Caporossi danno sostanza a un lavoro che miscela l’acustica pura di batteria, contrabbasso, fisarmonica, alle sonorità elettriche anni ’60 delle chitarre. Al forastico Gasparazzo 3D, tengono ottima compagnia Vito il pistolero, Il maestro del tajine, il mariachi Pedro. Cadenze da ballata avviluppano reggae e rap fino a renderli, succede in Lu lupe, simili a canti popolari rituali. Ironia con punte sparse di veleno, citazioni e richiami si confermano consuetudine cara ai cinque emigrati di Reggio Emilia
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